martedì 24 marzo 2020

CORPI TRA METAMORFOSI E FRAMMENTAZIONI

Paul Delvaux, L'aurora, 1937.

Vista con gli occhi di un uomo. Alcuni stereotipi di genere nell’arte dal Rinascimento al Novecento

INDICE DELL'INTERO PERCORSO
Introduzione
I - Passivo oggetto dello sguardo
II - Angelo del focolare
Appendice - Con le mani in mano
III - Femme fatale
IV - Corpi tra metamorfosi e frammentazioni
      - Lo sguardo del Surrealismo sulla donna
      - La figura femminile nella pittura di Magritte
      - Le donne di Man Ray
      - Il corpo feticcio. La poupée di Hans Bellmer


Lo sguardo del Surrealismo sulla donna

Già a partire dall’arte di fine Ottocento si assiste a una messa in causa globale dell’idea classica di bellezza anatomica e dei canoni di proporzione che avevano caratterizzato la rappresentazione del corpo umano per lunghi secoli.
L’arte del ventesimo secolo aggredisce la tradizionale rappresentazione della figura femminile e di quella umana in genere; i movimenti del Cubismo, dell'Espressionismo, del Futurismo ne restituiscono un'immagine dislocata, geometrica, distorta, sfigurata.
Il Surrealismo porta la rappresentazione del corpo umano e della figura femminile in altri territori, che adoperano abbondantemente gli stilemi della frammentazione e dell'ibridazione. Il movimento fondato da Breton trae ispirazione dalla Metafisica di de Chirico e dal Dadaismo di Duchamp, attingendo all’universo del pre-cosciente, del sogno, del mito, delle libere associazioni. La mutazione, la metamorfosi, il paradosso, diventano il terrain vague su cui lo sdoppiamento tra realtà e surrealtà può agire per far emergere le illimitate possibilità dell’inconscio.
L’arte surrealista rappresenta soprattutto corpi ibridi, luoghi di metamorfosi tra uomo e animale o pianta, tra uomo e oggetto inanimato, tra uomo e creatura fantastica, dando vita al “mostro”, al corpo polimorfo, meraviglioso e terribile al tempo stesso, che crea nello spettatore uno shock psichico e visivo, conducendolo nel regno dell’inconscio. Ecco allora le donne-albero di Delvaux, la Sposa-uccello di Max Ernst, i corpi ibridi di Magritte, le Veneri con i cassetti di Salvador Dalì.

Je ne vois pas la (femme) cachée dans la forêt

Malgrado la sostanza trasgressiva e provocatoria del Movimento, gli esponenti maschili del Surrealismo continuano a tenere un atteggiamento verso il genere femminile che non si discosta molto dalla tradizione e che sottopone la donna a un processo ambivalente di reificazione, da una parte, e di astrazione a utopica proiezione dall’altra, che la confina nei ruoli contraddittori di musa e dea, femme-enfant e strega, vergine spirituale e femme-fatale, cioè di un essere definito in funzione dell’uomo e non come soggetto dotato di un’identità autonoma. Benché posta su un piedistallo e le venga concesso un ruolo centrale (emblematico è il foto-collage, quasi un’immagine manifesto, realizzato da Magritte, dal titolo Je ne vois pas la (femme) cachée dans la forêt, pubblicato in La Revolution Surréaliste nel 1929), la donna resta tuttavia relegata allo status di oggetto - del desiderio, dell'ispirazione, della paura, della devozione – dell’uomo. Si ritiene, in particolare, che le donne siano dotate di poteri magico-salvifici, grazie al fatto di avere una speciale connessione con le forze irrazionali e con la natura, in grado, pertanto, di mettere l’artista in comunicazione con quel mondo oscuro e misterioso.

