sabato 12 settembre 2020

Birgit Jürgenssen e la decostruzione del corpo domesticato

 

Birgit Jürgenssen, Hausfrauen – Küchenschürze - Grembiule da cucina da casalinghe, 1975


CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 


Birgit Jürgenssen e la critica del corpo domesticato

Birgit Jürgenssen è stata un’artista di origini viennesi molto attiva a partire dagli anni Settanta ed è considerata una delle figure più importanti dell’avanguardia femminista internazionale. La sua produzione comprende molteplici e variegati codici espressivi: disegni, acquerelli, collage, fotografie, dipinti e sculture.

Ottiene il suo primo successo nel 1975, quando Valie Export la invita a partecipare alla mostra MAGNA-Feminismus: Kunst und Kreativität, a Vienna, dove presenta il dittico di fotografie Hausfrauen- Küchenschürze (Casalinga – Grembiule da cucina), in cui l’artista indossa letteralmente una cucina sotto forma di grembiule. La Jürgenssen attua così la sua rivolta contro "la semiotica della cucina" - per usare il titolo di una performance video diventata un classico di Martha Rosler (1975) – contestando, con umorismo sovversivo, i pregiudizi, le funzioni sociali e i modelli di comportamento a cui le donne sono soggette. Il suo dittico diventa un’icona radicale del femminismo, che demolisce – in quanto estremizza - la figura della casalinga identificata totalmente con le proprie funzioni domestiche, e che inoltre – come scrive Silvia Bottani in questo articolo (https://www.doppiozero.com/materiali/birgit-jurgenssen-io-sono) -  “mantiene un sottotesto perturbante, nell’immagine del forno che evoca l’idea della donna-contenitore, il suo essere ridotta a funzione sessuale e riproduttiva.” Qui vediamo la donna non solo imprigionata dall’oggetto domestico di uso quotidiano, ma il suo corpo risulta come fuso con esso. La figura finale è una sorta di ibrido grottesco, il risultato di un processo di metamorfosi tramite il quale la donna è diventata tutt’uno con il suo ruolo di casalinga. 

Mettendosi regolarmente in scena in questi panni, Birgit Jürgenssen attira l’attenzione sul processo dell'addomesticamento femminile, linguisticamente evidenziato da alcune designazioni eufemistiche della donna, tra cui proprio quella di "casalinga", che definisce una condizione di assoggettamento alla casa e alle funzioni domestiche.

Ricorre, nella sua produzione, il motivo della gabbia, delle costrizioni implicate dalla vita coniugale, come è evidente in un’altra fotografia del 1976, Ich mochte hier raus! Voglio uscire di qui!, in cui si autorappresenta come una signora borghese, vestita con abiti eleganti dal colletto di pizzo, ma il cui viso e le mani premono contro un vetro su cui è scritta la frase che dà il titolo all’opera.

Birgit Jürgenssen, Ich möchte hier raus! - Voglio uscire di qui!, 1976

Birgit Jürgenssen attinge molto al Surrealismo, traendo ispirazioni dall’opera di Meret Oppenheim e di Claude Cahun, senza cedere mai alla tentazione di erotizzare il corpo femminile né a quella di far ricorso a rigidi schemi di genere, partendo dall’assunto che la femminilità, che passa per naturale, è in realtà un territorio colonizzato, una costruzione sociale imposta dagli uomini e che l’immagine della donna è da sempre un campo dove si esercitano dei rapporti di potere. 

Sua materia artistica privilegiata è il proprio corpo, adoperato e plasmato per decostruire quell’immagine elaborata dalle strutture del potere patriarcale e per operare una critica serrata dei meccanismi sociali e culturali alla base della condizione femminile. I codici visuali rappresentati da oggetti comuni come scarpe, abiti e fornelli, presentati in modo enigmatico e ironico, riescono a sovvertire l’immaginario tradizionale (all’interno del quale fungevano da strumenti di sottomissione della donna ai ruoli sociali ad essa imposti) e a inventarne uno nuovo, all’interno del quale quei codici visuali vengono decostruiti e diventano segni di sovversione. Ed è l’approccio ironico e umoristico, che attinge ai linguaggi del Surrealismo, che permette all’artista austriaca di sfuggire a certi schemi rigidi propri di un certo femminismo. 

