lunedì 25 luglio 2016

Ribelli e rivoluzionari - La rivoluzione delle donne

Paola Agosti , Roma, aprile 1977. Manifestazione davanti al Tribunale per il processo ai violentatori di Claudia Caputi.

“Tremate, tremate, le streghe son tornate!”. Negli anni 70 questo era lo slogan dei movimenti femministi. Ma oltre agli slogan, nelle manifestazioni e nei cortei delle donne di quegli anni circolava un gesto, fatto con le mani (pollici e indici congiunti a evocare l’organo sessuale femminile), che ha contribuito a formare l’iconografia e l’immaginario estetico del femminismo. Quel gesto iconico, metaforico, visivamente “violento”, venne adottato trasversalmente da migliaia di donne, di diversi ceti sociali che acquistavano coscienza di sé e si riappropriavano del proprio corpo, liberandolo dalle sovrastrutture che ne avevano fatto un oggetto su cui si esercitava l’autorità di una società maschilista e patriarcale.
Quel gesto ha avuto un’origine europea: apparso per la prima volta ne “Le Torchon Brulé” la rivista femminista militante francese di cui uscirono solo cinque numeri tra il ’71 e il ’73, fu fatto pubblicamente da una donna italiana, Giovanna Pala, durante il convegno femminista della Mutualité a Parigi.
Potente, irriverente, provocatorio è il gesto del sesso, il gesto di liberazione della sessualità femminile, che in questo modo viene resa visibile e politicizzata. E’ il gesto politico che negli anni 70 accompagna le lotte per l’autodeterminazione, l’aborto, la contraccezione, la libertà di decidere del proprio corpo e della propria vita, la scoperta e la rivendicazione del piacere. Perché quel movimento non si limitò a denunciare le discriminazioni di genere e a rivendicare i diritti civili, ma entrò nella sfera privata, all’interno delle famiglie, nelle relazioni tra padri e figlie, mariti e mogli, fratelli e sorelle. Il Femminismo legava insieme la sfera privata e pubblica della donna, mostrando il legame tra il personale e il politico.
Vi immaginate che impatto sconvolgente poteva avere un gesto così scabroso e sovversivo in un’Italia che ancora penalizzava l’adulterio femminile e ammetteva il delitto d'onore, "le pene corporali" dei mariti e dei padri, il matrimonio riparatore, la riduzione della violenza sessuale a reato di oltraggio al pudore?
Quello fu il gesto iconico delle lotte femministe, che affidava alle mani delle donne, non più angeli del focolare, il simbolo dello scandalo. Le dita ribelli annunciavano al mondo che le donne erano padrone: del proprio corpo, della sessualità, della contraccezione. Di nuove relazioni sentimentali e sociali. Di un modo diverso di stare a casa, in fabbrica o all'università. E di un nuovo immaginario che ribaltava logiche patriarcali. Un atto di affermazione di sé che esprimeva al contempo il rifiuto per il ruolo sociale imposto alle donne. Un gesto che voleva dire: “Non siamo mogli, madri e figlie, siamo espressione della nostra autonoma e autodeterminata sessualità”. L’ambizione del gesto femminista è stata molteplice: esporre il corpo in quanto tale, sottraendolo all’invisibilità e alla vergogna, agendo sul piano dell’immagine e della cultura, denunciare come la sessualità della donna fosse il veicolo di rapporti di potere consolidati e liberare le donne dal proprio destino biologico attraverso la riappropriazione della propria sessualità, trasformandola da strumento di soggezione in uno spazio di possibilità.
Come scrivono Ilaria Bussoni e Raffaella Perna ne “Il gesto femminista. La rivolta delle donne nel corpo, nel lavoro, nell’arte” (DeriveApprodi, 2014):“Un gesto che, così come compare, in una genealogia incerta, poi scompare(…) Sembra durare circa un decennio: i Settanta. Spunta insieme ai movimenti delle donne, al femminismo. Insieme alla pillola anticoncezionale, ai consultori, allo speculum, al divorzio, all’aborto, ai processi per stupro, dopo le minigonne forse insieme agli zoccoli. Va a mettersi tra uomini e donne, tra marito e moglie, tra compagno e compagna, anche tra donna e donna. All’incrocio di relazioni amorose, affettive, familiari. Di rapporti di potere, di gerarchie, di forme di subordinazione. Di rapporti di produzione e di riproduzione”.
Il Femminismo fu anche un movimento culturale e artistico, che coinvolse la letteratura, il teatro, la fotografia, anche se non è possibile inquadrarlo in alcuni stilemi precisi, come potrebbero esserlo il Cubismo o il Dadaismo. Quello che unisce queste artiste è una coscienza collettiva, e una delle conquiste più importanti dell'avanguardia femminista fu quella di decostruire, attraverso questa consapevolezza collettiva che le univa, l'immagine della donna. Un'immagine che nei secoli era stata investita di proiezioni, stereotipi, nostalgia e desideri maschili, in parte anche grazie agli artisti. L'avanguardia femminista riuscì a dissolvere questo rapporto a senso unico tra soggetto e oggetto in una molteplicità di identità e di costruzioni identitarie.