Salvador Dalì, Sogno causato dal volo di un'ape intorno a
una melagrana un attimo prima del risveglio, 1944.
La donna viene posta al centro dell’estetica del gruppo, in quanto vestale di un progetto di trasformazione sociale, ma gli stereotipi in cui la si inquadra sono quelli della folle, dell’isterica, della donna-bambina, della ribelle, considerate da Breton e compagni come perfette incarnazioni di quell’alterità in grado di scardinare la realtà borghese. Inoltre, nelle pitture di Dalí, Magritte, Masson, nei collage di Ernst o nelle fotografie di Man Ray e Hans Bellmer si sprigiona una notevole violenza verso il corpo della donna, ridotto a feticcio, disarticolato, reificato. L’atteggiamento contraddittorio nei confronti dell’universo femminile passa dal desiderio di dominio (fisico, mentale, sessuale) all’esaltazione mistico-celestiale di una figura intangibile ed eterea. La follia e l’infantilismo sono considerati gli aspetti fondanti l’identità femminile, che fanno della donna il mediatore ideale dell’irrazionale. Scrive Giulia Ingarao:
“Nell’universo surrealista la donna è sempre proiezione del desiderio maschile o strumento attraverso cui l’uomo può sperimentare il mistero. Detentrice di poteri magici e metamorfici, vive in una contraddizione irrisolta, allo stesso tempo sublimata e degradata, è considerata dea e serva. Teorici e artisti del movimento identificano il femminile con un mondo fecondo di immagini, notturno e imprevedibile, ma privo di un ruolo autonomamente generativo.” (da Archetipi del femminilehttps://www.indiscreto.org/la-donna-surrealista/?fbclid=IwAR11vNWxMzbg_FsYsYTBH1MRehJiV4fxyZgGHHEKSSr836fU_pCFX9CusJQ)

Da questo punto di vista, è indicativo come il teorico e fondatore del Surrealismo, André Breton, nel suo testo Aracne 17 (1944), articoli la visione di un Mondo Nuovo, dove le donne hanno maggior spazio e potere, sia nell’arte che nella vita, e contemporaneamente faccia ciò invocando Melusina, figura della mitologia medievale, fata dell’acqua dal corpo ibrido, con la coda di pesce o di serpente al posto delle gambe. Il Surrealismo, d’altra parte, è una corrente caratterizzata proprio dalla metamorfosi e dall’ibridismo, incentrato in particolar modo sulla forma femminile, il cui corpo viene non di rado frammentato, tagliato e ricomposto, mescolato con parti di oggetti o di animali.

Paul Delvaux, L'appel de la nuit, 1938.

La metamorfosi compare anche nell'opera di Paul Delvaux. I suoi quadri, in cui lo spazio metafisico dechirichiano si compone con lo straniamento di Magritte, sono popolati da inquietanti figure femminili, immerse in mondi onirici e fuori dal tempo, spesso coinvolte in processi di metamorfosi vegetale. Così, ad esempio, nel dipinto L’Aurora dove, in uno spazio surreale, quattro enigmatiche figure sono poste a semicerchio intorno a un’ara classica. Esse hanno la testa e il busto di donna ma la parte inferiore del corpo è costituita dal tronco scabro di un albero, le cui radici penetrano nel suolo, imprigionando le figure e costringendole all’immobilità. Queste donne ci appaiono creature arcane, vestali che abitano un universo sospeso tra il sogno e il mito, icone dalla sensualità congelata nei grandi occhi spalancati e immoti.

Max Ernst, La vestizione della sposa (1926) Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Mostri da incubo sono quelli che abitano l’opera più celebre di Max Ernst, La vestizione della sposa (La Toilette de la mariée, 1940), in cui predomina una figura mostruosa dal corpo nudo di donna e testa di uccello rapace dalle piume rosse come il fuoco. A sinistra si scorge un altro essere mostruoso di colore verde, con arti umani e testa di uccello, la cui mano destra stringe una grande freccia spezzata. A destra un’altra figura femminile con il corpo nudo e la chioma di capelli che si apre verso l’alto a ventaglio. In basso, a destra, sul pavimento notiamo un altro piccolo essere verde, con piedi palmati, genitali maschili, ventre gonfio e quattro mammelle.

Max Ernst, L’Antipapa, 1942

Spesso i personaggi di Max Ernst, che appartengono quasi sempre a universi fantastici, sono figure di donna ibridate con animali. Pezzi di corpi femminili emergono da grovigli di tessuto, piume, alghe, vegetazione marina che sembrano inglobare le figure, trasformandole in mostri inquietanti.

Max Ernst, Le jardin de la France, 1962.

In Le jardin de la France, del 1962, Ernst riprende un'opera di Cabanel, La nascita di Venere (1764), cambiandone radicalmente il contesto e il significato.  Mentre il pittore neoclassico faceva fluttuare il corpo della dea sulle onde del mare, circondato da amorini, Max Ernst lo seppellisce sotto la terra, racchiusa da due fiumi. La donna è sorgente di vita, è la valle della Loira, irrigata da molti fiumi. E' il fertile giardino di Francia, dove tutto cresce e fiorisce. Questa donna, di cui vediamo solo un corpo frammentato privo di testa, è allo stesso tempo una rappresentazione del desiderio, centrata sul sesso, sulle gambe e su un seno. Questo nudo, che nella pittura di Cabanel era un esempio dell'ideale neoclassico di armonia e perfezione, nell'opera di Ernst diventa reale ed erotico, anche a causa del serpente nero che, come una sensuale giarrettiera, avvolge la gamba piegata. 
Ancora un corpo femminile nudo e privo di testa, fluttuante nel cielo, era rappresentato in un altro dipinto, Pleiades, di molto precedente Le jardin de la France.

