Frances Benjamin Johnston, Self-Portrait (as New Woman), 1896 |
CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA
Tre fotografe americane: Frances Benjamin Johnston, Ann Brigman e Imogen Cunningham
Alla fine dell’Ottocento, in un periodo caratterizzato da rilevanti cambiamenti della condizione sociale e culturale della donna e dalla nascita dei movimenti di lotta femministi, cominciamo ad assistere alla produzione, da parte di alcune fotografe, di immagini in cui vengono messi in radicale discussione alcuni tradizionali stereotipi di genere che caratterizzavano la rappresentazione della donna da secoli.
Prendiamo in esame alcuni scatti di tre fotografe americane: Frances Benjamin Johnston, Ann Brigman e Imogen Cunningham, che realizzano degli autoritratti che sconvolgono i canoni della messa in scena della figura femminile.
L’autoritratto più famoso di Frances Benjamin Johnston è quello in cui posa di profilo di fronte a un camino acceso, tenendo in mano due oggetti simbolo di "emancipazione femminile": la sigaretta e il boccale di birra. La posizione apertamente provocatoria del suo cappellino, l’espressione del viso decisa, la postura tipicamente maschile della gamba accavallata sull’altra, che mostra le caviglie e la sottoveste bianca, rivelano l’intenzione della fotografa di scandalizzare la morale comune e le convenzioni rappresentative.
Disordinatamente allineate sulla balaustra del camino le fotografie di alcuni uomini, forse ritratti di membri della sua famiglia rispetto a cui ha dovuto pretendere la propria emancipazione, o forse trofei di passate storie d’amore. I fiori secchi dietro i ritratti sottolineano ancora di più il fatto che ci troviamo di fronte a un interno bohémien, molto diverso dagli interni in cui erano ambientate le scene domestiche tradizionali, in particolare pittoriche, abitate esclusivamente da donne e caratterizzate spesso dalla presenza di vasi colmi di fiori freschi.
Da questa fotografia emerge il ritratto di una donna che ha preso in mano il controllo della sua vita, emancipandosi da norme e restrizioni sociali. Che è esattamente ciò che aveva fatto la stessa Johnston, attraverso una serie di scelte tra cui quella di dedicarsi a una professione allora quasi esclusivamente maschile come la fotografia, incoraggiando persino le altre donne a farlo attraverso un articolo, pubblicato nel 1897 sul Ladies Home Journal, dal titolo What a Woman can do with a Camera. Scelta come membro delegato per rappresentare l'America all'Esposizione Universale di Parigi nel 1900, viene nominata ambasciatrice della nuova fotografia femminile americana.
In altri due autoritratti si traveste da uomo, spostando i confini della definizione di genere.
Alcuni storici dell'arte ritengono che Anne Brigman sia stata la prima donna in America a fotografarsi nuda. La novità era rappresentata dagli scenari in cui viene immerso il corpo, che sono i paesaggi naturali, desolati e disabitati della costa californiana. Nelle fotografie eteree di Brigman, rese in una trama morbida e soffusa, le donne non sono raffigurate in casa, ma negli spazi sconfinati dell'ovest americano: le scogliere rocciose e i promontori della Sierra Nevada, tra il ginepro e il pino. In un intreccio visivo di corpo e paesaggio, il nudo femminile è spesso posto tra gli alberi contorti, dove gli arti della donna e i rami sono così strettamente intrecciati da apparire una cosa sola. Le fotografie per Brigman rappresentano un'espressione sublime dell'unità con la terra, un riconoscimento della sacralità del mondo naturale. Benché le messe in scena sembrino ricalcare alcuni stereotipi iconografici dell’arte simbolista e Belle Epoque, tuttavia la forma stessa dell’autoritratto, che non presuppone l’oggettivizzazione del soggetto nel ruolo del modello, sfida le convenzioni del nudo e mette in scena una rudimentale pratica performativa.
