lunedì 27 maggio 2019

La solitudine del manichino. La figura oltre-umana nella pittura metafisica

Giorgio de Chirico Ettore e Andromaca, 1917.

Le figure che abitano i quadri della pittura metafisica sono enigmatiche; la loro natura è sempre sospesa tra il tempo e il fuori dal tempo, tra l’essere e il non essere. Si riconoscono come personaggi della storia umana e, tuttavia, sono fatte di materia inerte e prive di fisionomia. Né vive né morte. Sono fredde statue o rigidi manichini senza volto, immersi in uno spazio immaginario senza tempo.
“Quale sarà il fine della pittura del futuro? – scrive De Chirico nel manoscritto Paulhan – […] Spogliare l’arte di ogni residuo di routine, di regola, di tendenza a un soggetto, a una sintesi estetica; sopprimere completamente l’uomo come punto di riferimento, come mezzo per esprimere un simbolo, una sensazione o un pensiero: liberarsi una buona volta di tutto ciò che continua a frenare la scultura: l’antropomorfismo. Vedere tutto, anche l’uomo, come cosa. È il metodo nietzschiano. Applicato in pittura, potrebbe dare risultati straordinari.”

giovedì 23 maggio 2019

Forme uniche nella continuità dello spazio. I corpi dinamici dell’arte futurista

Umberto Boccioni, “Forme uniche nella continuità dello spazio”, 1913, bronzo, Galleria d'Arte Contemporanea (Milano).

Il primo Novecento è denso di scoperte e formulazioni teoriche che rivoluzionano radicalmente le conoscenze sulla natura dell’universo e dei fenomeni della realtà. La Relatività di Albert Einstein stravolge il modo di pensare lo spazio e il tempo e ipotizza uno spazio che interagisce con la materia. Ma oltre a quella einsteiniana, altre scoperte hanno un impatto incredibile sulla cultura dell’epoca, alterando la maniera stessa di riferirsi alla realtà oggettiva: le ricerche sulle onde elettromagnetiche e sulle onde radio, la scoperta dei raggi X, gli studi sull’atomo e sulla sua composizione o, ancora, quelli sull’energia. In campo filosofico, la fenomenologia di Husserl e l’opera di Bergson rompono gli schemi desueti sulla memoria e sulla percezione. Risulta, pertanto, impossibile ignorare la forza di impatto delle idee, della filosofia, della scienza, e soprattutto della fisica moderna sull’immaginario creativo di una intera generazione di giovani autori, una forza che allarga il campo di esperienza, spostandolo oltre il limite di ciò che è direttamente esperibile sul quale si fondava la fisica classica. E sempre più l’affascinante ipotesi di una nuova entità legata alla simultaneità spazio-temporale si apre ai territori dell’intuizione.

mercoledì 22 maggio 2019

La scomposizione analitica del corpo cubista

Pablo Picasso, Dora Maar seduta, 1937, Musée National Picasso, Parigi.

Il percorso dell’arte del Novecento è costituito da tappe che hanno segnato il progressivo annullamento dei canoni fondamentali della pittura tradizionale, riassumibili nel principio della verosimiglianza dell’immagine rispetto alla realtà, ottenuta attraverso tre elementi: la prospettiva per la resa spaziale, il chiaroscuro per i volumi e la plasticità, la fedeltà coloristica. Grazie a questi strumenti, la pittura era chiamata a riprodurre fedelmente la realtà, rispettando gli stessi meccanismi della visione ottica umana.
Dall’Impressionismo in poi, l’arte ha progressivamente rinnegato questi princìpi accademici, portando la ricerca pittorica ad esplorare nuovi territori. Anche la rappresentazione del corpo umano viene investita da questi stravolgimenti. Il processo che si delinea è il graduale dissolversi della figura: dalla scomposizione in macchie colorate e luminose degli impressionisti alla deformazione espressionista alla decostruzione geometrica operata dal cubismo.

lunedì 20 maggio 2019

Verso la dissoluzione della figura umana. Paul Klee. Corpi sospesi tra visibile e invisibile

Paul Klee, Senecio (presto un uomo vecchio), 1922, Basilea, Kunstmuseum.

L’arte del Novecento stabilisce una frattura radicale con la realtà, cioè con la finalità mimetica che le arti visive avevano assunto a partire dal Quattrocento. Materia della pittura non è più la riproduzione del visibile, ma la ricerca di qualcosa che va oltre la sfera delle apparenze, nella ricerca di liberare l’arte dalla dipendenza nei confronti dell’oggetto. In questo percorso, in cui gli artisti sono più interessati a mostrare la propria visione della realtà piuttosto che la realtà stessa, anche la rappresentazione della figura umana subisce delle conseguenze radicali, fino al dissolvimento totale di essa nell’arte astratta, ossia non figurativa.
Nel tentativo di delineare le diverse fasi che portano al dissolvimento della figura umana, non possiamo non soffermarci sulla produzione del pittore svizzero Paul Klee, il quale, ne La confessione creatrice (1920), scrive: "Un tempo si rappresentavano le cose che erano visibili sulla terra, la cui vista ci procurava piacere o che avremmo avuto piacere di vedere. Oggi la relatività delle cose visibili è nota, di conseguenza consideriamo come un articolo di fede la convinzione secondo la quale, in rapporto all'universo, il visibile costituisce un puro fenomeno isolato e che ci sono, a nostra insaputa, altre numerose realtà."