Se fino al dopoguerra il movimento femminista era stato soprattutto un movimento di “emancipazione” (rivendicazione del diritto al voto, al lavoro, alla parità salariale), il movimento che prende vita con le grandi contestazioni del ’68 va al di là e si propone di essere un movimento di “liberazione”. Non si trattava semplicemente di avanzare delle rivendicazioni, ma di mettere in discussione i ruoli di genere accettati e consolidati da secoli, i diritti civili, il diritto all’autodeterminazione della persona.
Nel 1970 nascono i primi collettivi femministi, all’interno dei gruppi che facevano parte del cosiddetto “Movimento Studentesco”. Nel 1972 i collettivi delle donne crescono e si moltiplicano in tutta la penisola. C’è il “Movimento Liberazione Donna“ (M.L.D.), c’è il “Fronte Liberazione Donna“, che nasce all’interno dei sindacati, c’è “Rivolta Femminile“, un gruppo teorico a cui aderiscono donne avvocato per studiare la riforma delle vecchie leggi e le proposte di leggi nuove. Viene coniata l’espressione: “Il privato è politico”.
In quegli anni si cominciò a pensare di riscrivere alcune vecchie leggi che risalivano ai primi anni del fascismo, e questo portò alla approvazione del nuovo diritto di famiglia, avvenuta nel 1975. In seguito sarebbe stata cancellata dal codice penale l’attenuante per delitti d’onore, e sarebbe cessato l’obbligo per le ragazze minorenni di accettare il “matrimonio riparatore“.
Nel 1974 non passò il referendum per abrogare la legge sul divorzio entrata in vigore nel 1970, mentre molto più travagliata e sofferta fu la legge per la legalizzazione dell’aborto, che era già in vigore in altri stati europei.
L’ultima legge proposta dai movimenti delle donne fu quella sulla violenza sessuale, nel 1980. Il vecchio codice Rocco qualificava lo stupro come semplice “offesa al pudore“, e quindi non perseguibile in sede penale. Ma lo stupro è reato contro la persona, e come tale doveva essere riconosciuto.
Tuttavia questa battaglia fu più difficile delle precedenti, anche perché il Movimento aveva ormai perso la sua spinta propulsiva ed era venuto man mano disgregandosi. La mancanza di una vera pressione femminile permise al parlamento di accantonare la legge sulla violenza sessuale, che fu poi approvata solo nel 1996.

Oggi quel gesto è sicuramente inattuale, privo di significato. I corpi delle donne hanno ormai perso il loro potenziale irriverente, sovversivo, rivoluzionario. Eppure proprio di recente sono esplosi dei movimenti femministi che ricorrono al corpo come strumento di provocazione e di lotta. FEMEN, movimento femminista di protesta ucraino fondato a Kiev nel 2008, è infatti divenuto famoso, su scala internazionale, per la pratica di manifestare mostrando i seni contro il turismo sessuale, il sessismo e altre discriminazioni sociali. FEMEN ha giustificato i suoi metodi provocatori affermando "che è l'unico modo per essere ascoltati in questo paese. Se avessimo manifestato con il solo ausilio di cartelloni le nostre richieste non sarebbero state nemmeno notate". In Russia è attivo il gruppo delle Pussy Riot (Pussy è un termine equivocabile in quanto significa micio e, nello slang anglosassone, indica l'organo sessuale femminile). Il gruppo agisce soprattutto a Mosca, città che fa da palcoscenico ai flash mob e alle performance estemporanee attraverso cui il gruppo dà espressione a provocazioni politiche nei confronti dell'establishment politico e istituzionale, su argomenti come la situazione delle donne in Russia, o, più recentemente, contro la campagna, e i presunti brogli elettorali, con cui, nel 2012, il primo ministro Vladimir Putin si sarebbe assicurato la rielezione per la seconda volta a presidente della Russia.
In Italia non sono attivi movimenti femministi, ma i temi delle relazioni tra generi, della dignità della donna come persona a prescindere dai ruoli sono ancora attuali. Lo dicono le statistiche dei reati di violenza sulle donne e di femminicidio. Quello femminista degli anni 70 era un gesto muto, senza voce, ma fatto nelle piazze insieme a tante altre donne. Oggi molte donne rimangono sole nelle proprie case, case che spesso si trasformano in trappole mortali, nelle quali il grido delle donne rimane inascoltato.
A questo link il filmato di un corteo femminista degli anni Settanta.
https://www.youtube.com/watch?v=S1E65SqPchA

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