giovedì 7 luglio 2016

L'uomo e la natura - I paesaggi di Joachim Patinir

Joachim Patinir, Caronte attraversa il fiume Stige, 1524, Museo del Prado.
Uno dei più rilevanti contributi alla nascita del paesaggio moderno come genere autonomo viene da uno straordinario autore fiammingo del Cinquecento, poco conosciuto ai nostri tempi ma molto apprezzato nella sua epoca, Joachim Patinir (che si firma Patinier).
Questo pittore riesce, come pochi, ad evocare l'immensità, la magia e la bellezza della natura, dentro la quale la figura umana ha perso la sua centralità. Sebbene i suoi dipinti abbiano temi religiosi comuni al Rinascimento Nordico, tuttavia egli è uno dei primi pittori a rendere i suoi paesaggi, così dettagliati e visivamente affascinanti, più importanti delle figure presenti nella scena.
Il dipinto "Caronte attraversa il fiume Stige" non è un'opera devozionale e probabilmente è stata commissionata da un ricco commerciante collezionista d'arte. Il quadro è suddiviso in tre parti verticali: quella centrale è occupata dal fiume Stige. A sinistra, un paesaggio naturale, con boschi, un lago e montagne sullo sfondo, a destra una vista in parte lugubre e sinistra, dominata dal fuoco in lontananza: due territori opposti sia spazialmente che simbolicamente, perché si è convenuto di identificare il primo con il Paradiso e il secondo con l'Inferno.

Il nostro sguardo è subito attratto dalla barca al centro del fiume. Il barcaiolo è Caronte, il vecchio nocchiero che traghetta le anime dei morti nell'aldilà, dove il cane a tre teste dalla coda di drago, Cerberus, fa la guardia, permettendo alle anime di entrare in quel luogo, ma impedendo loro di uscirne. Possiamo vederlo rannicchiato nella sua tana davanti alle porte dell'Inferno.
Con Caronte viaggia una sola, piccola anima, che guarda verso il lato destro, come attratta da quello spettacolo, mentre sull'altra sponda del fiume vediamo alcuni angeli che accompagnano altre anime, in un giardino dove ci sono pavoni e cigni e altre specie di animali. Su una piccola altura, un angelo indica con la mano la strada per entrare in Paradiso, un'entrata impervia, rocciosa, più difficile di quella che porta nel territorio opposto. In lontananza, una fontana della vita, che ricorda i paradisi di Bosch.
Ma perché l'anima guarda verso l'entrata dell'inferno? Perché non mostra nessuna espressione di spavento? Come mai sullo sfondo del paradiso vediamo un profilo urbano? Perché nella parte destra, in primo piano, vediamo un paesaggio verdeggiante, con uccelli svolazzanti, tanto simile al paesaggio di sinistra (sebbene la presenza di una scimmia riveli la natura "malefica" del luogo)? Neanche i colori usati depongono a favore di una visione nettamente dualista, in quanto, a parte il paesaggio in fiamme sul fondo di destra, c'è una predominanza complessiva di colori freddi. Forse questo quadro, allora, non vuole darci, come a prima vista avevamo creduto, una rigida visione manichea della vita, cornice di un messaggio moralizzatore. Forse questo dipinto è più complesso di quanto avevamo creduto.
Innanzitutto, la nota più evidente è che questa è la prima opera di tutta l'arte occidentale con Caronte come personaggio centrale. Protagonisti non sono gli angeli, o i diavoli, o le anime dei dannati o dei beati, ma il traghettatore, colui che percorre in eterno il fiume, la strada che separa, o mette in comunicazione, mondi diversi. Caronte è colui il cui viaggio non finisce mai, e questo è un perenne avanti e indietro tra le sponde di un fiume. Altra meta gli è preclusa.
Un altro elemento che più colpisce è la strana calma che avvolge quest'opera immobile e perfettamente fuori dal tempo. Patinir è altresì l'iniziatore del grande paesaggio "a volo d'uccello", o ancora "panoramico", o "cosmico", con una prospettiva ampia e molteplici punti di vista.
Occorre soffermarsi su quest'ultimo punto. Questi paesaggi non sono geograficamente accurati, ma costituiscono sempre un compromesso tra la realtà e la fantasia dell'artista. Il pittore mette insieme vari elementi, come città, montagne, fiumi, rocce, foreste e compone un paesaggio ideale come presentazione complessiva dell'universo. Qui si può ben dire che quello di Patinir è un Weltlandschaft, cioè un paesaggio del mondo. Esso può definirsi come una compilazione immaginaria degli aspetti più interessanti e spettacolari di elementi geografici, presentati su più piani in sequenza, che sondano la profondità dello spazio fino a un orizzonte lontano. Questo paesaggio non è altro che il farsi avanti dell'ordine del mondo a partire dalle lontananze. Esso è ripreso da un punto di vista alto, quasi fosse l'occhio stesso di Dio.
Pur prendendo spesso spunto dal paesaggio del territorio nei dintorni di Anversa, la creazione di Patinir rimane sempre altamente intellettuale: le sue composizioni seguono uno schema a tre piani digradanti, sottolineati dal trapasso dal tono scuro del primo piano al chiarissimo del fondo; i colori sono pure irreali e fantastici, con una spiccata preferenza per i toni del verde-blu. La scansione cromatica ci trasmette il senso della variabilità atmosferica: le rocce trapassano dal grigio al rosa, i verdi brillano quando imbevuti di luce mentre rimangono cupi negli angoli e nel fondo dei boschi dove non arriva il sole.
Tali paesaggi non descrivono luoghi reali, ma sono artificialmente costruiti mettendo insieme descrizione e immaginazione. Per questo essi rivelano di più del pittore, de suoi sentimenti e stati d'animo, che della natura medesima. Si tratta insomma di un paesaggio soggettivizzato.
Non più principio di tutte le cose, l'uomo non è più che un atomo in un universo che lo sovrasta, anche se quest'atomo fa ancora parte del tutto. I personaggi della scena, sebbene la loro vicenda dia il titolo all'opera e siano quindi primari per quanto riguarda il tema pittorico, sono tuttavia secondari riguardo allo spazio e alla forma. E nonostante occupino spesso il centro della scena, essi ci appaiono ridotti al rango di poco più di un pretesto per raccontare la bellezza di una natura cosmica ricreata dall'immaginazione dell'artista.

