Jan Rose Kasmir è una ragazza di 17 anni. Vive nel Maryland e frequenta la scuola. Quella mattina del 21 ottobre 1967 prende l'autobus, ma non per andare a seguire le lezioni. Quel giorno si terranno decine di manifestazioni, in molte parti del mondo, per protestare contro la guerra nel Vietnam, una guerra assurda, in un paese lontano, dal quale molti giovani americani tornano feriti, mutilati o in una cassa di legno. E' priva di senso quella guerra che si vede in tv, che entra nelle case con un orrore senza fine. Quella mattina Jan Rose deve andare a gridare il suo "no" contro quella carneficina.
Il luogo della protesta è a Washington, davanti al Lincoln Memorial. Una protesta pacifica: si sfila, si sollevano i cartelli e gli striscioni, si gridano gli slogan, si canta. Ci sono tante bandiere colorate. Sul palco si alternano discorsi e musica. Sono in 100.000, quella mattina nel West Potomac Park, la maggior parte giovani studenti. Il loro grido è un deciso "no" alla guerra. Jan Rose è una dei tanti, persa nella folla. Ha i capelli tagliati corti, indossa un abito a fiori e l'entusiasmo ribelle della sua giovinezza. Molti dei suoi amici hanno ricevuto la cartolina di chiamata alle armi. La portano con sé nelle tasche. Un pezzo di carta che pesa come un macigno.
Dopo la protesta, comincia la marcia. Obiettivo: il Pentagono. Lì è previsto un altro raduno. Dopo un entusiasmante concerto di Phil Ochs al Reflecting Pool, la maggior parte dei dimostranti marcia sul Memorial Bridge verso la sede del Dipartimento della Difesa. Davanti all'edificio e sul tetto i soldati sono schierati in divisa da combattimento, immobili, sguardo fermo, armi pronte, osservano il fiume di gente che marcia verso di loro. Questa volta non sarà una cosa pacifica.
Nel vasto parcheggio dove confluisce il corteo, qualcuno estrae la sua cartolina precetto, aziona un accendino, le dà fuoco e la tiene alta esibendola sotto gli occhi dei soldati. Molti lo imitano. Alla fine sull'asfalto rimangono mucchietti di carta bruciacchiata e cenere.
Cominciano le prime sparse sacche di confronto. Altri soldati vengono schierati, con i fucili spianati, le baionette innestate sulle canne e puntate in avanti. Due schieramenti si contrappongono, faccia a faccia. Da una parte il movimento degli studenti, dall'altra la Guardia Nazionale. Ci sono anche i paracadutisti della 82ª divisione aerotrasportata, veterani del Vietnam. Per ognuno dei due, l'altro è dalla parte sbagliata: gli studenti sono i privilegiati vigliacchi che si rifiutano di fare il proprio dovere; i soldati sono burattini comandati ad ammazzare la gente. Come possono intendersi?
Un piccolo, stretto corridoio li separa. La tensione è al massimo. Jan Rose fa un passo avanti. Nelle mani ha un piccolo crisantemo. Guarda negli occhi il soldato di fronte a sé, gli sorride, gli tende il fiore, comincia a parlare. Sono parole calme, dette con tono tranquillo. “I soldati non sono il nostro nemico, il nostro nemico è chi prende le decisioni", grida qualcuno al megafono. Forse Jan Rose sta dicendo la stessa cosa o forse sta invitando quei soldati a togliersi il casco e a unirsi a loro. Anche gli uomini in divisa sono molto giovani, qualcuno ha lo sguardo inquieto, ma cercano di rimanere impassibili, fermi, ostentano indifferenza. In quel momento una macchina fotografica si inserisce in quel corridoio e scatta sette volte. Uno di quegli scatti diventerà una delle immagini più famose del Novecento, un'immagine che è diventata un'icona.
