mercoledì 4 marzo 2020

PASSIVO OGGETTO DELLO SGUARDO. LA VIOLENZA

Peter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni, 1607


Vista con gli occhi di un uomo. Alcuni stereotipi di genere nell’arte dal Rinascimento al Novecento

INDICE DELL'INTERO PERCORSO
Introduzione
I - Passivo oggetto dello sguardo
            - Il sonno
            - Il bagno
            - La toilette e lo specchio
            - Il serraglio
            - L'estasi mistica
            - La violenza
II - Angelo del focolare
Appendice - Con le mani in mano
III - Femme Fatale
IV - Corpi tra metamorfosi e frammentazioni

La violenza 

Sia nel Vecchio Testamento che nella mitologia classica che nella storia di tutti i tempi non mancano le storie di violenza perpetrata contro le donne, insidiate, rapite, stuprate. Le rappresentazioni di questi episodi di rapimento o di violenza sessuale definiscono i contorni di un sistema iconografico tutto al maschile. E’ in particolare con il venir meno dell’ideale umanista del Rinascimento e con l’affermazione dello stile manierista prima, e di quello barocco poi, che l’arte andrà in cerca di effetti emotivi e spettacolari tali da provocare  deformazioni e torsioni dei corpi e l’esasperazione dei gesti e delle espressioni, enfatizzando la violenza della rappresentazione. Le immagini mettono insieme erotismo e sadismo, offrendo la vista di una vittima impaurita o terrorizzata e completamente alla mercé del potere dell’uomo. Tiziano, Bernini, Rubens e tantissimi altri impiegano tutto il proprio virtuosismo artistico in queste scene: rappresentare un corpo che afferra impetuosamente e con violenza un altro corpo è una vera sfida artistica.

Si possono citare le iconografie che riprendono i vari miti classici in cui qualche dio dell’Olimpo seduce e possiede, o cerca di farlo, spesso ricorrendo all’inganno, al travestimento o alla violenza, la donna di cui si è invaghito, come accade per Apollo e Dafne, per Pan e Siringa, o per Giove e le sue numerose prede: Europa, Danae, Leda, Io, ecc. Ma ricordiamo, altresì, le iconografie tratte dal Vecchio Testamento, come la storia di Susanna e i Vecchioni, o dal Nuovo Testamento come la lapidazione dell’adultera, o ancora quelle ispirate alla storia romana. Tra queste c’è quella di Lucrezia, narrata da Tito Livio, che violentata da Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo, decide di uccidersi per non vivere nel disonore; oppure la storia della violenza di Marte su Rea Silvia o, ancora, le opere dedicate al ‘Ratto delle Sabine’.
Qui si va oltre il dispositivo scopico che manteneva le distanze tra predatore e preda. L'oggetto dello sguardo desiderante viene raggiunto e ghermito, affinché diventi oggetto di possesso a tutti gli effetti. La mano completa l'azione degli occhi, ponendo fine alla frustrazione generata dal senso della vista.

Susanna e i vecchioni

Centinaia sono i dipinti dedicati alla storia di Susanna e i Vecchioni, uno dei temi più frequentati dall’arte del Cinquecento e soprattutto del Seicento,  da Tintoretto a Veronese, da Artemisia Gentileschi a Reni, da Rubens a Jusepe de Ribera. Nelle opere si vede quasi sempre una donna nuda, a volte di poco coperta da un drappo sottile, che viene spiata o più spesso insidiata o aggredita da due uomini anziani. C’è sovente orrore sul volto di Susanna e si nota sempre, attraverso i gesti della donna, anche l’intento di proteggersi dall'aggressione. Spesso in queste tele tende a prevalere la sensualità di un corpo nudo esposto allo sguardo maschile; altre volte a risaltare è, invece, l'espressione terrorizzata e implorante della donna, come accade per le versioni realizzate da Artemisia Gentileschi.
La storia di Susanna è quella di un'ossessione dello sguardo che degenera in sopruso, e più i due vecchi guardoni si avvicinano alla loro preda più la scena si carica di violenza.

Peter Paul Rubens. Susanna e i vecchioni, 1609-1610. Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Giuseppe Bartolomeo Chiari, Susanna e i vecchioni

École française, XVIIe-XVIIIe siècle, Susanna e i vecchioni


Jacopo Amigoni, Susanna e i vecchioni, 1740-45

Claude Vignon, Susanna e i vecchioni

Susanna e i vecchioni

Rapite e stuprate

In questo collage viene trattato uno dei temi ricorrenti nella mitologia, come nelle fonti della storia romana, cioè quello del rapimento, ovvero l’azione violenta di sottrazione della donna dal suo contesto quotidiano per mano di un dio o di un uomo. Si parte dalla mitologia greca, in cui si narra la storia del rapimento, ad opera di Borea, della principessa ateniese Orizia, che si era rifiutata di concederglisi e che il dio cattura mentre balla sulle rive dell'Ilisos. Nelle Metamorfosi di Ovidio sono narrati numerosi rapimenti, molti dei quali ad opera di Giove. Quest’ultimo, ad esempio, rapisce Europa travestito da candido toro. Ovidio narra altresì il ratto di Proserpina, giovane figlia di Cerere, che viene rapita da Plutone, re degli Inferi. Dalla mitologia greca proviene inoltre la storia del rapimento di Elena da parte di Paride e quella delle figlie di Leucippo ad opera di Castore e Polluce, mentre dalla storia romana è tratta quella nota come il Ratto delle Sabine. Fra le opere più celebri su quest’ultimo tema c’è quella dell’artista francese Nicolas Poussin, in cui viene efficacemente rappresentata la brutalità dell’evento. La forza dei romani è messa in evidenza dalla loro prestanza fisica e dalle loro armature. Il dolore delle donne che subiscono l’aggressione è invece richiamato dal gesto delle braccia aperte, gesto tradizionale di dolore già nell’iconografia antica.