Joachim Patinir, San Girolamo in un paesaggio roccioso, 1520, National Gallery, Londra.

Di tutti i dipinti di Patinir con protagonista San Gerolamo, questo conservato alla National Gallery di Londra è senza dubbio il più spettacolare. Esso mostra un drammatico e tormentato paesaggio di rocce affilate e aguzze e cieli minacciosi.
Il santo è presentato come un eremita vestito di stracci che, in una piccola capanna, è intento a rimuovere la spina dalla zampa del leone.
Molto si è scritto a proposito delle rocce presenti nei dipinti di Patinir, dalla forma di grandi schegge e che sembrano appena violentemente emerse dal sottosuolo. Qualche studioso ha ipotizzato che l'artista si sia ispirato a Leonardo (ad esempio alle formazioni rocciose presenti ne La Vergine delle rocce); altri hanno supposto che il pittore usasse come modelli dei piccoli pezzi di roccia.Si è parlato anche di biomorfismi, dove per formazioni biomorfe si intendono masse rocciose, ricoperte o no da vegetazione, rappresentanti una forma umana, animale o mostruosa, totale o parziale.
La scansione (e opposizione) tra zone brulle e erbose, tra zone cupe e illuminate, fa propendere per una interpretazione morale del paesaggio. La presenza di proliferazioni rocciose dalle forme a volte misteriose può essere letto al di là di una funzione esclusivamente estetica, ma come frutto di una pratica
compositiva che assegna alle zone rocciose un ruolo metaforico. Alcuni studiosi hanno affermato che nella caratteristica ambientazione naturale patiniriana si svolge o è sotteso un percorso eremitico: il viandante o il santo raffigurato, immerso nella natura, rifugge dalle strade piane e agevoli e si inerpicano spiritualmente verso vie tortuose e virtuose. Il paesaggio sarebbe dunque metaforico, una guida verso un pellegrinaggio di tipo mentale. In questo senso viene interpretata la presenza di elementi geografici oppositivi (l'aerea montuosa e inospitale con strade tortuose e impervie da una parte, la ridente vallata dall'altra). La vicenda eremitica del santo si amplia così per accogliere un messaggio sulla salvezza dell'anima, ottenibile inoltrandosi in sentieri non agevoli, scegliendo strade virtuose e non quelle ingannevolmente confortevoli.
Si noti che il punto di vista è sempre alto e che la composizione spaziale poggia su più moduli costruttivi che si susseguono dal primo piano all'orizzonte, evidenziati da un progressivo schiarimento cromatico.

Joachim Patinir, Landscape with St Jerome, 1515-1519, Museo del Prado, Madrid, Spain

Landscape with the Destruction of Sodom and Gomorrah, c.1520, Museum Boijmans Van 


Joachim Patinir, Battesimo di Cristo, 1515, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Joachim Patinir, San Cristoforo trasporta il Bambin Gesù (1520 circa), Monastero dell'Escorial

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