domenica 23 settembre 2018

Gli animali nell’arte – La svolta della pittura tardogotica. Giotto e Pisanello



Nell’iconografia e nell’iconologia dell’arte medievale, alla rappresentazione dell’animale veniva attribuita una funzione simbolica, oppure allegorica, di tipo religioso o morale. Le immagini zoomorfe, reali o fantastiche senza distinzione, erano simboli del divino oppure allegorie utilizzate per rappresentare l'eterna lotta del bene contro il male, costituendo un codice di linguaggio preciso e di sicuro effetto sul popolo di credenti analfabeti.  La visione e l’interpretazione di tali figure, pertanto, erano strettamente condizionate dal necessario rimando ai testi sacri e della tradizione, e ai loro commenti, e non agli animali in carne e ossa che dividevano con l’uomo la vita quotidiana.
Già alla fine del XIII secolo, in molte rappresentazioni dell’arte gotica, emerge una nuova sensibilità nei confronti della natura e quindi anche degli animali, la quale rivela un modo diverso di guardare e di dare forma artistica alla realtà.



Giotto

Tradizionalmente, si ritiene Giotto il fautore di questa svolta pittorica.  Gli animali cominciano ad essere rappresentati nel loro habitat naturale, al di fuori di simboli o allegorie. L’artista comincia ad essere attratto e incuriosito dalla loro vita, dal loro aspetto e dalle loro abitudini, anche dal punto di vista scientifico, e cerca di rappresentarli in modo preciso, molto simile al vero.
La Predica agli uccelli è la quindicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299. L'episodio raffigurato si riferisce ad un avvenimento narrato nella Legenda Maior, che costituiva la biografia ufficiale di san Francesco d'Assisi, scritta tra il 1260 ed il 1263 da san Bonaventura da Bagnoregio.
Il Santo è qui ritratto leggermente chinato verso terra, mentre parla a una schiera di uccelli, di diverse specie e colori, brulicanti intorno. Dietro al santo, alla sua sinistra, c’è un altro frate, che assiste alla scena con stupore, evidenziato dal gesto della mano.


Giotto di Bondone, San Francesco d'Assisi predica agli uccelli (1290 - 1295 ca.), affresco, Basilica Superiore di San Francesco in Assisi.

Il cielo, dopo secoli, è ritornato ad essere blu (e non dorato). In primo piano, alla destra del santo, un grande albero, mentre a sinistra ne troviamo uno più piccolo che, messo in relazione con il primo, crea l’effetto di profondità. Si notino il rispetto delle proporzioni dei soggetti raffigurati, la modellatura del volto, le ombre accentuate, il drappeggio delle vesti: questi elementi concorrono nel rendere la consistenza corporea, la plasticità, l'espressività dei personaggi ritratti, in grado di riprodurre le sfaccettature e le emozioni dell'animo umano. Le figure, per la prima volta dopo secoli, sono trattate come masse solide, rese con un morbido chiaroscuro e un uso sapiente dei colori, collocate all'interno di uno spazio dotato di profondità tridimensionale. Le forme e i colori sono realistici e naturali: Giotto riesce a rendere bene l'umanità del Santo grazie al volto espressivo, alla postura dinamica, alle pieghe morbide delle vesti, alla gestualità delle mani. Gli alberi sono a grandezza naturale, a differenza di quelli dipinti nei paesaggi bizantineggianti di scene come l' Elemosina del mantello o il Miracolo della sorgente.
L'opera contiene grande equilibrio ed armonia e un generale effetto dinamico. Gli avvenimenti sacri sono calati in un tempo concreto e in uno spazio verosimile, tridimensionale, reso attraverso un uso intuitivo ed empirico della prospettiva. Giotto aveva riscoperto l’arte di creare su una superficie piatta l’illusione della profondità.
Il significato dell’opera è l’esaltazione delle creature viventi tipica del messaggio francescano. Pur volendo attribuire agli uccelli un significato simbolico, in quanto essi rappresenterebbero i fedeli – povera gente - di San Francesco (così come sostengono alcune interpretazioni dell’opera), rimane il dato importante della rappresentazione naturalistica di quei soggetti animali, collocati anch'essi nel loro ambiente naturale, così come si può notare in altri affreschi di Giotto presenti ad Assisi, tra i quali quello de L’elemosina del mantello, e soprattutto in quelli collocati nella Cappella degli Scrovegni di Padova. La Predica è però l’unico nel quale, oltre alle persone, gli animali sono tra i protagonisti della rappresentazione.