venerdì 17 maggio 2019

Egon Schiele. Il tormento del corpo osceno

Egon Schiele, 'Kneeling Girl, Resting on Both Elbows', 1917


“Nessuna opera d’arte erotica è oscena se è artisticamente rilevante; può renderla oscena solo l’osservatore che sia intimamente volgare”. (E. Schiele)

Il debutto del Novecento avviene in piena Belle Epoque, i cui fasti, tuttavia, celano un disagio strisciante e una crisi identitaria. Proprio nel 1900 viene pubblicata “L’interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud, mentre l’anno successivo esce “Psicopatologia della vita quotidiana”, testi che mettono in crisi l'unità del soggetto cosciente, per rivelare invece un soggetto scisso. Nel cuore dell’immaginario della vecchia Europa irrompe l’oscurità dell’inconscio umano e delle pulsioni più intime; per gli artisti e i letterati si aprono i domini inesplorati dell’inconscio, del sogno e dell’irrazionale.
A Dresda, gli artisti della Brücke, il primo gruppo dell’Espressionsmo tedesco, cercano di comunicare il disagio esistenziale e sociale attraverso la deformazione della realtà esterna e in particolare della figura umana, che assume un aspetto lugubre e spettrale, dalle forme semplificate, spigolose e dure, rese con colori violenti e contrastanti, acidi e cupi, racchiuse in linee scure di contorno, che accentuano i contrasti cromatici e appiattiscono i volumi, collocate in uno spazio prospettico distorto.

lunedì 6 maggio 2019

Corpi che danzano tra terra e cielo

Henri Matisse, La danza, II versione, 1910,  Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo.

Il motivo universale della danza, che si lega a una lunga tradizione iconografica, ritorna più volte nelle opere di Matisse, a cominciare da “La gioia di vivere” (1906), in cui vediamo sei piccole figure sullo sfondo disposte in cerchio. Il tema viene ripreso ne “La danza” del 1909, dipinto monumentale commissionato dal magnate tessile e grande collezionista russo Sergei Shchoukin, per la sua residenza a Mosca e di cui esistono due versioni, una conservata al Museo di Arte Moderna di New York e l’altra, dipinta successivamente, al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo.
L’opera, dipinta secondo i canoni del fauvismo, con colori accesi e innaturali e figure semplificate e bidimensionali collocate in uno spazio privo di profondità, testimonia le ricerche dell’artista di emanciparsi dalle regole della rappresentazione tradizionale dell’arte occidentale. Il tema iconografico è l’espressione in chiave espressionista di un antico tema bacchico e pastorale, costruito sul motivo del girotondo danzante. Il quadro, infatti, rappresenta cinque figure stilizzate (il cui sesso non è sempre chiaramente definito) che ballano in cerchio, immerse in uno spazio indefinito. I corpi nudi e appena abbozzati, racchiusi da linee di contorno che definiscono le forme, e i colori grossolanamente applicati conferiscono all’opera un carattere primitivo, che attirò numerose critiche quando venne esposta al Salon d’Automne nel 1910 (i critici la definirono una «cacofonia demoniaca»), a causa dell’estrema semplificazione delle figure, che risultavano deformate e lontanissime dai canoni tradizionali della bellezza.

sabato 4 maggio 2019

Edvard Munch. Corpi affetti dal male di vivere.



La rappresentazione della figura umana è uno dei temi preferiti dagli artisti appartenenti alle diverse correnti dell’Espressionismo in quanto le forme del corpo, le espressioni del volto e i gesti si prestano a comunicare con immediatezza lo stato interiore dell’artista.
Il corpo diviene il luogo di rappresentazione dei sentimenti, delle emozioni, dell’angoscia e dei tormenti esistenziali, ma non si tratta più di un corpo che rispetta quei canoni estetici che ne avevano a lungo dettato i criteri di rappresentazione. Il corpo degli espressionisti è un corpo che subisce una radicale deformazione, come il personaggio del celebre “Grido” di Edvard Munch, pittore che alcuni critici considerano un espressionista a tutti gli effetti.
Emblema di tutto il Novecento, Il grido (opera nota in lingua italiana anche come L'urlo) trasforma un’esperienza personale nella percezione di un sentimento universale: la visione di un tramonto si trasfigura in incubo cosmico, in sintesi visiva del disagio esistenziale comune. L’uomo in primo piano esprime, nella solitudine della sua individualità, il dramma collettivo dell’umanità intera.