Usa nei titoli nomi di origine latina o greca come Invictus, La driade, mette i veli sull'obiettivo per sfocare i corpi, dipinge i suoi negativi e positivi con colori ad l'olio. Alfred Stieglitz, che la considera uno dei migliori fotografi occidentali, pubblica alcuni dei suoi nudi in Camera Work e le propone di diventare membro della New York Photo Secession, che propugna la fotografia artistica, in funzione di una visione soggettiva che si allontana dalla rappresentazione pedissequa e utilitaristica della realtà.
Negli scatti realizzati in natura, la sagoma di Anne Brigman, ninfa o sacerdotessa, è resa quasi evanescente dallo sfondo fortemente contrastato di rocce, alberi, onde schiumose, cieli nuvolosi. Il paesaggio è espressione della grandiosità, sublime e pura, della natura, in cui la fotografa cerca un rapporto di fusione spirituale. Il corpo nudo ritrova la sua libertà a contatto con gli elementi naturali e l’asprezza del paesaggio, aderendo alle ruvide pareti rocciose, adagiandosi sulla nuda terra o protendendosi tra le chiome degli alberi o tra i tronchi squarciati dai fulmini. Nelle sue parole, questa comunione con la natura prende le fisionomie di una sorta di religione pagana e di un cammino di liberazione, di scoperta della propria energia interiore. Per Stieglitz, le fotografie lussureggianti, oniriche e delicatamente erotiche della Brigman rifuggono da ogni sentimentalismo vittoriano, per offrire un'immagine rivitalizzata della nuova "donna moderna".
Anne Brigman impiegò la fotografia come strumento di emancipazione personale e, sebbene le sue immagini conobbero un totale oblio alla sua morte, prefigurano gran parte dell'arte femminista che sarebbe arrivata decenni dopo e che avrebbe ricercato nelle raffigurazioni del corpo nudo un’espressione di ribellione e di libertà piuttosto che di sottomissione.
Non fu solo fotografa di fiori, ritratti e nudi - sia femminili che maschili – la grande Imogen Cunningham, che nel 1913 pubblicò Photography as a Profession for Women, un articolo che invitava le donne a intraprendere la professione della fotografia. Curiosa di sperimentare diverse forme di espressione e dotata di una sorprendente capacità di mimetismo, in alcuni autoritratti produce una messa in scena della femminilità. Come in quello del 1906, realizzato a vent’anni, in cui si riprende distesa nuda nell’erba. In un altro autoritratto, di poco posteriore, rivela il suo talento per il travestimento. Si tratta della parodia di un vecchio dagherrotipo, realizzato nel 1840 da John William Draper a sua sorella Dorothy Catherine, la prima donna americana ad essere fotografata. Troviamo la stessa posa vittoriana con l’espressione seria e le mani incrociate sul grembo, un cappellino a tesa larga ornato da una corona di fiori, una camicia dal colletto di pizzo finemente ricamato. Cunningham ironizza sulla figura della donna tradizionale, ricorrendo a un artificio, il travestimento, di cui farà utilizzo anche in futuro.
Come in tutti gli autoritratti femminili, queste tre femministe attribuiscono grande importanza al corpo, che viene messo in scena in varie modalità, ciascuna artista seguendo la propria strategia. Da vere pioniere, inventano un corpo moderno, a cui attribuiscono un nuovo movimento e una nuova visibilità. Non utilizzano la fotografia per fermare un momento, trasformandolo in un segno del passato, ma la mettono al servizio del progetto di una donna nuova, la donna del futuro, emancipata da costrizioni e condizionamenti, indipendente e padrona del proprio destino. Questi corpi, denudati o travestiti, mostrano che i ruoli possono essere invertiti e che la nudità può essere sottratta al meccanismo di asservimento che lega la modella allo sguardo maschile per essere plasmata da una creatività liberatrice e autonoma.
Alla fine dell’Ottocento, in un periodo caratterizzato da rilevanti cambiamenti della condizione sociale e culturale della donna e dalla nascita dei movimenti di lotta femministi, cominciamo ad assistere alla produzione, da parte di alcune fotografe, di immagini in cui vengono messi in radicale discussione alcuni tradizionali stereotipi di genere che caratterizzavano la rappresentazione della donna da secoli.