Giotto, Ritiro di Gioacchino tra i pastori, 1303-05 circa, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Con Giotto la pittura cessa di essere evocazione (che è la funzione prima dell'arte bizantina), per diventare narrazione. Committente degli affreschi di Assisi è infatti l'ordine francescano; il programma iconografico corrisponde alle scelte della Chiesa di creare una Biblio pauperum, una illustrazione per immagini dei testi sacri comprensibili ai poveri e agli analfabeti. E' proprio questa funzione narrativa che caratterizza l'arte sacra di Occidente rispetto a quella orientale.
Nella storia dell'arte, Giotto ha operato una rottura radicale, mai tentata prima di lui, che risulterà irreversibile per la pittura italiana ed europea e che giungerà a piena maturazione solo nel '400, con l'Umanesimo. Giotto supera radicalmente la rigidezza espressiva, l'immobilità iconica e la bidimensionalità dell'arte bizantina. Come affermava il pittore trecentesco Cennino Cennini, Giotto seppe tradurre l'arte dal Greco al Latino, con ciò intendendo dire che la sua pittura segnò il definitivo passaggio dall'influsso bizantino (questo si intende per “greco”) ad un modo di intendere l'arte come interpretazione della realtà, così come era stato per l’antichità classica dei latini, il cui naturalismo era stato soppiantato dalle immobili e “ieratiche” figure bizantine. Uomini, donne, animali, ambienti e architetture reali ridiventano protagonisti della scena. Anzi Giotto sottolinea aspetti di una quotidianità che non era più stata presa in considerazione nell'epoca precedente conferendovi una dignità inusuale. I suoi personaggi occupano ora un ruolo storico definito e soprattutto compiono azioni all'interno di uno spazio tangibile, verosimile e abitabile. Ma soprattutto esprimono sentimenti, emozioni e stati d’animo, che l’imperturbabilità priva di pathos delle raffigurazioni bizantine, troppo convenzionali e simboliche per essere vere, aveva messo da parte. La carica rivoluzionaria delle opere di Giotto sta appunto nella conferma di un ruolo attivo dell'uomo nella storia, che anticipa quella che sarà la visione dell’Umanesimo quattrocentesco.


Giotto di Bondone, Sacrificio di Gioacchino, 1303-05 circa, Cappella degli Scrovegni, Padova - Public Domain via Wikipedia commons

Se l’icona bizantina aveva la funzione di rivelare Dio agli uomini, un Dio che rimaneva lontano e irraggiungibile, in questo caso la semplicità e la naturalezza dei personaggi raffigurati li avvicinano allo spettatore. Questi personaggi, pur essendo santi o di natura divina, abitano uno spazio concreto, terreno, spesso urbano e vivono un tempo storicamente determinato; essi inoltre esprimono passioni e sentimenti umani, che rendono possibile una comunicazione che varca i confini della rappresentazione e giunge allo spettatore, mettendolo in grado di partecipare alla storia raffigurata. Tali premesse conducono alla considerazione che a Giotto si debba la svolta che in seguito condusse allo sviluppo dell'arte del Rinascimento.
Pur non volendo minimamente sminuire l’importanza dell’innovazione giottesca, alcuni critici sottolineano come questo grande artista debba tuttavia molto ai maestri bizantini, che sotto la raggelata solennità delle loro figure avevano celato le scoperte dei pittori ellenistici, e ai grandi scultori delle cattedrali gotiche, in quanto Giotto non aveva fatto altro che trasferire le figure vive della scultura gotica nella pittura. Piero Adorno, inoltre, in L’arte italiana, scrive che Giotto «non crea, come accadrà nel Rinascimento, persone singole, ciascuna con il proprio mondo interiore importante tanto quello dell'altro; esprime come tutto il Medioevo sentimenti collettivi; ogni uomo è simile all'altro nel corpo e nel viso, perché le loro idee sono univoche (…) Giotto crea dei tipi, non individui: San Francesco non è l'”uomo” Francesco, sia pure Santo, con i suoi problemi individuali, con le proprie caratteristiche fisiche o morali; è “il Santo” come categoria universale.»





