domenica 23 settembre 2018

FINESTRE NELL’ARTE – POST-IMPRESSIONISMO ED ESPRESSIONISMO



Il periodo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento è l’età della crisi. Con il crollo della fiducia positivista nella scienza e nel progresso della storia e l’emergere di inquietudini nuove, si avverte in tutta Europa un senso di disfacimento e di fine di un'epoca. E' questo il periodo del Decadentismo in letteratura.
Il pensiero prende atto della frantumazione del mondo in un universo labirintico ed indecifrabile, provocando un senso di dubbio e di sfiducia nella scienza e nella ragione e mettendo in crisi il modello di razionalità illuminista e positivista. La scoperta dell’inconscio determina la crisi della soggettività, che si scopre impotente e in balia di forze invisibili e difficilmente controllabili.
In campo artistico, già negli anni Ottanta del XIX secolo il movimento impressionista sembra abbia esaurito la sua carica propositiva. Gli autori che per convenzione vengono definiti post-impressionisti non sentono più il bisogno di riflettere la reale consistenza della natura attraverso la luce e il colore, ma cercano di rappresentare una visione di essa in modo sempre più soggettivo. Essi non si pongono più il problema di riprodurre la realtà (funzione assolta molto più efficacemente dalla fotografia), ma quello di comunicare, in primo luogo sentimenti e stati d’animo.


Vincent Van Gogh

Vincent Van Gogh, La camera da letto di Arles, 1888, Amsterdam, Van Gogh Museum.

Il soggiorno ad Arles, in Provenza, dal febbraio 1888, rappresenta per Van Gogh il periodo più creativo, ma anche quello più tormentato, prima della tragica fine. Qui, nella nuova luce del Mediterraneo, dipinge i suoi capolavori. Ad Arles risiede nella famosa casa gialla, in Place Lamartine, che lui sogna di far diventare la sede di un circolo di pittori in grado di fondare una nuova pittura. Qui abiterà per qualche mese Gauguin, alla partenza del quale le condizioni di salute mentale di Van Gogh andranno incontro a un drammatico peggioramento.
Mentre attende l'arrivo del suo amico pittore, Van Gogh dipinge la prima versione de La camera da letto (altre due versioni saranno realizzate durante il suo soggiorno nell'ospedale psichiatrico di Saint Remy).
L'ambiente ha i tratti di una normale quotidianità, un letto rifatto, la finestra appena socchiusa, un tavolino da toilette con oggetti per la cura personale, lo specchio, l'asciugamano, una sedia accostata al letto, quadri appesi alla parete in equilibrio precario.
Il colore è steso con pennellate dense e pastose, le tinte sono accostate in modo da accentuare i contrasti, utilizzando coppie di complementari. Come nelle stampe giapponesi i colori sono piatti, non ci sono ombre a dare volume agli oggetti e una luce diffusa schiaccia le figure.
La minuziosa messa in scena, gli accurati dettagli, contrastano con la voluta deformazione della prospettiva, che peraltro Van Gogh conosceva molto bene: contrariamente ad ogni regola prospettica, qui l'effetto ad imbuto, ottenuto guardando la scena da un angolo di ampiezza visiva innaturale, risucchia lo spazio verso il fondo, evidenziando il primo piano costituito dalla spalliera del letto, del tutto sproporzionata, presenza incombente su cui grava il maggior peso visivo. La prospettiva così scomposta crea un angoscioso senso di instabilità, sia per la presenza di più punti di fuga, il che implica la mancanza di una direttrice univoca di osservazione, sia per le incongruenze dimensionali degli oggetti presenti. Lo spazio interno, inoltre, risulta così compresso che sembra sul punto di implodere su se stesso. Lungi dal dare all'osservatore l'idea del riposo, come era nelle intenzioni dell'autore (rivelate nelle lettere al fratello), il quadro suggerisce invece un'idea di claustrofobia e di angoscia, oltre a testimoniare il completo disinteresse che ormai Van Gogh nutriva per le regole della composizione, a favore di un uso sempre più simbolico e introspettivo, e quindi antirealistico, dei colori e del disegno.
Lo spazio della stanza è lo specchio dell'interiorità psicologica dell'artista. E' un interno semplice e quieto, quello che Van Gogh vuole dipingere, un'oasi di pace, di calma, di silenzio, e realizza invece un quadro che è l'esternazione della sua anima tormentata e chiusa, come chiusa è la stanza dipinta: le due porte laterali e la finestra in fondo non lasciano trapelare niente all'esterno e non lasciano filtrare nulla all'interno.
Il giallo solare e l'azzurro-violetto delicato e luminoso che costituiscono le tonalità cromatiche dominanti non riescono a rallegrare un ambiente che resta sostanzialmente claustrofobico, dove uno dei punti di fuga convoglia lo sguardo dell'osservatore proprio verso la finestra chiusa e opaca, che annulla la possibilità dello sguardo, in entrambe le possibilità di direzione.
Anche le due sedie vuote acquisiscono un significato simbolico: esse appaiono la metafora dell'attesa vana e dell'assenza, testimoniano di una solitudine psicologica insanabile e vissuta con fatica. E' così che Van Gogh ha dipinto il ritratto della propria anima in forma di una camera da letto.
E' evidente il maturato distacco dal neo-impressionismo. I mezzi espressivi, colore, luce, composizione, disegno, non sono più al servizio della rappresentazione oggettiva del mondo reale, ma traspongono simbolicamente realtà interiori. Questo era già evidente nell'opera Il caffè di notte, dipinta poco più di un mese prima. Riguardo quest'ultima, l'artista scriveva al fratello Theo: "Ho cercato di esprimere con il rosso e con il verde le terribili passioni degli uomini". Quest'uso esasperato del colore in senso psicologico-espressivo, il segno spezzato e frenetico delle pennellate e le prospettive deformate e instabili rappresentano una svolta fondamentale in senso «espressionistico» della storia della pittura europea.
Il colore è l'equivalente espressivo della tensione spirituale ed emotiva dell'artista. E' ormai lontana l'impostazione impressionista che cercava di modellare il colore in modo da rendere la verità della percezione fenomenica delle cose. Van Gogh utilizza i mezzi della pittura per incarnare nella realtà il proprio mondo interiore. Il colore non si deve assoggettare a riprodurre la realtà esterna, in quanto il colore possiede già un'esistenza sua propria, una sua potente capacità espressiva.
La forzata deformazione prospettica e l'uso simbolico dei colori sono due elementi che anticipano l'espressionismo.


