venerdì 8 dicembre 2017

L'Omaggio all'Ariosto di Franco Vaccari

Franco Vaccari, “Omaggio all’Ariosto. Esposizione in tempo reale n.8”, 1974.

“Ero stato invitato nel 1974 a partecipare ad una mostra dedicata all’Ariosto, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Così ho deciso di ripercorrere il tragitto che si dice lui avesse fatto a piedi, da Carpi a Ferrara, in ciabatte, distratto, come tutti pensano che siano i poeti. Io l’ho fatto in macchina, e invece delle ciabatte avevo gli zoccoloni d’ordinanza. Prendevo le cartoline dei paesi che attraversavo, fra un paese e l’altro facevo le Polaroid, le incollavo sulle cartoline, le timbravo, le spedivo al Palazzo dei Diamanti. Mi interessava l’interazione fra la foto Polaroid, che diventava il documento irripetibile del viaggio, e le immagini immutabili delle cartoline. Un’interazione fra il persistente e l’occasionale”.
Questo è il modo con cui l'artista e teorico Franco Vaccari descrive uno dei propri “Viaggi minimi”, “Omaggio all’Ariosto. Esposizione in tempo reale n.8” (1974).

Vaccari è stato l’ideatore della formula estetica denominata “Esposizioni in tempo reale”, in base alla quale l’opera d’arte non si pone come un fatto chiuso e compiuto, ma come un work in progress continuamente in divenire e aperto sia all’intervento del caso che al coinvolgimento attivo dello spettatore, cosicché l’artista, da unico autore, si trasforma in colui che innesca un evento senza detenerne il controllo assoluto, demandandone l’esito alla contingenza del luogo, del tempo, del contesto e dell’interazione con il pubblico.
Come si sa, i due cardini del lavoro di Vaccari sono il concetto di “occultamento dell’autore” e quello di “inconscio tecnologico”: “Una delle differenze fondamentali fra un quadro e una fotografia è che in quest’ultima ci sono informazioni involontarie, informazioni parassite, nicchie di mistero dove il rapporto fra gli elementi è in gran parte ignoto…è per questa ragione che si può parlare di ‘inconscio tecnologico’.” (Franco Vaccari, 1979). Entrambi i temi hanno a che vedere con la ridefinizione dell’identità dell’arte e del ruolo dell’autore e del pubblico, nonché con la valorizzazione dell’autonomia creativa della macchina.
Ottenuta una certa affermazione e notorietà in seguito alla sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1972, dedicata al tema “Opera o comportamento”, con l’installazione “Lascia su queste pareti una traccia del tuo passaggio”, Franco Vaccari porta avanti il suo lavoro, che può essere collocato nell’ambito del “realismo concettuale”: “realismo” perché la sua visione parte da una concezione “indicale” della fotografia, intesa come traccia, cioè come segno derivante da un legame diretto, e non da un rapporto convenzionale o di somiglianza, con il proprio referente, e limita al minimo il ruolo dell'autore nella generazione dell'immagine fotografica, lasciando fare soprattutto alla macchina e al suo inconscio tecnologico; “concettuale” perché lo scopo non è quello di ricavare una rappresentazione della realtà, ma di affermare un'idea ben precisa: la messa in crisi dell’idea tradizionale di “autorialità” e il sovvertimento rispetto alle prospettive e ai sistemi di rappresentazione consolidati.
Nella prima metà degli anni ‘70, quello del viaggio è un tema costante dei suoi lavori (Seconda Esposizione in tempo reale: Viaggio + Rito, 1971; Per un trattamento completo – Viaggio nell’albergo diurno Cobianchi di Piazza Duomo, 1971; 700 km di esposizione Modena-Graz, 1972; Esposizione in tempo reale n. 8: Omaggio all’Ariosto, 1974; Viaggio sul Reno, 1974; Viaggio Trip Lucido, 1975), declinato secondo diverse modalità progettuali, tutte accomunate però dall'obiettivo di ridefinire il topos del viaggio, cercando di annullarne ogni risvolto estetico, epico o esotico.
Nell'omaggio all'Ariosto, Vaccari documenta il suo viaggio con l’acquisto di una cartolina nei paesi di passaggio, la realizzazione di una Polaroid e la spedizione di entrambe per posta al museo dove si sarebbe tenuta la mostra.