Molti furono i pittori ad assimilare la lezione di Giotto, soprattutto per quanto riguarda la salda volumetria delle figure, che vengono inserite all’interno di chiare costruzioni spaziali, oltre che per un nuovo atteggiamento verso la realtà cittadina e naturale. Tra questi citiamo il senese Ambrogio Lorenzetti. Tra il 1337 e il 1339 egli è impegnato nella realizzazione degli affreschi per la Sala dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena, che illustrano le Allegorie del Buono e del Cattivo Governo e i loro effetti sulla vita della città e della campagna. Sebbene opera allegorica, dal forte significato politico, occorre riconoscere lo spiccato gusto per la narrazione (maggiore di quello presente nelle opere di Giotto) e la vivacità e il realismo della rappresentazione, che riproduce la realtà contemporanea, potentemente caratterizzata dal fenomeno dell’urbanizzazione.
Ambrogio Lorenzetti è il primo ad innalzare un tema laico alla stessa grandiosità dei temi sacri. Negli Effetti del Buon Governo la prospettiva a volo d’uccello guida lo sguardo dell’osservatore attraverso le dolci colline della campagna senese, accuratamente coltivata e popolata da contadini e pastori. Quest’opera costituisce la prima superba rappresentazione naturale della pittura europea.
Nella parte sinistra dell’affresco Ambrogio riproduce la brulicante vita cittadina, con gli alti edifici, le botteghe aperte, i numerosi passanti e le giovani danzanti. Tutta la scena è pervasa da un senso di grande operosità e ottimismo. In entrambe le parti dell’affresco un ruolo importante hanno le figure degli animali, colti nella loro quotidianità di bestie domestiche, da lavoro o da cavalcatura, sottratti a ogni funzione direttamente simbolica e allegorica.


Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in città, 1338-1340, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena - Public Domain via Wikipedia commons


Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in campagna, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena - Public Domain via Wikipedia Commons

Antonio di Puccio Pisano, detto Pisanello
Gli anni che vanno dal 1350 al 1450 circa costituiscono quello che in campo artistico viene generalmente chiamato il periodo del “tardo gotico” (detto anche Gotico cortese o Gotico internazionale), in cui le forme gotiche, cioè linearità, verticalità, ricerca degli effetti psicologici e naturalistici, eleganza del disegno, toccano il vertice della loro evoluzione. Si tratta di una fase caratterizzata dal gusto del prezioso, in cui l’arte è concepita come evasione dalla realtà verso un mondo fiabesco e ideale, dove linea e colore tendono a prevalere sulla resa della profondità e dei volumi. Parallelamente, un vivo realismo è riscontrabile nella rappresentazione del mondo naturale, basata sull’osservazione diretta e l’esecuzione di modelli e repertori di immagini.
In Italia un protagonista indiscusso e testimone di questa epoca è Antonio di Puccio Pisano, meglio noto come Pisanello, disegnatore, medaglista, ritrattista e pittore raffinato, attivo presso alcune delle corti più famose dell’epoca, dai Gonzaga ai Visconti agli Estensi. Pisanello ha lasciato opere di estrema eleganza e poesia, in cui la realtà e i temi sacri sono trasfigurati in chiave di fiabesco romanzo cavalleresco.
La prima opera attribuita a questo artista è la Madonna della quaglia, datata 1420 circa (una tempera ed oro su tavola, rubata dal Museo di Castelvecchio a Verona il 19 novembre 2015).
Si tratta di una Madonna col Bambino incoronata da due angeli volanti e seduta in un magnifico roseto, in pieno stile tardogotico, disinteressato alla resa prospettica e alla profondità spaziale. Il pittore dedica molta attenzione nella rappresentazione delle specie vegetali e degli uccelli (tra cui la quaglia in primo piano, che dà il nome all'opera), che creano una sorta di ambientazione paradisiaca, evidenziata dal fondo in lamina dorata.


