Vincenzo Vela, Spartaco, 1847, Museo Vela di Ligornetto.
Se un viandante si fosse avventurato lungo la via Appia, quella mattina del 71 a.C., avrebbe assistito a uno spettacolo agghiacciante: migliaia di croci piantate lungo la strada da Capua a Roma, un percorso di strazio e di morte. Così finiva la gloriosa rivolta dello schiavo Spartaco, che era riuscito a formare un esercito di ribelli e a sfidare la potenza di Roma in nome della libertà. Per anni i viaggiatori furono costretti a vedere le croci a distanza di trenta, quaranta metri, monito orrendo e sigillo del completo ripristino dell’autorità dello Stato.
Di origine Tracia, Spartaco vantava nobili origini, discendente dalla regia famiglia degli Spartocidi. Aveva accettato di arruolarsi in un corpo ausiliario della milizia romana, dal quale però fuggì ben presto, forse per la dura disciplina cui era obbligato e per i numerosi episodi di razzismo che subiva all’interno della milizia. Fu dichiarato disertore e condannato alla schiavitù. Fu venduto, successivamente, nel 75 a.C., ad una scuola per gladiatori a Capua.
Ma nel 73 a.C. riuscì a fuggire anche da qui, trascinando con sé altri gladiatori che, rifugiatosi presso il Vesuvio, riuscirono a sconfiggere i primi inviati romani.
Altri schiavi, braccianti, contadini poveri, pastori dei territori circostanti cominciarono ad aderire alla rivolta. Spartaco condusse gli schiavi nella parte sud della penisola, dove si aggregarono altre bande. Nell'inverno 73-72 a.C. l'esercito dei ribelli, armato regolarmente, era arrivato alle 100-120.000 unità. Vincendo l’armata romana, si aprì a forza il passaggio verso il nord d'Italia, fino a Modena. La meta di Spartaco era quella di valicare le Alpi e vivere da uomini liberi lontano da Roma.
Tuttavia una parte degli schiavi vittoriosi (soprattutto i contadini meridionali) volle restare in Italia o tutt'al più marciare contro Roma, approfittando del suo momento di debolezza. Era difficile, data la composizione così varia di quell’esercito di schiavi, refrattari alla disciplina militare, riuscire a mantenerlo unito. Spartaco accettò la volontà della maggioranza e decise di tornare indietro, da nord a sud, attraversando di nuovo la penisola. Tale decisione gli sarà fatale. Ma il Senato di Roma dovette richiamare i suoi migliori condottieri e strateghi per poterlo battere, il pretore Crasso e il generale Pompeo.
Nei pressi del fiume Sele, in Lucania, si svolse la battaglia finale. Spartaco poco prima dello scontro uccise il suo cavallo davanti ai soldati, a significare che non erano più possibili ritirate o fughe: si doveva vincere o su quello stesso campo morire. 60.000 schiavi, tra i quali Spartaco, trovarono la morte in battaglia (ma il corpo del condottiero non fu mai trovato). I romani fecero 6.000 prigionieri, che Crasso fece crocifiggere lungo la via Appia (che porta da Capua a Roma).
Altri reparti dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono la fuga verso nord, ma vennero raggiunti e annientati da Pompeo. Terminava così la rivolta di Spartaco.
Purtroppo di questa rivolta conosciamo assai poco, poiché le principali fonti che ne parlano sono andate perdute.
Plutarco descrive Spartaco come ‹‹un trace appartenente ad una nazione di nomadi, dotato non solo di grande coraggio e forza, ma anche d’intelligenza ed educazione superiore››.
Quanto alle idee di Spartaco e alla sua personalità, sappiamo che aveva vietato alle sue truppe di maneggiare oro e argento e che pretendeva di dividere in parti eque ogni bottino conquistato. Si sforzava di mantenere uniti i suoi seguaci cercando alleanze tra la popolazione locale. Il coraggio, la sagacia tattica, la tenacia che gli consentirono di tenere a bada le forze romane per almeno due anni, non possono che suscitare ammirazione.
Questa statua è un’opera giovanile dello scultore elvetico Vincenzo Vela. Il suo Spartaco venne subito salutato come il simbolo della lotta di liberazione dei patrioti lombardi durante il dominio austriaco ed è rimasto una delle icone rivoluzionarie dell'Ottocento. Vela elabora i tratti fondamentali della sua figura nel 1847, durante un breve soggiorno di studio a Roma e porterà a termine l’opera a Milano nel dicembre del 1847. In seguito parteciperà ai moti lombardi e alle Cinque Giornate.
Lo schiavo ribelle scolpito ha i tratti dello scultore stesso e ne esprime il forte sentimento patriottico.
Dopo aver visto quest’opera eseguita in gesso, il duca Antonio Litta gliene commissionò la traduzione in marmo. L’impressione che suscitò lo Spartaco fu enorme e a nessuno ne sfuggiva il significato. L’invito a non cedere, a riprendere la lotta, vi era dichiarato esplicitamente: Spartaco era il protagonista della più possente insurrezione degli schiavi avvenuta nella storia e l’Italia non poteva vivere in schiavitù, doveva ribellarsi; questo era il messaggio e così fu inteso. La forza e la potenza che sprigionavano dall’opera gli valsero una menzione d’onore nell’Esposizione Universale di Parigi del 1855.
Lo Spartaco è modellato in piedi, mentre si lancia con passo impetuoso alla lotta, dopo aver spezzato le catene che gli serravano le caviglie e lo rendevano schiavo. A rendere meglio questo movimento, la figura, coi pugni stretti e il pugnale tenuto dietro la schiena, è protesa in avanti. Il corpo è vigoroso e teso; ma è il forte carattere del volto che sorprende particolarmente per la verità moderna della sua fisionomia corrucciata, coi capelli corti, gli occhi incavati, i lievi baffi e la mascella serrata.
Lo Spartaco diviene subito un grande simbolo di libertà e di lotta contro l’oppressione. Questo richiamo è talmente immediato nella dinamicità della figura che essa è più di una metafora: è un uomo nell’impeto dell’azione, un’evidenza efficace per se stessa, senza bisogno di rimandare ad ulteriori spiegazioni. È la libertà resa carne e fibre e nervi, non la rappresentazione dell’idea di libertà. Ed è qui dove il Vela rompe anche la poetica romantica, proponendo un realismo integrale.
Oggi, a riguardare l’impeto eversivo di Spartaco nell’atrio del Palazzo Comunale di Lugano, dove è stato collocato dopo molte peregrinazioni, si resta tuttora sorpresi dall’energia che si sprigiona dalle sue forme.
Da Il tempo e la Storia: http://www.raistoria.rai.it/articoli/spartaco/23912/default.aspx
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