Prendiamo in esame alcuni scatti di tre fotografe americane: Frances Benjamin Johnston, Ann Brigman e Imogen Cunningham, che realizzano degli autoritratti che sconvolgono i canoni della messa in scena della figura femminile.
L’autoritratto più famoso di Frances Benjamin Johnston è quello in cui posa di profilo di fronte a un camino acceso, tenendo in mano due oggetti simbolo di "emancipazione femminile": la sigaretta e il boccale di birra. La posizione apertamente provocatoria del suo cappellino, l’espressione del viso decisa, la postura tipicamente maschile della gamba accavallata sull’altra, che mostra le caviglie e la sottoveste bianca, rivelano l’intenzione della fotografa di scandalizzare la morale comune e le convenzioni rappresentative.
Self-portrait by Johnston, dressed as a man, sporting a fake mustache and holding a bicycle, ca. 1890. |
Disordinatamente allineate sulla balaustra del camino le fotografie di alcuni uomini, forse ritratti di membri della sua famiglia rispetto a cui ha dovuto pretendere la propria emancipazione, o forse trofei di passate storie d’amore. I fiori secchi dietro i ritratti sottolineano ancora di più il fatto che ci troviamo di fronte a un interno bohémien, molto diverso dagli interni in cui erano ambientate le scene domestiche tradizionali, in particolare pittoriche, abitate esclusivamente da donne e caratterizzate spesso dalla presenza di vasi colmi di fiori freschi.
Da questa fotografia emerge il ritratto di una donna che ha preso in mano il controllo della sua vita, emancipandosi da norme e restrizioni sociali. Che è esattamente ciò che aveva fatto la stessa Johnston, attraverso una serie di scelte tra cui quella di dedicarsi a una professione allora quasi esclusivamente maschile come la fotografia, incoraggiando persino le altre donne a farlo attraverso un articolo, pubblicato nel 1897 sul Ladies Home Journal, dal titolo What a Woman can do with a Camera. Scelta come membro delegato per rappresentare l'America all'Esposizione Universale di Parigi nel 1900, viene nominata ambasciatrice della nuova fotografia femminile americana.
In altri due autoritratti si traveste da uomo, spostando i confini della definizione di genere.
Anne Brigman, Down |
Alcuni storici dell'arte ritengono che Anne Brigman sia stata la prima donna in America a fotografarsi nuda. La novità era rappresentata dagli scenari in cui viene immerso il corpo, che sono i paesaggi naturali, desolati e disabitati della costa californiana. Nelle fotografie eteree di Brigman, rese in una trama morbida e soffusa, le donne non sono raffigurate in casa, ma negli spazi sconfinati dell'ovest americano: le scogliere rocciose e i promontori della Sierra Nevada, tra il ginepro e il pino. In un intreccio visivo di corpo e paesaggio, il nudo femminile è spesso posto tra gli alberi contorti, dove gli arti della donna e i rami sono così strettamente intrecciati da apparire una cosa sola. Le fotografie per Brigman rappresentano un'espressione sublime dell'unità con la terra, un riconoscimento della sacralità del mondo naturale. Benché le messe in scena sembrino ricalcare alcuni stereotipi iconografici dell’arte simbolista e Belle Epoque, tuttavia la forma stessa dell’autoritratto, che non presuppone l’oggettivizzazione del soggetto nel ruolo del modello, sfida le convenzioni del nudo e mette in scena una rudimentale pratica performativa.
Anne Brigman, Soul of the Blasted Pine , 1906. |
Usa nei titoli nomi di origine latina o greca come Invictus, La driade, mette i veli sull'obiettivo per sfocare i corpi, dipinge i suoi negativi e positivi con colori ad l'olio. Alfred Stieglitz, che la considera uno dei migliori fotografi occidentali, pubblica alcuni dei suoi nudi in Camera Work e le propone di diventare membro della New York Photo Secession, che propugna la fotografia artistica, in funzione di una visione soggettiva che si allontana dalla rappresentazione pedissequa e utilitaristica della realtà.