Pisanello, Madonna della quaglia - via Wikipedia commons


La Vergine ha un incarnato chiarissimo e delicato, che ricorda quello delle principesse cortesi. Questo è un tipico esempio di rappresentazione iconografica di “Madonna dell’umiltà”, in quanto la Vergine non è raffigurata in trono, nella sua funzione regale, ma nella sua veste di madre (anche se la preziosità delle vesti, l’atteggiamento raffinato ed elegante avvicinano questa Madonna a una principessa delle corti dell’epoca). Ella è seduta in un roseto, un horto conclusus (recintato), simbolo della verginità di Maria. In definitiva, l’opera è un perfetto esempio dello stile “gotico cortese”, caratterizzato da un’estrema accuratezza per i dettagli decorativi e in cui il mondo cavalleresco si mischia con i temi e le iconografie sacre.
Particolare attenzione è data alla resa degli elementi della flora e della fauna. Sono presenti diverse specie floreali, e uccelli simili a tortore o colombe. Lo studio attentissimo ed esatto degli animali è un tratto distintivo di Pisanello. Egli è stato, insieme a Dürer e a pochi altri, uno dei più grandi “animalisti” di tutta la storia dell’arte e il realismo che caratterizza le sue rappresentazioni delle creature viventi è così poetico da impressionare ancora oggi. Il suo virtuosismo pittorico riesce a rendere in modo esatto ed estremamente realistico la specificità fisica dell’animale, una quaglia in questo caso.
La sua opera più famosa è San Giorgio e la principessa, facente parte del ciclo di "Affreschi della chiesa di Sant'Anastasia" (per lo più andati perduti), realizzato con tecnica a fresco su muro intorno al 1434-38. Essa copre l'arco esterno della Cappella Pellegrini ed è uno dei più grandi capolavori pittorici del tardogotico.


Pisanello - San Giorgio e la principessa (dettaglio, 1436-1438 circa), chiesa di Sant'Anastasia, Verona - Public Domain via Wikimedia commons

Sullo sfondo della città libica di Selem (in altre versioni della leggenda la città è quella di Trebisonda, Trabzon, nell'attuale Turchia), Pisanello raffigura il San Giorgio ispirandosi alla Legenda aurea narrata da Jacopo da Varagine nel 1260. Si osserva il santo, splendidamente drappeggiato nei suoi preziosi abiti cavallereschi che, con il piede sinistro sulla staffa, è intento a salire a cavallo. Egli sta prendendo congedo dalla principessa per andare a imbarcarsi e sconfiggere il drago al di là del mare, visibile nella parte sinistra dell’affresco.
L'opera presenta una straordinaria profusione di dettagli descrittivi realizzati con grande minuzia. Dalle armature dei soldati al costume della principessa, raffinato esempio di moda dell'epoca, dagli animali raffigurati con vivo realismo agli elementi vegetali sullo sfondo del primo piano. Nella parte alta, dietro il colle, spunta la città ideale, popolata da alte e fitte torri, guglie e un castello, che seguono i dettami della contemporanea architettura tardo gotica. Queste immaginifiche architetture contribuiscono alla creazione di un'atmosfera fiabesca, rotta però, come tipico nel gotico internazionale, da notazioni macabre: fuori dalle porte penzolano due impiccati, ritratti con vivo realismo e dovizia di particolari.
Qui la concezione dello spazio è cambiata notevolmente rispetto alle precedenti opere dell’artista. Sebbene condotta più a livello intuitivo che matematico, è evidente la ricerca di profondità nell’immagine e di una certa illusione spaziale. La distanza tra il primo piano, dove sono collocate le grandi figure dei protagonisti e dei destrieri, e lo sfondo appare visivamente corretto, con una linea di orizzonte che unifica correttamente i punti di vista utilizzati per le varie parti dell’affresco.
Tipicamente cortesi sono l'atmosfera fiabesca, la raffinatezza dell’acconciatura e delle vesti della principessa e dei cavalieri, la ricchezza delle armature e dei paramenti delle cavalcature, le fantastiche architetture che fanno da sfondo. Ma, se si osservano bene l’espressione del viso e la postura dei personaggi, si nota l’affiorare di una nuova sensibilità nel cercare di esprimere anche la loro psicologia, caratterizzata da un'emotività pensosa che rompe con il tradizionale distacco enigmatico e inaccessibile dei personaggi del mondo cortese. Le figure, inoltre, presentano minore rigidità posturale, collocandosi nello spazio in modo più naturale, rivelando l’interesse dell’artista per la narrazione. È inoltre innegabile una riconquista di valori plastici e spaziali che, sebbene lontani da un'impostazione prospettica razionale, mostrano l'abilità del pittore nel disporre le figure su più piani, come si può vedere soprattutto negli audaci scorci dei cavalli.


