giovedì 6 settembre 2018

Una figura di mediazione tra il quadro e lo spettatore. L'admonitor

Perugino e aiuti, Viaggio di Mosé, particolare, gruppo di astanti già attribuito a Pinturicchio, 1482 ca., Cappella Sistina, Città del Vaticano.

Come abbiamo visto nei post precedenti, quello implicito nella prospettiva lineare di Brunelleschi e Alberti è un osservatore che potremmo definire “trascendentale”, uno sguardo “a priori”. Mentre lo include nell’immagine (che non è altro che la sezione di un campo visivo), il dispositivo contemporaneamente lo esclude, perché non c’è posto per lo spettatore all’interno della scatola prospettica. Se il teatro medievale si fondava sullo scambio e il costante dialogo tra i personaggi e lo spettatore, la scena drammatica del Rinascimento taglia questo legame e instaura una distanza ben precisa e geometricamente calcolabile.
Lo spettatore si ritrova al di qua di un’immaginaria quarta parete trasparente, sebbene quest’ultima verrà formulata solo nel Settecento da Diderot, e sarà intesa come finzione dell’assenza dello spettatore nella rappresentazione teatrale e conseguente visione dello stesso come osservatore non visto.
Ma nel Rinascimento siamo lontani da una concezione del genere. Lo spettatore non è considerato il soggetto che assiste, non visto, a una scena, ma è soprattutto il fedele chiamato a partecipare con devozione all’evento rappresentato.

Si nota, infatti, come nelle pitture del Rinascimento sopravvivano dei dispositivi che continuano a interagire con il pubblico. Perché la pittura rinascimentale ha essenzialmente finalità retorico-narrative; ossia suo fine è quello di costruire e presentare delle narrazioni efficaci, in grado di persuadere e coinvolgere emotivamente lo spettatore. La conoscenza delle leggi dell’ottica e della geometria non sono, pertanto, sufficienti all’arte del pittore: occorre che, come raccomanda lo stesso Alberti nel suo "De Pictura”, egli attinga alle conoscenze della retorica.
Ciò che realizza un pittore con la sua opera è una “storia”, che occorre presentare allo spettatore con la forza e la persuasività di un’esperienza realmente vissuta, collocata in uno spazio visivo naturale, apparentemente contiguo a quello reale. Non sono solo le leggi geometriche a pre-determinare la modalità di visione dell’opera da parte dello spettatore. Ricorrendo ai precetti dell’ars rhetorica, il pittore cercherà di coinvolgere colui che guarda intervenendo sulla rappresentazione dei personaggi: i loro sguardi e i loro gesti, infatti, possono contribuire a indirizzare lo sguardo dello spettatore in modo decisivo.
A questo fine, l’Alberti introduce la figura dell’admonitor, di cui ho parlato qui: https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.com/2018/07/uno-sguardo-ammonitore.html
Si tratta di un personaggio presente sulla scena che, con lo sguardo e la gestualità, ha il compito di istruire lo spettatore, non solo orientandone lo sguardo verso l'evento principale rappresentato, ma anche suggerendogli la risposta emotiva più appropriata attraverso la gestualità delle mani, i movimenti del corpo e le espressioni del viso. All’immagine viene riconosciuta una grande forza retorica, basata sulla possibilità di una trasmissione empatica dei sentimenti, che il pittore può indurre attraverso la rappresentazione delle manifestazioni esteriori che quei sentimenti provocano in chi li prova.
Nelle storie dipinte rinascimentali, è molto frequente che verso l'azione principale si dirigano i gesti e gli sguardi di personaggi interni che assistono agli eventi, commentandoli o richiamando l'attenzione delle figure vicine. Quasi tutte le pitture narrative del Quattro e del Cinquecento sono percorse dalle traiettorie dei gesti degli astanti; anche se questi non si rivolgono direttamente al riguardante, l’attenzione e lo sguardo dell’osservatore esterno sono guidati verso il fulcro della scena dagli indici puntati e dagli occhi degli spettatori interni, e il suo coinvolgimento all’evento è influenzato dalla partecipazione emotiva manifestata da quei personaggi dipinti.
Gli spettatori interni hanno quindi due funzioni: attraverso la loro collocazione nello spazio il pittore costruisce una composizione ricca ma ordinata e chiaramente leggibile; grazie alle attitudini e ai moti di queste figure l'artista induce nell'osservatore la corretta reazione emotiva.
Nel suo famoso saggio “Della rappresentazione”, Marin definisce l’admonitor (o advocator, o commentator) una “metafigura della ricezione della rappresentazione”, collocata nella rappresentazione stessa. Pur essendo parte del contenuto del quadro, essa rappresenta altresì la ricezione di questo contenuto. L’atto che si rivolge al mondo al di qua dello spazio dipinto e comunica con il destinatario finale della rappresentazione, rende la figura dell’admonitor un personaggio liminare, lo pone al confine tra la scena e la realtà.
L’admonitor contribuisce affinché la rappresentazione visualizzi, sulla sua superficie, le giuste modalità della propria ricezione da parte dello spettatore. Quest’ultimo, infatti, benché estromesso dalla scena, costituisce comunque l’elemento necessario affinché la rappresentazione possa portare a compimento la propria funzione estetica, retorica e narrativa. Nella teoria albertiana, non può darsi immagine senza destinatario.
Se nelle rappresentazioni del Quattrocento e del primo Cinquecento sono piuttosto rare le figure di admonitor (saranno molto più presenti a partire dalla seconda metà del XVII secolo), che svolgono le funzioni prescritte dall’Alberti (sguardo, indicazione, reazione emotiva), sono invece numerose quelle che fissano lo spettatore, cercando di catturarne l’attenzione. Tuttavia la loro presenza è raramente accompagnata da gesti o espressioni che dimostrino partecipazione alla scena, istruiscano il riguardante rispetto allo stato d'animo da tenere o semplicemente indichino l'evento principale, come avrebbe voluto Alberti. A volte, infatti, le varie funzioni dell’admonitor sono demandate a più figure (che i semiologi indicano con i termini di “indicatori” e di “astanti”). Queste costituiscono dei veri e propri “soggetti vicari”, in quanto svolgono la funzione di mediatori tra la rappresentazione e lo spettatore.
Anche se non può essere considerato un admonitor a tutti gli effetti, la figura che ci guarda, cercando di catturare il nostro sguardo, attesta la nostra presenza e al contempo corrobora l'illusione di realtà della scena: infatti se lei ci può vedere, se c'è in altre parole la possibilità di comunicazione tra lo spazio della rappresentazione e quello dell'osservatore, significa che tutta l'azione dipinta è altrettanto reale del mondo che circonda l'osservatore, o meglio, che i due mondi sono contigui.
In conclusione, la delimitazione dello spazio figurativo e la collocazione spaziale del punto di vista secondo la geometria da una parte, il ricorso alle figure retoriche dell’admonitor dall’altra, hanno entrambe la funzione di accrescere la persuasività della storia rappresentata e il coinvolgimento emotivo dello spettatore. Se da un lato la prospettiva allontana lo spettatore, collocandolo a una distanza ben precisa, dall’altra la figura dell’admonitor lo riavvicina, lo interpella, lo coinvolge. La sua presenza ristabilisce una relazione con il pubblico, attenuando la condizione impersonale dello spettatore moderno.
Qui una piccola bacheca di dipinti in cui compaiono delle figure di mediazione: https://www.pinterest.it/marisaprete/ladmonitor/


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