Negli scatti realizzati in natura, la sagoma di Anne Brigman, ninfa o sacerdotessa, è resa quasi evanescente dallo sfondo fortemente contrastato di rocce, alberi, onde schiumose, cieli nuvolosi. Il paesaggio è espressione della grandiosità, sublime e pura, della natura, in cui la fotografa cerca un rapporto di fusione spirituale. Il corpo nudo ritrova la sua libertà a contatto con gli elementi naturali e l’asprezza del paesaggio, aderendo alle ruvide pareti rocciose, adagiandosi sulla nuda terra o protendendosi tra le chiome degli alberi o tra i tronchi squarciati dai fulmini. Nelle sue parole, questa comunione con la natura prende le fisionomie di una sorta di religione pagana e di un cammino di liberazione, di scoperta della propria energia interiore. Per Stieglitz, le fotografie lussureggianti, oniriche e delicatamente erotiche della Brigman rifuggono da ogni sentimentalismo vittoriano, per offrire un'immagine rivitalizzata della nuova "donna moderna".
Anne Brigman impiegò la fotografia come strumento di emancipazione personale e, sebbene le sue immagini conobbero un totale oblio alla sua morte, prefigurano gran parte dell'arte femminista che sarebbe arrivata decenni dopo e che avrebbe ricercato nelle raffigurazioni del corpo nudo un’espressione di ribellione e di libertà piuttosto che di sottomissione.
Anne Brigman, The Bubble , 1906. |
Non fu solo fotografa di fiori, ritratti e nudi - sia femminili che maschili – la grande Imogen Cunningham, che nel 1913 pubblicò Photography as a Profession for Women, un articolo che invitava le donne a intraprendere la professione della fotografia. Curiosa di sperimentare diverse forme di espressione e dotata di una sorprendente capacità di mimetismo, in alcuni autoritratti produce una messa in scena della femminilità. Come in quello del 1906, realizzato a vent’anni, in cui si riprende distesa nuda nell’erba. In un altro autoritratto, di poco posteriore, rivela il suo talento per il travestimento. Si tratta della parodia di un vecchio dagherrotipo, realizzato nel 1840 da John William Draper a sua sorella Dorothy Catherine, la prima donna americana ad essere fotografata. Troviamo la stessa posa vittoriana con l’espressione seria e le mani incrociate sul grembo, un cappellino a tesa larga ornato da una corona di fiori, una camicia dal colletto di pizzo finemente ricamato. Cunningham ironizza sulla figura della donna tradizionale, ricorrendo a un artificio, il travestimento, di cui farà utilizzo anche in futuro.
Imogen Cunningham, Self-Portrait, 1906 |
Come in tutti gli autoritratti femminili, queste tre femministe attribuiscono grande importanza al corpo, che viene messo in scena in varie modalità, ciascuna artista seguendo la propria strategia. Da vere pioniere, inventano un corpo moderno, a cui attribuiscono un nuovo movimento e una nuova visibilità. Non utilizzano la fotografia per fermare un momento, trasformandolo in un segno del passato, ma la mettono al servizio del progetto di una donna nuova, la donna del futuro, emancipata da costrizioni e condizionamenti, indipendente e padrona del proprio destino. Questi corpi, denudati o travestiti, mostrano che i ruoli possono essere invertiti e che la nudità può essere sottratta al meccanismo di asservimento che lega la modella allo sguardo maschile per essere plasmata da una creatività liberatrice e autonoma.
Imogen Cunningham, Self-portrait in 1863 Costume, 1909. |
Imogen Cunningham, Self-portrait in broken mirror |
Ho appena scoperto questo blog. Subito messo nei preferiti . Complimenti
RispondiEliminaAnche io l'ho appena scovato e lo vado subito ad inserire. Bellissimo
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