mercoledì 30 settembre 2020

Autoritratti in relazione. Anna di Prospero

Anna Di Prospero, Self-portrait with Eleonora, 2011

 

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 


Anna di Prospero indaga soprattutto il rapporto tra sé e lo spazio, sia quello urbano che domestico, ma anche quello tra sé e gli altri. Self-portrait at home (2007/2009) è il suo primo progetto fotografico, dove esplora la sua relazione con lo spazio della casa in cui abita, creando delle corrispondenze tra le geometrie del suo corpo e quelle degli ambienti.

Lavora sull’autorappresentazione in diverse serie, ad esempio in Self-portrait at hometown (2009) e in Urban Self – portrait (2010-2012) dove l’artista usa il proprio corpo come strumento di indagine, ma soprattutto di esperienza attiva dello spazio, ricercando le proporzioni tra le sue forme e quelle degli edifici e costruendo in tal modo un dialogo performativo con l’ambiente urbano.

In Self-portrait with my family, Self portrait with my friends e Self-portrait with strangers, sono invece le relazioni personali ad essere esplorate tramite l’auto-collocamento nella scena insieme a parenti, amici e sconosciuti. In tutti questi casi, il soggetto delle fotografie non è l’autrice, ma la sua relazione con lo spazio, le architetture, le persone.

Anna Di Prospero, Self Portrait at Home, 2009

Le sue serie hanno un imprescindibile aspetto performativo e relazionale. In Urban Self – portrait si ritrae in varie città del mondo, vicino agli edifici progettati da architetti famosi: dall’Auditorium del Parco della Musica a Roma all’Expo di Milano, dal Guggenheim di Bilbao al Jewish Museum di Berlino, dai grattaceli di New York fino a Valencia e Madrid, ecc. Gli ambienti urbani sono sempre vuoti, disabitati e il corpo dell’artista è spesso disteso, aderente al pavimento o ad altre superfici, come sottoposto a una forza di gravità che schiaccia verso terra. In altri casi, al contrario, sembra volersi elevare per assecondare le altezze degli edifici dalle geometrie sempre alquanto irregolari, spesso curve, quasi ondeggianti, tanto da sembrare degli organismi vivi.


Urban Self-portrait, 2010-2015

Un richiamo che viene in mente è quello alla serie delle Körperkonfigurationen che Valie Export realizza negli anni Settanta. Ma qui non c’è nessun intento teso al conflitto e alla denuncia e nello stesso tempo siamo oltre la semplice introspezione. Nelle immagini vediamo il corpo dell’artista che cerca di assimilare la forma e il dinamismo degli edifici, di completare quel processo di metamorfosi - che ha reso le architetture delle forme quasi organiche - trasformando il proprio corpo organico in architettura. Le immagini restituiscono così delle corrispondenze formali, che potrebbero anche definirsi una sorta di simbiosi, evidenziata dalla postura che l’artista assume all’interno dello spazio, tesa ad imitare, o meglio ad assimilare, la stessa plasticità degli edifici. Quella che si verifica è un’interazione fisica tra edificio e figura umana fondata sull’assonanza gestuale.


Urban Self-portrait, 2010-2015


Le fotografie delle altre serie, quelle in cui si ritrae con famigliari e amici, sono  immagini intrise di tonalità morbide e calde nelle quali l’artista si rappresenta stretta ai suoi cari, nascondendo il volto al suo stesso obiettivo. Questa è una caratteristica che ricorre in tutte le serie della di Prospero, e cioè il suo mettersi in scena sempre con il volto coperto o nascosto o girato dall’altra parte, il suo rappresentarsi come presenza e nello stesso tempo come negazione. Ilaria Schipani, in un saggio dedicato all’artista, accomuna questo aspetto della fotografia della di Prospero a un’altra artista, che ha fatto dell’autoritratto con volto celato la sua cifra stilistica, e cioè Francesca Woodman. Scrive infatti:

“ciò che appare subito evidente è la comune realizzazione di immagini antisegnaletiche in cui l’autoritratto viene privato della sua stessa autoreferenzialità e in cui ad essere presentato è il corpo in un dialogo continuo con gli ambienti domestici e gli elementi che lo compongono, dando origine ad una narrazione in cui il confine della realtà sfuma nella finzione e di cui si fa interprete la fotografia stessa.  L’utilizzo dell’autoritratto, la realizzazione progressiva di un vero e proprio diario visivo da considerare come narrazione personale e al contempo universale, hanno richiamato il riferimento alle teorie di Psicologia dell’arte sull’autoritratto come strumento di riparazione. In tal senso, la fotografia diviene mezzo attraverso cui intraprendere un’indagine esistenziale che se da una parte si concentra sull’Io, dall’altra lo nega permettendo di realizzare immagini che non siano unicamente autoreferenziali, seppur di autoritratti si parla, ma prototipi femminili universali in cui riconoscersi e proiettarsi.” (I. Schipani, Perdersi, cercarsi e ritrovarsi. Il diario visivo di Anna Di Prospero tra realtà e immaginario).

Self-portrait with my mother, 2011


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