Edvard Munch
Se la pittura di Van Gogh presenta degli elementi che anticipano l'Espressionismo, alcuni critici considerano il norvegese Edvard Munch un espressionista a tutti gli effetti.
Numerosissime sono le opere di questo autore in cui è presente l’elemento finestra con un ruolo significativo. Si pensi ad esempio a tutta la serie dei cupi "baci alla finestra", o a Notte a Saint Cloud, o ad alcuni dei suoi autoritratti.
In primo luogo c'è da notare che quasi tutte le opere di Munch che mostrano dei personaggi presso una finestra sono ambientate di notte e che la stanza in cui sosta l'uomo o la donna raffigurati è immersa nel buio, salvo il riflesso della luce che arriva dalla strada. Il contrasto tra il bagliore che proviene dall'esterno e l'opprimente buio della camera crea una particolare tensione psicologica, un'atmosfera di angoscia opprimente e di cupa solitudine, che configura la camera come simbolo dello stato di prigionia e di isolamento della condizione umana.
In questo dipinto Ragazza alla finestra (come anche nell'altro omonimo, di qualche anno posteriore), le tonalità prevalentemente utilizzate sono quelle del blu scuro e del marrone, mentre la luce che proviene dall'esterno imita il pallido riflesso lunare (nell'opera successiva invece ha la densità giallognola di una luce artificiale). In entrambe le opere, i piedi della ragazza rimangono nella zona d'ombra, fuori dai quadrati di luce sul pavimento. La sua figura staziona in una sorta di spazio sospeso, una linea di confine, tra la tenebra cupa che incombe alle sue spalle e la luce che filtra dai vetri e si proietta a terra. Se la si osserva bene, si nota che il suo viso non sta guardando fuori, oltre la tenda scostata, ma piuttosto è affondato nella tenda, cui lei si aggrappa con entrambe le mani. I personaggi di Munch presso la finestra cercano quasi sempre di celarsi a un possibile sguardo esterno, né il loro sguardo è orientato verso quella direzione. Pertanto la finestra non è un tramite per mettersi in comunicazione con la realtà al di fuori, ma un elemento che nell'opera accentua il senso di solitudine e di angoscia del personaggio, e soprattutto la sua chiusura interiore.

