sabato 19 settembre 2020

Marcella Campagnano e l’invenzione del Femminile

Marcella Campagnano, L’invenzione del Femminile: Ruoli, 1974

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 


La produzione di Marcella Campagnano (artista inserita nell’ambiente del movimento femminista milanese), iniziata negli anni Sessanta, si pone l’obiettivo di decostruire il canone culturale della femminilità elaborato nei secoli dalla società patriarcale. La fotografia diviene allora da un lato uno strumento finalizzato alla consapevolezza di come il corpo sia una costruzione culturale, un luogo segnato da rapporti di potere, mostrando l’illusorietà di qualsiasi visione neutra (e asessuata) della realtà, e dall'altro lato un modo nuovo di concepire e di costruire l’identità e il corpo della donna. 

La accomuna ad altre artiste, come ad esempio Martha Wilson e Cindy Sherman, il ricorso al travestimento e al gioco di ruoli. Nel 1974 prende il via il suo ciclo fotografico L’invenzione del Femminile: Ruoli, che fin da subito rivela la sua forte connotazione politico-sociale. Si tratta di fotografie in cui la stessa artista ritrae se stessa (e alcune amiche del collettivo femminista di cui la Campagnano faceva parte) nelle vesti che richiamano i diversi ruoli e funzioni sociali che la tradizione patriarcale assegna alle donne: la sposa, la madre, la casalinga, l’operaia, la prostituta, l’amante, la militante di sinistra, indagando così la costruzione dell’identità femminile. Prendere coscienza di quei cliché rappresentava il primo passo di messa in discussione degli stessi.



Come afferma la stessa Marcella Campagnano, si trattava di rigettare lo sguardo intimistico-psicologico così ovvio e diffuso in quegli anni per cercare di rivoluzionare il linguaggio dell’arte e il discorso intorno al femminile. L’artista riparte dal proprio corpo per riconquistare la facoltà di rappresentarsi come soggetto attivo. Sulla genesi del sua opera, è interessante leggere quanto ci racconta la stessa Campagnano, relativamente al contesto della messa in scena e alle pratiche relazionali, sia teatrali che politiche, che ne sono all’origine:

"L’invenzione del Femminile: Ruoli è stata una sorta di teatro dell’esperienza, nato nel soggiorno di casa mia, spostando un divanetto, appendendo al muro un pezzo di moquette grigio neutro, due lampade rivolte al soffitto per ottenere una luce diffusa, quasi naturale e uno specchio, perché ognuna di noi potesse controllare la propria immagine prima dello scatto annunciato. La macchina, fissa sul cavalletto, era usata come un elettrodomestico, un frigorifero di cui apri e chiudi lo sportello. Parafrasando Virginia Woolf, in mancanza di “uno studio tutto per sé”, l’appartamento piccolo-borghese – storico luogo di quell’ineludibile ossimoro dell’oppressione-creatività che milioni di donne soffrono, ora non più in silenzio – si trasformava in un improvvisato set fotografico. La “recita” si svolgeva in mezzo a un fluire di discorsi, iniziative, prese di posizione, risate, complicità e una certa indifferenza per il risultato finale. Intorno alla macchina fotografica immobile sul cavalletto – che non cerca, non insegue la sua preda – ruotano persone impegnate alternativamente davanti e dietro l’obiettivo. La gerarchia che scandisce soggetto e oggetto, in questo modo è, almeno in parte, sospesa. Le mie sequenze non illustrano figure straordinarie, registrano il migrare possibile, latente di un’identità quotidianamente agita. La fotografia è stata solo lo strumento che ha registrato la mobilitazione spontanea, partecipata ed entusiastica di decine di amiche che, in quei giorni, si prestavano allegramente a un gioco di svelamento del proprio essere al mondo, di cui ognuna di noi coglieva la sotterranea induzione da parte di modelli maschili, che da secoli suggeriscono e guidano la nostra possibile o improbabile identità femminile." (https://flash---art.it/article/marcella-campagnano/)