Cavalier d‘Arpino,  Ratto di Proserpina, 1615-20 ca.

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, particolare, 1621-22.

Francesco Albani, Ratto di Europa, 1640-45.

Ciò che domina in queste immagini è un terribile modello di relazione tra uomo e donna, ma la natura erotica ed esteticamente fastosa dei dipinti colloca la scena in una pericolosa ambiguità: la violenza maschile appare come mitica e archetipica, appartenente al corso naturale della storia, accettata e normalizzata dalla cultura che la rappresenta in forme piacevoli e seducenti alla vista.

Rapimento

Possiamo notare le prime rappresentazioni di scene di violenza sessuale in alcune pitture vascolari risalenti all’Antica Grecia, che raffigurano il forte Aiace, spesso con la corazza, l’elmo e la spada sguainata, mentre afferra i capelli della profetessa Cassandra, figlia di Priamo, aggrappata alla statua della dea Atena. Quello che più colpisce in queste scene è l’opposizione fra la nudità di Cassandra (che evidenzia la sua condizione di fragilità) e la corazza di Aiace. Per vendicare l’oltraggio nei suoi confronti e la violenza su Cassandra, Atena – definita anche come colei che protegge da nozze violente – provocherà il naufragio dell’intera flotta greca al ritorno da Troia.

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Aiace e Cassandra, 1806

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25.

Nell’arte classica lo stupro è rappresentato, tramite un processo di sostituzione metaforica, dall’attacco inferto con la spada. La stessa arma sguainata e puntata contro la donna, e la stessa traslazione simbolica, la troveremo nell’iconografia che rappresenta un altro episodio di stupro (narrato da Tito Livio nel suo Ab Urbe condita libri), quello inferto da Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo, ai danni di Lucrezia, moglie del nobile Collatino. Secondo il racconto narrato da Tito Livio, questo episodio porterà alla cacciata da Roma della famiglia dei Superbi e all’avvento della Repubblica. Quest’aura di storia e leggenda ha permesso a Lucrezia di diventare una delle figure femminili più famose della cultura occidentale, passando attraverso i secoli, dall'antichità ad oggi, trasmessa in tutte le forme di tradizione scritta: prima usata come modello di comportamento nelle scuole di retorica, poi nei trattati di pedagogia e nei sermoni predicatori; ha poi ispirato poeti e drammaturghi, nonché molti pittori e scultori, soprattutto in epoca barocca quando il suo successo è al culmine.

Questo collage in alto è dedicato a queste storie di violenza, consumata fino in fondo o tentata, che comprendono l’episodio di Aiace e Cassandra, quello di Pan e Siringa, di Apollo e Dafne, quello biblico di Tamar violentata dal fratello Amnon e, nelle ultime due file, la storia di Lucrezia e Tarquinio.
Violenza

Questo episodio e la rappresentazione che ne è stata data, sia a livello iconografico che letterario, hanno contribuito a plasmare un certo tipo di atteggiamento pubblico nei confronti delle donne violentate. Perché la matrona romana, dopo la violenza, prima racconta al marito e ai parenti l’oltraggio subito facendosi promettere da loro una sanguinosa vendetta, e poi si suicida, per provare la sua innocenza. La storia del personaggio si rivela essere quella di uno stereotipo polisemico, che è stato arricchito dalle sue numerose riscritture. Se, infatti, generalmente Lucrezia è celebrata come un personaggio eroico, tuttavia Sant'Agostino, nel De civitate dei, ridisegna in bianco e nero questo racconto, contestando tale modello pagano di virtù, sostenendo che la donna non avrebbe dovuto suicidarsi se la sua anima era innocente e arriva a ipotizzare che si sia suicidata per espiare il piacere provato al momento dello stupro. In un caso o nell’altro, la figura della donna ne esce vittima due volte: o moralisticamente celebrata perché giunge al sacrificio estremo del suicido pur di dimostrare la sua innocenza e preservare la sua virtù o colpevolizzata perché forse condiscendente all’atto carnale. Ma come sempre in questo tipo di storie, la rappresentazione dell’episodio diventa occasione per raffigurare scene di erotismo e di violenza contro una donna, mascherati da sentimenti di eroismo e di insegnamento morale.


Eustache Le Sueur, The Rape of Tamar, 1640 ca.

La maggior parte dei dipinti si concentrano sulla scena in cui Sesto Tarquinio sorprende Lucrezia: la violenza sessuale che seguirà è suggerita dal pugnale sguainato e puntato contro la giovane. Troviamo il pugnale anche in un’altra tipologia di dipinti legati alla storia di Lucrezia, in cui la donna è raffigurata mentre si suicida, trafiggendosi il petto nudo - una chiara allusione allo stupro subito - e la cui espressione di godimento evoca un piacere di natura estatica.
Il suicidio di Lucrezia ha ispirato molti pittori dell’antichità. La donna era stata elevata a modello di virtù perché aveva lavato con la morte l'onta dell'oltraggio patito. Ma proprio l'evidenza della punizione rappresentata sulla tela permetteva all'artista un intenso grado di sensualità, giustificata dall'eroicità dell'atto che riscattava la virtù compromessa. E così Eros si intrecciava a Thanatos, formando un connubio che si è stretto intorno alla figura della donna per secoli.

Tiziano Vecellio, Tarquinio e Lucrezia, 1515.

Hans von Aachen, La violazione di Lucrezia, 1600
Guido Reni, Il suicidio di Lucrezia, 1622-23.

Il suicidio di Lucrezia



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