Edvard Munch, Ragazza alla finestra, 1893, The Art Institute of Chicago.


Il titolo del quadro ci dice che si tratta di una jeune fille, una ragazza, collocata pertanto anch'essa su una linea di confine, al limite tra l'infanzia e l'età adulta. Anche in altre tele, di cui ricordiamo in particolare La pubertà e La ragazza malata, Munch ha rappresentato l'adolescenza come una condizione morbosa e inquietante, permeata da sentimenti di angoscia, un accostamento che forse gli proveniva dalla sua esperienza di ragazzo, quando assistette alla morte per tubercolosi della giovane e amatissima sorella Sophie a soli quindici anni.
L'ombra alle spalle della ragazza appare come una presenza sinistra sul punto di ghermire la fanciulla, vulnerabile nella sua candida camicia da notte. L'impressione che si ricava è quella di una minaccia incombente, di un destino oscuro già segnato.


Edvard Munch, Bacio alla finestra, 1892


Munch ha dedicato molte opere al rapporto uomo-donna. Questa qui mostrata, raffigurante una scena di bacio, ci colpisce per la mancanza di tenerezza e di gioia e per la sua cupezza. I corpi senza volto, avvinghiati tanto da essere indistinguibili l'uno dall'altro, sembrano lottare più che scambiarsi affetto. L'abbraccio è sì sensuale, ma anche ambiguo e carico di tensione. Più che uno scambio di amore, vediamo qui una volontà da parte di entrambi i membri della coppia di sopraffare l'altro, di annullarlo assimilandolo a sé. Non due identità che si incontrano e si amano, ma un miscuglio informe di corpi che cercano di fagocitarsi e di annullarsi a vicenda e nel contempo di celarsi allo sguardo del mondo, al quale sottraggono la vista della loro relazione illecita e peccaminosa.
Nella pittura di Munch troviamo anticipati tutti i grandi temi dell'espressionismo: dall'angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi, dalla solitudine umana all'incombere della morte, dalla incertezza del futuro al meccanismo disumanizzante tipico della società borghese. Egli vuole rappresentare stati d'animo e sentimenti, non la realtà sensibile, e anche i suoi personaggi non sono altro che involucri di passioni e angosce. Lo stesso Munch dichiarava: “Mi rifiuto di realizzare piccole tele con la cornice dorata destinate a ornare le pareti delle case borghesi. Non si possono ritrarre eternamente donne che lavorano a maglia e uomini intenti alla lettura; voglio rappresentare esseri che respirano, provano sentimenti, amano e soffrono".


Edvard Munch, Notte a Saint-Cloud, 1890.

