giovedì 30 aprile 2020

NUOVE DONNE E NUOVA VISIONE

Florence Henri, Autoritratto , 1938.

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 


Nuove donne e Nuova Visione

Gli anni Venti e Trenta rappresentano un periodo eccezionale per la storia del mezzo fotografico:  grazie ad un più ampio campo di applicazione, a tecniche di riproduzione nuove o migliorate, a dispositivi più leggeri e pellicole più veloci, grazie all'esistenza di vari gruppi d'avanguardia (Costruttivismo, Surrealismo, Bauhaus) e all’esplosione di molti media, incluso il cinema e la pubblicità, la fotografia conosce profondi cambiamenti.
Nasce la 'Nuova Visione', con il suo peculiare vocabolario: primi piani estremi, ritaglio e punti di vista insoliti, fotogrammi, fotomontaggi e altre pratiche sperimentali, linee diagonali, viste dall'alto o dal basso, dispositivi autoreferenziali o autoriflessivi (ad esempio specchi, riflessi, ombre) e celebrazione di tutti i simboli della moderna industria e tecnologia.

domenica 26 aprile 2020

TRE FOTOGRAFE AMERICANE: FRANCES BENJAMIN JOHNSTON, ANN BRIGMAN E IMOGEN CUNNINGHAM

Frances Benjamin Johnston, Self-Portrait (as New Woman), 1896

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 


Tre fotografe americane: Frances Benjamin Johnston, Ann Brigman e Imogen Cunningham

Alla fine dell’Ottocento, in un periodo caratterizzato da rilevanti cambiamenti della condizione sociale e culturale della donna e dalla nascita dei movimenti di lotta femministi, cominciamo ad assistere alla produzione, da parte di alcune fotografe, di immagini in cui vengono messi in radicale discussione alcuni tradizionali stereotipi di genere che caratterizzavano la rappresentazione della donna da secoli.
Prendiamo in esame alcuni scatti di tre fotografe americane: Frances Benjamin Johnston, Ann Brigman e Imogen Cunningham, che realizzano degli autoritratti che sconvolgono i canoni della messa in scena della figura femminile.
L’autoritratto più famoso di Frances Benjamin Johnston è quello in cui posa di profilo di fronte a un camino acceso, tenendo in mano due oggetti simbolo di "emancipazione femminile": la sigaretta e il boccale di birra. La posizione apertamente provocatoria del suo cappellino, l’espressione del viso decisa, la postura tipicamente maschile della gamba accavallata sull’altra, che mostra le caviglie e la sottoveste bianca, rivelano l’intenzione della fotografa di scandalizzare la morale comune e le convenzioni rappresentative.

sabato 25 aprile 2020

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE. L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA

Wanda Wulz, Io + gatto, sovrimpressione del volto di Wanda Wulz con l'immagine del proprio gatto. Trieste, 1932.

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 

VI. AUTORIFLESSIONE
- Petra Collins e il selfie


Introduzione

Nel corso della storia, l'auto-rappresentazione in immagine - nella forma dell'autoritratto - ha rappresentato per molti gruppi marginali un passaggio alla visibilità e una tappa fondamentale nel processo di costruzione di una propria identità sociale. Uno di questi gruppi è costituito dal genere femminile.
Questo ipertesto prende in esame quelle artiste fotografe che hanno contribuito a modificare e a riplasmare la rappresentazione della donna e, in quest’opera, hanno rivolto l’obiettivo su se stesse, utilizzando soprattutto la forma dell’autoritratto e della messinscena del proprio sé.
Per secoli l'immagine della donna ha subito la definizione e i condizionamenti della cultura patriarcale e dello sguardo maschile. Si trattava, prima di tutto, di emancipare quella immagine dalla pesante sovrastruttura iconografica ereditata dalla tradizione.

mercoledì 22 aprile 2020

LA FOTOGRAFIA E L'INVISIBILE



Sta diventando una ricorrenza comune, in quest'ultimo periodo, trovare, in molti discorsi che parlano di fotografia, l'accostamento con l'aggettivo 'invisibile': "ciò che non può essere visto".
La fotografia mostra l'invisibile, si dice. Ma se lo mostra, allora non è invisibile.
Una fotografia è un oggetto che si vede e contiene qualcosa che chiede di essere visto. E' un luogo finalizzato alla visione.
Allora, come risolviamo l'antinomia?
Ho provato a rifletterci, molto brevemente, e a trarre fuori alcune accezioni di significato del termine 'invisibile' riferito all'immagine fotografica:

1 - la fotografia mostra ciò che è invisibile all'occhio mano. Bene, una verità banale, direi. Sia l'occhio che la fotografia sono due dispositivi della visione, due forme di mediazione ottica tra noi e le cose, ma funzionano in base a meccanismi diversi. Quello della macchina è, per certi versi, molto più capace e performante. Ce ne rendiamo conto ogni volta che andiamo a fare una radiografia. E lo aveva compreso perfettamente Muybridge che fotografava i cavalli al galoppo per capire come muovevano le zampe, visto che l'occhio umano, dalla visione limitata, non riusciva a vederlo. Altri, sempre in quel periodo, cercarono di far catturare alla fotografia altri tipi di invisibile, tipo fantasmi e anime, ma forse in questo caso è meglio sorvolare.

domenica 12 aprile 2020

Insonnia

Magritte, L'heureux donateur, 1966.

Il silenzio di notte è un'altra cosa.
E' un solfeggio lancinante
che si allontana e torna
forse gira in cerchio.
Dovrei imitarlo, certamente,
arrischiare la curva
nel centro del salotto
piuttosto che scavare trincee
tra le finestre della facciata.
Non so se guardare
il brandello di case fuori
cercare il chiarore spezzato
dalle lame di qualche persiana
l'ombra di un'altra insonnia.
O arretrare dalla linea di confine
sul mio riflesso nel vetro.
Se allineo la testa col lampione
posso fare il miracolo
e svanire nella luce.
Contare le auto nel parcheggio
può aiutare. Non brucano,
ma sono immobili e silenziose.
Ci vorrebbe un pianto prolungato
per stancare finalmente gli occhi
ma le lacrime mi tradiscono da mesi.
Quando finirà questo esilio
nella pace sbiancata delle mura?
Cercare di sopravvivere
nuoce gravemente alla salute.

domenica 5 aprile 2020

Quarantena



Se un giorno finirà
il tempo dello sguardo a strisce
dietro l'inferriata chiusa
ti regalerò queste parole
che non sentono ragioni.
Oggi ho fatto un pane scuro
ma il forno l'ha bruciato.
Il fatto è che il suo timer
era rotto già da prima
che io rompessi il mio.
E' successo qualche giorno fa
ma chi può dirlo?
Non ho più metri di misura
per contare tutti i fili
dei nervi e delle giunture
che il mio corpo
sta sciogliendo uno ad uno.

Ho aperto la porta
e l'ho fatto questa volta
senza chiudere gli occhi:
sono uscita dal tempo.
Non ha più parole per me
il ciliegio fiorito laggiù.
Ora so che non avrà fine
il mio alito ostinato
nel cavo delle mani gelate.
Rispondo a domande
che nessuno mi ha rivolto.
Regalo silenzi
senza volere niente in cambio.
Non conosco più
l'anticipo o il ritardo.
Non mastico più il dolore
dell'attesa senza invito.

Farò in modo che duri ancora
la mia quarantena.

sabato 4 aprile 2020

La wilderness e la fotografia americana di paesaggio

Carleton Watkins, El Capitan, Yosemite Valley, Calif., 1865 ca.

Il termine inglese per paesaggio è landscape, che combina la parola land (terra) con un verbo di origine germanica, scapjan/shaffen (trasformare, modellare). Il termine landscape significa, quindi, grosso modo “territorio trasformato”. Il paesaggio, dunque, non è un puro dato naturale. D'altra parte, il paesaggio non è neanche un dato puramente estetico e psicologico, un romantico stato d’animo individuale, una rappresentazione spirituale, la natura che si rivela esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento.
Il paesaggio è prima di tutto una costruzione culturale, un processo di rappresentazione, organizzazione e classificazione dello spazio. In esso convergono le simbologie, l’immaginario, le aspettative e le relazioni di una determinata comunità. Un luogo diventa paesaggio perché subisce un processo di trasformazione causato dall’agente culturale.
Non esiste, inoltre, un paesaggio in senso oggettivo e indipendente da un osservatore e dall’azione esercitata dall’uomo. Il paesaggio è sempre un prodotto dell’intervento degli individui e delle comunità, che non si limitano a modificare l’ambiente in senso fisico attraverso la trasformazione del territorio, ma anche attraverso l’elaborazione di connotazioni e di rappresentazioni simboliche complesse.