Polaroid e cartoline erano, al tempo, due presenze classiche associate al viaggio, soprattutto quello turistico. La cartolina contiene solitamente un'immagine consolidata, iconizzata e retorica di un luogo; ad essa Vaccari sovrapponeva il frammento della propria istantanea. Scrive a riguardo Roberta Valtorta: “Sceglie la Polaroid, che nella sua radicale istantaneità è fotografia-azione. Poi introduce un altro classico elemento del viaggio: la cartolina, acquisto e invio. Sovrappone alla visione assoluta e retorica della cartolina cristiallizzatasi nel tempo e nella consuetudine, visioni frammentate parziali, provvisorie: questo nuovo oggetto visivo crea una doppia personalità al viaggio: una assoluta e una banale, quotidiana. Poi le cartoline vengono regolarmente imbucate, timbrate, recapitate. Viaggiano. Viaggia l’artista, viaggia l’opera che si fa nelle sue parti” (http://www.teotelloli.it/…/Roberta-Valtorta-Concettualit%C3…).
L'opera non giungeva al museo già compiuta e pronta per l'esposizione, ma veniva realizzata contemporaneamente al viaggio dell'artista verso la mostra stessa. L'utilizzo del ready-made delle cartoline, l'apertura alla contingenza e il farsi dell'opera contemporaneamente alla sua esposizione e usufruizione rientrano nella costante ricerca di Vaccari tesa alla messa in discussione della pratica autoriale e dei sistemi convenzionali di realizzazione, produzione e fruizione dell’oggetto artistico. Nei viaggi in cui si autocostruisce la mostra, l'arte cessa di essere oggetto di contemplazione passiva per essere invece esperienza autentica.
Ritratto e fotografia di viaggio sono da sempre i due generi fondamentali della storia della fotografia. Vaccari “demistifica” i modelli comuni di entrambi. In “Lascia su queste pareti una traccia del tuo passaggio” operava sul ritratto; nell'Omaggio all'Ariosto (come in altri progetti) mette invece in discussione le forme stereotipate e massificate del viaggio, cioè la documentazione da fotoamatore dei viaggi turistici, improntata a un modello di esotismo preconfezionato, folcloristico o estetizzante. Un tale modo di intendere il viaggio, invece di costituire una reale apertura all'alterità, altro non è che l'imposizione al luogo visitato, da parte del soggetto, di una visione standardizzata e di una costruzione fittizia, modellata su aspettative preesistenti.
L'utilizzo della cartolina, inoltre, è riconducibile alla cosiddetta “mail art” sviluppatasi a partire dalla fondazione della “New York corrispondence school of art” (1962), pratica divenuta diffusa nelle ricerche concettuali del decennio successivo, ricondotta da Vaccari a una volontà di reazione da parte degli artisti a una serie di mistificazioni dell'arte, quali la poeticità, il profondo, il sublime, il misterioso. Con l’utilizzo delle poste come sistema di diffusione dell'oggetto artistico, essi bypassavano i sistemi tradizionali, affidandolo invece ai circuiti propri della vita quotidiana.
Vaccari opera un capovolgimento del simbolismo convenzionale di rappresentazione del viaggio, realizzando istantanee di dettagli marginali, che rifuggono l'estetismo della maggior parte della fotografia del tempo e che ben poco hanno sia di turistico che di spettacolare, che ignorano volutamente gli itinerari consigliati dalle guide turistiche e non perseguono né il bello né il pittoresco né il folcloristico, ma anzi cercano di far scaturire il reale attraverso la delega del controllo autoriale nel processo di produzione dell’oggetto artistico.
I viaggi di Franco Vaccari sono dunque da intendersi a partire da tale visione e costituiscono un articolato e sistematico progetto di “decostruzione” di modelli predefiniti in funzione di uno sguardo sul reale che vuole sempre essere portatore di un’istanza critica. Scrive ancora Valtorta: “Per Franco Vaccari, la fotografia è un grimaldello per liberare comportamenti, significati, prove di scrittura, e per discutere il rapporto fra agire artistico e vita (un retaggio dada, un legame con Duchamp). Vaccari cambia le funzioni della fotografia, la spoglia, la scuote. Abbatte ogni mira di tipo formale ed estetico, mette a nudo il meccanismo della fotografia. Ed è significativo che spesso compia questo grazie alla formula del viaggio”.

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