martedì 26 luglio 2016

Ribelli e rivoluzionari - MARTIN LUTHER KING

Bob Adelman, Martin Luther King delivers the "I have a dream" speech from the podium, 28 agosto 1963, Washington DC


Questa foto, notissima, ritrae Martin Luther King durante il celebre discorso davanti al Lincoln Memorial di Washington il 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, la "marcia per il lavoro e la libertà".
Chi non conosce le parole di questo discorso? "I have a dream", "io ho un sogno. E' un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali". Da quel momento l'espressione «I have a dream» diventa un'icona universale. In un discorso di 17 minuti il reverendo Martin Luther King condensa la potenza del suo messaggio e da quel momento la lotta contro il razzismo e la segregazione razziale non è più la stessa, ma trova nuova forza, radici e soprattutto un simbolo.

Nell’immediato dopoguerra uno dei problemi più scottanti negli Stati Uniti è quello della segregazione razziale. Bianchi e neri sono divisi in ogni attività quotidiana della società civile: si acquista in supermercati e negozi diversi, si mangia in ristoranti separati, si soggiorna in hotel distinti, le scuole sono diverse: bianchi e neri sono diversi, pertanto non possono stare insieme o, se stanno insieme, i neri devono comunque seguire certe regole, come quelle che disciplinano l'occupazione dei posti sugli autobus dell'Alabama.
Alla fine del 1955 proprio in Alabama scoppia il caso di Rosa Parks. Le manifestazioni, le marce e i sit-in (nuovo sistema di lotta: consiste in entrare in un locale "proibito" ai neri, sedersi sul pavimento finché la polizia non interviene per sgombrare: gli attivisti non reagiscono alle violenze verbali e fisiche della polizia, ma si lasciano trascinare fuori dai locali e arrestare) si susseguono in tutto il paese. King è uno dei leader del Movimento, sicuramente il più carismatico e dotato di un programma di azione. Seguendo Gandhi e le riflessioni di Richard Gregg, predica la resistenza passiva e la lotta non violenta, ma subisce ugualmente numerosi arresti e minacce.
Nel 1963, centenario del proclama di Lincoln per l'affrancamento degli schiavi, la battaglia non violenta dilaga in più di 800 città. A Birmingham la polizia si scaglia con ferocia sui dimostranti che cantano "We shall overcome", sguinzaglia i cani e aziona gli idranti contro un corteo inerme di ragazzi. Davanti alle foto scattate durante le manifestazioni, l'opinione pubblica di buona parte del paese è indignata.
Il 28 agosto arriva a Washington la marcia dei 250 mila per chiedere l'approvazione della legge sulla parità dei diritti civili per bianchi e neri. Le telecamere di tutto il mondo sono puntate sulla marea di bianchi e di neri che cantano e pregano intorno al monumento a Lincoln.
La legge per i diritti civili viene approvata il 10 febbraio 1964. Quella marcia pacifista e la figura di Martin Luther King hanno risonanza in tutto il mondo e le sue predicazioni e i suoi scritti vengono tradotti e letti in molti Paesi, ed anche in Italia.
Il 14 ottobre lo raggiunge un telegramma da Stoccolma: «Il premio Nobel per la pace è stato assegnato a Martin Luther King per aver fermamente e continuamente sostenuto il principio della non-violenza nella lotta razziale nel suo Paese». I 34 milioni del premio vengono messi a disposizione della causa alla quale Martin Luther King ha dedicato la vita.
Tra mille difficoltà e molti oppositori, King corre da una parte all'altra degli Stati Uniti a premere per le riforme richieste e il movimento si allarga alla lotta contro la povertà e contro il coinvolgimento degli USA nella guerra del Vietnam.
Il 4 aprile 1968 Martin Luther King è con altri leader neri in una stanza dell'Hotel Lorraine a Memphis. Discutono sulle prossime iniziative di lotta da intraprendere. Alle 18.00 esce sulla terrazza per una boccata d'aria; quando si volta per rientrare, un proiettile di fucile, proveniente dalla finestra di fronte, lo raggiunge alla testa.

Tra il 1954 e il 1968, negli Stati Uniti, un folto gruppo di fotografi svolge un ruolo essenziale non solo nel documentare, ma anche nel promuovere il Movimento per i diritti civili degli afroamericani (African-American Civil Rights Movement). Tra essi spiccano fotografi del calibro di Dan Budnik, Danny Lyon, Bruce Davidson, Leonard Freed, Bob Adelman, Charles Moore, Elliott Erwitt e altri ancora.
Per tutti i giornalisti e i fotografi che seguono il Movimento negli anni '60, il lavoro è alquanto difficile, faticoso e spesso molto pericoloso, ma senza dubbio contribuisce a velocizzare l'approvazione del Civil Rights Act del 1964 e del Voting Rights Act del 1965.
L'immaginario iconico che circonda il movimento per i diritti civili, creato da questi fotografi, è potente e serve a catalizzare la consapevolezza dell'opinione pubblica intorno alle problematiche messe in campo e alla violenza della repressione che i manifestanti subiscono.
La foto che qui vediamo è di Bob Adelman, l'unico fotografo a immortalare il discorso del "I have a dream". Nel corso di una lunga e illustre carriera che abbraccia sei decenni, Adelman è stato testimone di eventi straordinari e ha conosciuto molte delle persone che li hanno plasmati: dalla cultura nera di Harlem, alla lotta per i diritti civili, alla Factory di Andy Warhol, ai protagonisti della letteratura come Samuel Beckett e Raymond Carver.

Bob Adelman, Kelly Ingram Park, Birmingham, 1963.

Dopo aver studiato fotografia da Alexey Brodovitch, direttore di Harper Bazaar, si offre volontario come fotografo per il Congress of Racial Equality (CORE) nei primi anni 1960, una posizione che gli concede l'accesso ai principali leader del movimento, tra cui Malcolm X e Martin Luther King.
Adelman è più di un testimone: egli mette la sua macchina fotografica a disposizione del Movimento per i diritti civili e fa del suo lavoro un vero e proprio impegno politico e civile. Adelman vede la discriminazione razziale come un peccato originale nella vita americana ed è convinto che la fotografia sia uno strumento di lotta, che può cambiare il mondo. I suoi scatti infatti vengono spesso utilizzati come prova in tribunale, per la raccolta di fondi e sicuramente hanno un forte impatto sull'opinione pubblica e concorrono a creare consenso intorno alle finalità della lotta.
La sua fotografia documentaria ha una forte vocazione politica: oltre alle questioni razziali, Adelman si interessa anche di altri problemi sociali come la povertà e il degrado in America e l'opposizione alla guerra in Vietnam.

Questo link rimanda alla celebre "We shall overcome", cantata da Pete Seeger, inno del movimento per i diritti civili. Il video è formato da foto della marcia del 1963, la marcia dei 250.000 per il lavoro e la libertà:


Quest'altro link invece rimanda a un'altra canzone, cantata da Joan Baez e dedicata alla strage delle quattro bambine afroamericane del 15 settembre 1963, a seguito di un attentato dinamitardo nella chiesa di Birmingham (Alabama):




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