E’ significativo che, proprio nello stesso anno, un’altra artista, dall’altra parte dell’Atlantico, stia portando avanti un progetto simile. Si tratta della serie fotografica A Portfolio of Models, di Martha Wilson, dove l’autrice si rappresenta in analoghi ruoli e pose stereotipate del femminile: “Goddess,” “Housewife,” “Working Girl,” “Professional,” “Earth Mother”, “Lesbian.” Entrambe le artiste mettono in pratica un processo di acquisizione della consapevolezza di sé, agendo sia come soggetto che come oggetto dello sguardo e della rappresentazione (ciò che differenzia i due progetti è l’aspetto partecipativo e collettivo di quello dell’artista milanese). Un altro aspetto che accomuna queste ed altre artiste è l'interpellazione diretta dello spettatore, che viene interrogato in maniera esplicita, attraverso il ricorso allo sguardo rivolto in camera, una modalità che annulla quella di tipo voyeuristico tipica dello spettatore classico, che reifica il corpo della donna riducendolo a mero oggetto di visione.

Martha Wilson, A Portfolio of Models, 1974


Nel suo libro Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni Settanta (Postmedia Books, Milano 2013), Raffaella Perna riprende una frase di Susan Butler per mettere in evidenza l’aspetto “schizoide” del fotografare se stessi, nella misura in cui “si fa esperienza dello scarto tra la percezione interna del sé e il sé esterno percepito dagli altri: l’autoritratto fotografico attiva e mette in gioco la consapevolezza di sé come altro. Lo strumento fotografico riproduce lo sguardo altrui che si posa su di noi (con un inevitabile effetto di controllo) ma, nel momento stesso in cui ci si pone contemporaneamente davanti e dietro l’obiettivo, tale meccanismo di visione s’inverte e la fotografia diviene un mezzo di autoproiezione, attraverso il quale scegliere la veste in cui rappresentarsi agli occhi dell’altro: ci si rivela per come si pensa di essere e per come si vorrebbe essere, assumendo un ruolo attivo nelle dinamiche della visione e della rappresentazione. Per la donna, da sempre oggetto dello sguardo e della rappresentazione altrui (dalla tradizione artistica fino alla comunicazione mediatica e alla pornografia), l’autoritratto fotografico costituisce dunque una pratica per riappropriarsi del potere di autonarrazione e uno strumento conoscitivo attraverso il quale sperimentare la propria singolarità: travestimenti, camouflage, immagini raddoppiate allo specchio […] sono strategie per verificare la natura mutevole del sé e mettere nel contempo in crisi la rigidità delle immagini convenzionali del femminile e del maschile” (pp. 85-86).


Marcella Campagnano, L’invenzione del Femminile: Ruoli, 1974

Sia nell’opera della Campagnano che in quella di Martha Wilson, come di altre artiste impegnate in quegli anni, la rappresentazione del sé veicola quella collettiva di genere, attraverso la messa in atto di un confronto dialettico tra l’immagine che una donna ha di se stessa e quella che gli altri le assegnano. Una volta che i ruoli assegnati - che le donne assorbono fin da piccole, tramite indottrinamento o emulazione – vengono oggettivati in immagine, quasi catalogati secondo schemi tassonomici, diventa chiara la loro natura di costruzioni artificiali, condensazioni di relazioni sociali e culturali. Esposti in modalità seriale, i ritratti presentano i modelli estetici a cui le donne devono conformare il proprio corpo, mostrando come la loro identità, in ultima istanza, si costruisca su un processo di alienazione.


2 commenti:

  1. Ottima scheda critica di Marisa Prete. Per chi avesse interesse, su Youtube c'è un'intervista di 10 minuti in cui Marcella riassume i suoi temi di allora:
    Marcella Campagnano - Invenzione del Femminile: Ruoli - 1974

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  2. Ottima scheda critica di Marisa Prete su Marcella Campagnano. Per chi avesse un interesse sulla sua poetica, su Youtube c'è un'intervista di 10 minuti:
    Marcella Campagnano - Invenzione del Femminile: Ruoli - 1974

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