Pisanello, Cavallo e cavaliere (dettaglio) - Public Domain via Wikipedia commons

Come è tipico di Pisanello molti sono gli animali presenti sulla scena, magistralmente raffigurati dopo attenti studi dal vero condotti in disegni, molti dei quali ci sono pervenuti (contenuti in larga parte nel Codice Vallardi, al Cabinet des Dessins del Museo del Louvre). Oltre il cavallo, raffigurato da tergo, del santo, dietro la principessa vediamo altri tre cavalli, uno di fronte e due di profilo, e un ariete accovacciato. A sinistra si vedono un levriero e un cagnolino da compagnia. Nella parte sinistra dell’affresco, andata quasi del tutto perduta, si nota il dettaglio, vivissimo, di una salamandra che cammina tra i resti (ossa e altro) dei pasti del drago. È sicuramente questa la prima volta che in un dipinto appare il posteriore di un cavallo, ma anche l’altro cavallo visto di fronte è, in un certo qual senso, una novità, perché fino ad allora i cavalli erano stati rappresentati sempre di profilo.


Pisanello, Testa di cavallo (Louvre 2360) - Public  Domain via Wikipedia commons

I disegni di Pisanello testimoniano la versatilità e l'accuratezza con il quale l'artista studiò la natura, arrivando a vertici di verosimiglianza mai raggiunti prima. Essi denotano un interesse e una sensibilità che sono già rinascimentali e fanno di Pisanello il vero precursore dell’illustrazione zoologica moderna. È con lui che la produzione grafica arriva alla dignità di arte autonoma: i suoi studi di figure infatti non sono sempre modelli e studi preparatori, ma riproduzioni dal vero, condotte con la minuzia di un'indagine che oggi diremmo "scientifica".


Pisanello - Levriero, Cabinet des Dessins, Louvre - Public Domain via Wikipedia commons


Pisanello - Anatra, Cabinet des Dessins, Louvre - Public Domain via Wikipedia commons

Gli animali dimostrano, ancora una volta, la predilezione dell'autore per le raffigurazioni tratte dal vero, precise e realistiche. La stessa disposizione allo studio dal vero degli animali la ritroveremo solo molti anni dopo nelle opere e nei disegni di Albrecht Dürer o di Leonardo da Vinci.
Negli stessi anni Pisanello eseguì anche la tavola della Visione di sant'Eustachio, popolata di un gran numero di animali accuratamente descritti.


Pisanello - La Visione di Sant'Eustachio (1436-1438), National Gallery, Londra - Public Domain via wikipedia commons

Il dipinto narra l’episodio del pagano Placido (diventato Eustachio dopo la conversione), il quale durante una battuta di caccia vide l’apparizione di un crocifisso tra le corna di un cervo, in seguito alla quale si convertì. La storia è collocata in una foresta fiabesca brulicante di animali, colti nei più vari atteggiamenti: cani che puntano, raspano o inseguono; la lepre che fugge; il cervo ai piedi del pendio e l’altro che bruca l’erba di un cespuglio; l'orso in una grotta in alto a destra; le gru; i cigni nello stagno; gli uccellini nei cespugli. Questo dipinto, malgrado lo spunto agiografico e l’atmosfera da fiaba cortese, rivela uno studio attento, compiuto dal pittore, delle abitudini e dei comportamenti degli animali, che qui sono realisticamente colti all’interno del proprio habitat naturale.
L’iconografia sacrale-cavalleresca di Pisanello risulta sempre sospesa tra realismo e mondo fantastico; essa si concretizza nel contraddittorio rapporto tra osservazione minuziosa degli elementi singoli e fiabesca irrealtà delle visioni d'insieme.


Fonti bibliografiche:
Adorno Piero, L’arte italiana, D’Anna 1992.
Argan G. C., Storia dell’arte italiana, Sansoni 2002.
Caroli F., Il volto e l’anima della natura, Mondadori 2009.
Galavotti E., La svolta di Giotto. La nascita borghese dell’arte moderna, Lulu 2013.
Macioce S., Il gotico internazionale. Gentile da Fabriano e Pisanello, Art Dossier Giunti 1989.

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