A cosa si deve la fortuna di questa foto? Sicuramente non solo al gesto della ragazza. Tante foto hanno ripreso situazioni spettacolari, ma poche raggiungono tale perfezione. Resta da definire come la fotografia in sé, oltre l'avvenimento che ha ripreso, ha creato significato. Cioè, come il fotografo, insieme al terzo occhio del suo obiettivo, non la manifestante, ha creato il simbolo. Proviamo ad analizzare l'immagine. Cosa vediamo? A destra c'è una ragazza, con un fiore in mano, che indossa un abito a fiori, un po' hippie. Il suo viso è sereno ed è in una posizione raccolta, che evoca la calma e la pace. Dall'altra una fila di soldati in divisa, vestiti in modo uniforme, al punto da confondersi. La loro posizione è senza ambiguità: baionette in avanti, pronti a caricare, atteggiamento aggressivo e bellicoso, perfettamente adeguato alla loro funzione di soldati. Ogni singolo elemento nella foto ci dice che siamo di fronte a due entità opposte e antagoniste: a destra una donna, sola, vestita di chiaro, perfettamente riconoscibile, una figura verticale e raccolta in forme tondeggianti; dall'altra un gruppo di uomini, vestiti di scuro e in modo identico, dai volti non riconoscibili, anonimi, schierati in senso orizzontale e lungo una linea dritta. Tutta la foto si gioca, dunque, su una serie di opposizioni: donna - uomini, fiore - armi, posizione raccolta e passiva - posizione tesa e attiva, difesa - attacco, aggressività - innocenza, simbolo fallico della baionetta - verginità del fiore.
L'inquadratura, impostando la nitidezza sul primo piano e lasciando sfocato lo sfondo, isola la ragazza dal resto dei manifestanti e ne fa, per un effetto sineddoche, il simbolo di tutto il movimento. Dà a quel movimento un volto unico, riconoscibile, dolce e pacifico. Se la ragazza è tutta visibile, in primo piano, il suo antagonista, l'uomo che le è di fronte, non si vede. Di esso vediamo solo la baionetta del suo fucile e questo dà un'impressione ancora più minacciosa e inquietante. La donna è sola di fronte a un'arma spianata contro di lei. L'amore di fronte alla guerra; il coraggio di fronte alla forza. La simpatia dell'osservatore non può andare che al più debole. Sebbene la foto sia stata scattata in uno spazio "neutrale", la sua visione non dà adito a nessuna ambiguità, ma dà un messaggio immediato e chiaro e crea un simbolo perfettamente riconoscibile, quello della pace e dell'amore che si contrappongono alla guerra.
Il successo di questa foto, come di un'altra scattata lo stesso giorno da Bernie Boston, passata alla storia come Flower Power, è anche dovuto al fatto che si colloca tutta sulla linea del fronte, quel piccolissimo spazio che separa i due schieramenti, all'interno del quale la tensione drammatica è particolarmente forte. Allorché i due blocchi si toccano, rifiutando ognuno di arretrare, un piccolo, insignificante e fragile fiore riesce a sospendere il tempo e la tensione. E una foto che mostra un tempo sospeso è una buona foto.
Quest’immagine fece il giro del mondo diventando negli anni 60/70, in America, il manifesto del Flower Power Movement e il simbolo della lotta alla guerra del Vietnam.
Da allora, si sono succedute altre foto famose di schieramenti contrapposti e di fiori nelle canne dei fucili, in varie parti del mondo, dal Portogallo, all'Iran, all'Ucraina nel 2004.
Isfahan, Iran, 1979. Soldati iraniani con garofani infilati nelle canne dei fucili, dicembre 1979 |
Manifestazione a sostegno del leader dell’opposizione ucraina Viktor Yushchenko, 24 novembre 2004-Kijev-Ucraina. |
Il fotografo che ha scattato questa di Jan Rose Kasmir vicino al Pentagono è il francese Marc Riboud, uno dei più grandi fotografi del Novecento.
Questa è l'altra foto scattata quel giorno e divenuta anch'essa un'icona: Bernie Boston, Flower Power, Washington D.C., 21 octobre 1967.
Bernie Boston, Flower Power, Washington D.C., 21 octobre 1967. |
Il bilancio di quella giornata fu di quasi 700 arresti e di molti feriti.
A questo link, un video sulla manifestazione del 21 ottobre 1967:
A questo link, il finale del film "The Strawberry Statement" ("Fragole e sangue", 1970). Una sequenza che lascia un segno profondo, per la sua efficacia visiva e sonora:
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