È stato necessario attraversare
le schegge di vetro
Le parole non sono trofei.
Sono le armi, i maldestri rasoi,
uccidere i maestri una volta
Finestre su Arte, Cinema, Fotografia e Musica
Chi parlò stasera al mio cuore?
Non era il vento
che batte le imposte
e agli usci un lamento conduce.
Non fu la pioggia
che ride festosa e poi tace
mutata già in terra.
Eco non era stornata
da monti lontani,
né il mare
che accenna in eterno lo stesso motivo.
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Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931. |
Non su quello metereologico, ma su quella cosa rispetto alla quale Sant'Agostino affermava: "se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so".
Ma non si tratta di una definizione del tempo ciò di cui si va alla ricerca. Piuttosto di una constatazione: se c'è un tratto che accomuna alcune produzioni, nell'ambito delle discipline e dei campi del sapere più disparati, della prima metà del Novecento, è la ricerca di sovvertire la concezione del tempo considerato come corso lineare (causale o teleologico), fatto di passato, presente e futuro, da intendersi come tre componenti stabilmente e irrevocabilmente ordinate in senso sequenziale.
Abstract:
La rivoluzione delle immagini ha dato vita a scenari inediti, caratterizzati da un’estrema complessità di forme di interazione tra prodotti mediali, forme narrative, ambienti di produzione e di fruizione e pratiche spettatoriali. Per affrontare lo studio di tale complessità si ricorre spesso a categorie mutuate dalle scienze biologiche, come la nozione di ecosistema.
L’approccio ecologico alle immagini è il corollario della logica relazionale che caratterizza la cultura visuale contemporanea, animata da dispositivi e pratiche quotidiane che ibridano, fanno convergere e rimediano una quantità enorme di contenuti visivi e audiovisivi, dando vita a immaginari complessi.
Si tratta insomma di spostare l’asse dello studio visuale dagli oggetti visivi, dalle singole pratiche di produzione, esposizione e fruizione di immagini, al sistema complesso di cui fanno parte, per assumere un punto di vista più ampio, organico, ‘ecologico’, attento soprattutto al contesto e alle relazioni di interconnessione messe in atto dalle agency degli attori coinvolti: i soggetti produttori e fruitori, gli oggetti visivi e i dispositivi che ne consentono la produzione, la fruizione e la circolazione. La sfida che si chiede è forse quella di un superamento della centralità del visuale come oggetto di studio, per estenderlo e integrarlo con altre pratiche di interazione tra soggetti, immagini e ambienti mediali. A tal fine, si cercherà di argomentare l’ipotesi di questo ecological turn incentrando il discorso intorno a tre parole chiave, che indicano gli elementi principali del sistema complesso citato: corporeità, ambiente e agency.
Il pictorial turn ribadisce piuttosto la peculiarità degli studi visuali e richiede un cambiamento epistemologico che pone lo studio delle immagini sullo stesso piano di quello del linguaggio. Si parla di svolta iconica per sottolineare, in particolar modo, il grande effetto che oggi le immagini determinano sulla stessa antropologia dell'Homo sapiens, una constatazione che impone l'impianto di studi appropriati del visuale, di una 'scienza delle immagini' non riducibile alle discipline che si occupano delle analisi semiotiche e testuali.
La frusta piombò sul dorso dell’animale con un suono vigoroso, netto. La mano che la guidava restò per un attimo sospesa in aria, poi tornò a roteare un’altra volta, due volte, tre volte, scagliando la frusta sulla groppa dell’asino, segnata dalle sferzate e dalla fatica. L’animale si era fermato sulla strada di terra battuta, mettendosi di traverso, con la testa rivolta alla campagna, come nell’ostinato, quanto inutile, tentativo di parare i colpi. Una sferzata più violenta delle altre gli fece uscire il sangue dalla schiena; l’asino lasciò andare un raglio, un urlo rauco che si levò straziando la tranquilla mattinata estiva. Per un attimo le cicale e gli uccelli tacquero, la gazza rimase immobile sul ramo del mandorlo e tutta la campagna restò silenziosa, quasi si disponesse all’ascolto. E in effetti un altro grido si udì, quello potente dell’uomo, il comando che non ammetteva esitazioni e poi ancora il sibilo rapido e sottile e lo schiocco violento della sferza. L’asino abbandonò finalmente quella strana posizione. La battaglia che si ripeteva ogni giorno da tanti anni si concludeva ogni volta con la vittoria dell’uomo; eppure il giorno dopo sarebbe accaduta di nuovo e così il giorno successivo, in un’eterna pantomima. Le ruote del carretto, straripante di verde tabacco, cigolarono e infine ripresero il loro lento girare su se stesse, lungo la strada infuocata dal sole di agosto.
Collage di rappresentazioni della classica figura della Menade danzante, tratte dalle pitture vascolari e dai bassorilievi provenienti dall'antichità greca e romana.
Le Menadi, insieme ai Satiri, componevano il tiaso, cioè il corteggio di Dioniso, dio dell'energia vitale. Possiamo riconoscere gli attributi iconografici di questa figura: lo strumento musicale (come il flauto o il tamburello), il tirso, cioè la picca avviluppata dall'edera sulla sommità, il pugnale, il peplo ondeggiante, la postura con un piede o entrambi sollevati sulla punta nell'atto della danza, spesso la disposizione della schiena ad arco, un qualche animale tenuto in una mano (le Menadi, infatti, praticavano lo sparagmòs, cioè squartavano gli animali per poi mangiare la carne cruda - omofagia).
Il fulcro del culto dionisiaco erano le danze estatiche in onore del dio. La manìa era il carattere fondante di questi movimenti: fomentate dal dio, le menadi entravano in uno stato di trance e possessione.