Birgit Jürgenssen, Schuhroulade - Scarpa involtino, 1977


Birgit Jürgenssen, Ballonschuh - Scarpa palloncino, 1976.

A differenza di molte altre artiste impegnate nella denuncia della condizione di genere, il corpo messo in scena nella produzione della Jürgenssen non è mai ostentatamente mostrato, quanto piuttosto fatto oggetto di alcune strategie di negazione dell’immagine - che sovvertono i canoni estetici consolidati e gli stereotipi dell’esibizione del corpo erotizzato - e messo in relazione e talora fuso con altro: oggetti, maschere, elementi di vario tipo, che spesso diventano delle estensioni, delle protesi grottesche che trasmutano e dilatano il corpo. Tra questi oggetti, nella sua opera di innesto sul corpo, l’artista predilige in particolar modo le scarpe, oggetto fetish per eccellenza, insieme di seduzione e di sadismo, decostruendo uno degli stereotipi classici di genere e, nello stesso tempo, generando nuove e surreali rappresentazioni del femminile.


Birgit Jürgenssen, Nest , 1979,

Oltre all’identità di genere, l’altro grande tema della produzione di Jürgenssen è la natura, in particolare il rapporto natura-cultura. Questa ricerca la spinge a innestare l’elemento animale o vegetale nel corpo umano, realizzando figure biomorfe, de-gerarchizzate, ibridando e confondendo i confini tra le identità codificate, superando la visione antropocentrica più comune e, in tal modo, anticipando le più recenti posizioni del pensiero animalista e del transumanesimo. La vicinanza tra donna e animale – che incarnano entrambi il paradigma dell’alterità per eccellenza e del territorio colonizzato e oppresso dal dominio patriarcale – compongono figure che esprimono un’alterità nuova, misteriosa e permeata di simbolismo, lontana dalle fantasie erotiche dell’uomo e dalla sua volontà di supremazia. Così nell’opera Nest (1979) o in Ohne Titel (Selbst mit Fellchen) o nella serie delle Körper projektionen (1988-2009: https://www.galeriewinter.at/en/artists/birgit-juergenssen/ohne-titel-koerperprojektion/). 


Untitled (Selbst mit Fellchen - Self with Little Fur), 1974-2011


Il corpo della donna è divenuto nel tempo uno schermo su cui vengono proiettati valori normativi e strutture socio-culturali. Nella fotografia dal titolo Jeder hat seine eigene Ansicht (Ognuno ha il suo punto di vista) l’artista mette in discussione lo sguardo maschile e, in genere, lo sguardo oggettivante dello spettatore. La frase, scritta con il rossetto sulla schiena nuda dell’artista, ci inchioda nella nostra posizione di osservatore: una posizione che non ci permette di identificarci in lei e di vedere ciò che lei vede, tenendoci a distanza. 


Jeder hat seine eigene Ansicht - Ognuno ha il suo punto di vista, 1975.


Negando il corpo frontale, tradizionalmente offerto allo sguardo dello spettatore, Jürgenssen attua un audace gioco di antagonismi e ci mette di fronte all’evidenza di uno sguardo che non può mai coincidere con quello del soggetto rappresentato. Ma il motto che campeggia sulla schiena nuda ci ricorda quello che è un assunto implicito dell’artista, e cioè che ognuno ha un suo modo di vedere il mondo e che quest’ultimo è fatto di una molteplicità di espressioni e di modi di essere, rispetto ai quali niente e nessuno può pretendere di imporre il proprio dominio esclusivo.


Ohne Titel (Selbst mit Schädel) - Untitled (Self with Skull), 1979


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