Max Ernst, Pleiades, 1920

I surrealisti elaborano e mettono in forma uno sguardo nuovo e molteplice sulla donna, per quanto inserito nel solco di una secolare reificazione. In La femme chancelante Ernst dipinge una donna dai capelli appuntiti, si direbbe una ballerina, intrappolata da una macchina e in equilibrio precario. La donna non è più in armonia con la natura, ma è diventata una creatura fredda e rigida. È il congegno meccanico che ha preso il controllo del corpo, trasformandolo in un ibrido metà donna metà macchina.

Max Ernst, La femme chancelante, 1923.

Il tema della metamorfosi è il centro di gravitazione dell'opera di Salvador Dalì. Ogni oggetto che viene investito dalla sua arte viene trasformato in qualcosa di altro da sé. Persino le icone immortali della tradizione, come la Venere di Milo, emblema della perfezione del corpo apollineo. La sua versione della statua è forse una delle citazioni dell’arte classica più sconcertanti. L’opera, del 1936, è formata da un calco in bronzo ricoperto in gesso, riproducente su scala dimensionale ridotta il capolavoro della statuaria ellenistica del II secolo a.C. conservato al Louvre di Parigi. La versione daliniana è però arricchita da una variazione inquietante: nel corpo della statua, in corrispondenza di alcune parti anatomiche, sono inseriti dei cassetti apribili, chiari simboli dei luoghi reconditi del nostro inconscio, in cui si nascondono paure, traumi, tabù.


Salvador Dalì, Giraffa in fiamme, 1936-37.

S. Dalì, Venere di Milo con cassetti, 1936.

La figura della dea, emblema iconico della bellezza, viene così trasformata in un oggetto, un mobile con cassetti. Ma questo spostamento di significato sembra suggerire un’implicazione profonda: la ricerca del bello, che ha attraversato tutta la storia dell’arte, ci restituiva solo un’apparenza, una forma vuota. Ora l’arte ha bisogno di esplorare l’interno, i territori dell’inconscio, andando oltre l’esteriorità del corpo.

Salvador Dalì, Il mobile antropomorfico, 1936.

Il tema della donna a cassetti viene affrontato dall’artista in numerosi quadri e disegni: sia la figura femminile in primo piano ne La giraffa in fiamme, che quella a terra ne Il mobile antropomorfico, entrambi del 1936, hanno anch’esse dei cassetti che stravolgono lo schema razionale, unitario e chiuso, del corpo umano. Al contrario della Venere di Milo, qui si tratta di due immagini fortemente drammatiche, in cui il contenuto oscuro dei cassetti fornisce alle figure un pericoloso squilibrio. Nel primo caso, a nulla valgono le stampelle (tema iconografico ricorrente nella pittura di Dalì) che dovrebbero fungere da sostegno. La donna è senza volto e, nonostante la posa aggraziata ispirata a quella delle mannequin dell’alta moda, genera nell’osservatore una sensazione di ansia e inquietudine. La stessa provocata dall’altra opera, Il Mobile Antropomorfico, in cui vediamo una donna il cui busto è interamente squarciato da numerosi cassetti aperti, drammatica visualizzazione dell’emersione irrefrenabile dell’inconscio.

Salvador Dalì, Young Virgin Auto-Sodomized by the Horns of Her Own Chastity, 1954

Oltre che ibridato, il corpo della donna daliniana è spesso scomposto e disarticolato, come nel  dipinto intitolato Giovane vergine autosodomizzata dalle corna della sua stessa castità. Dalí riprende un suo dipinto del 1925, Ragazza alla finestra, ma lo priva dell'atmosfera romantica e malinconica che lo caratterizzava e scompone il corpo della donna in pezzi, dando vita a un'immagine impregnata di sadismo e perversione, servendosi di un oggetto, feticcio della sua pittura: le corna di rinoceronte.
Quella sessuale è ben più di un'allusione. Le forme cornute che fluttuano minacciose intorno alla donna sono palesemente falliche, e il titolo del dipinto offre un indizio diretto sul tono aggressivo e sadico dell'opera.

Salvador Dalì, Galatea delle sfere, 1952.

Salvador Daliì, The face of Mae West

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