L’Espressionismo
Matisse e il fauvismo.
Con il termine "espressionismo" si usa generalmente definire la propensione di un artista a privilegiare, esasperandola, la rappresentazione delle tensioni e degli stati d'animo interiori piuttosto che la realtà oggettivamente percepibile.
Dal punto di vista della storia dell'arte, l'Espressionismo è un movimento culturale europeo circoscrivibile a circa il primo ventennio del 1900, che si manifestò principalmente in due aree diverse: in Francia nelle opere dei Fauves (Belve) e in Germania in quelle dei gruppi Die Brücke e Blaue Reiter. Se i movimenti tedeschi saranno caratterizzati da atmosfere cupe e contenuti drammatici, il fauvismo è connotato soprattutto per l'uso del colore e per i contenuti "solari" e vitalistici. Pur non costituendosi come un movimento organico, il fauvismo fa propri sostanzialmente due assunti di base:
1. il colore è l'elemento costitutivo di un dipinto: il colore compone e scompone le forme e lo spazio. Ogni artificio prospettico è abolito.
2. il colore nasce dal proprio sentire interiore. Viene annullato il rapporto tra il colore reale delle cose e quello impiegato per la loro rappresentazione pittorica. Il colore viene svincolato dall'obbligo di riprodurre una realtà preesistente e viene finalizzato all'espressione delle sensazioni che l’artista prova di fronte all’oggetto che riproduce. La pittura deve essere istintiva e immediata e non ricercare la verosimiglianza con la natura; essa non si pone il fine di imitare la realtà, ma di crearne una nuova che sia "espressione" del mondo interiore dell'artista.
Il fauvismo recupera queste caratteristiche dalla pittura di tre grandi post-impressionisti: Cézanne (da cui prende l'idea del ribaltamento prospettico, della semplificazione geometrica e della scomposizione e ricomposizione delle forme), Van Gogh e Gauguin (dai quali invece trae l'uso del colore come autonoma espressione interiore).
Finora i libri di storia dell'arte hanno spesso contrapposto Impressionismo ad Espressionismo. Ma questa opposizione va ridimensionata: già la concentrazione degli impressionisti sulla "impressione", cioè sulla percezione della realtà da parte dell'occhio umano, implica uno spostamento dell'attenzione dalla realtà oggettiva alla ricezione soggettiva. Gli impressionisti erano consapevoli che la loro pittura non costituiva una copia della realtà, ma la trasposizione di una percezione del tutto soggettiva.
Tra i maggiori rappresentanti del gruppo dei Fauves spicca la figura di Henri Matisse.
Nella sua lunga vita di artista, Matisse ha dipinto numerosissime finestre. Alcune di esse rappresentano delle opere molto celebri, come Finestra aperta. Collioure o La finestra blu.
La stanza rossa è un'altra opera molto importante del periodo Fauves di Matisse, che risale al 1908, conservata al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo.

Henri Matisse, La stanza rossa (Armonia in rosso), 1908, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo.

Nell'opera viene rappresentato un'interno borghese: c'è una stanza, con una finestra verso sinistra, aperta su un paesaggio naturale. A destra vi è una donna, probabilmente una cameriera, che sistema della frutta sul tavolo.
Appare chiaro come tutta la rappresentazione non abbia profondità spaziale, nemmeno il paesaggio visto dalla finestra. L'immagine è bidimensionale: la tavola, la sedia, e perfino la donna non sembrano avere alcuno spessore. Anche la finestra aperta su quello che sembra un giardino, appare piuttosto come un quadro appeso alla parete.
L’uso del colore in Matisse è quanto di più intenso è vivace si sia mai visto in pittura. In questo dipinto i colori dominanti sono decisamente i primari: rosso, blu e giallo, stesi con forza e senza alcuna stemperatura tonale; la costruzione prospettica, indicata solo dalla sottile linea nera del bordo del tavolo e dalla piega della tovaglia si annulla nel resto del dipinto, assorbita dall'uniformità del colore rosso, a cui vengono aggiunti elementi decorativi che diventeranno poi fondamentali nella seconda parte della carriera dell'artista. La tappezzeria rossa alle pareti sembra fondersi con la tovaglia del tavolo in un tutto unico, inghiottendo lo spazio tridimensionale della camera.



Al colore viene sacrificata non solo la tridimensionalità dell'immagine, ma anche la definizione dei dettagli. Il rosso uniforme e diffuso, con il ripetersi dei motivi decorativi sulla tovaglia e sulla tappezzeria, crea la sensazione di interno in maniera astratta ma molto suggestiva. Il colore, infatti, è disposto in modo talmente piatto ed uniforme da non consentire una facile identificazione dei piani orizzontali e dei piani verticali. Tuttavia crea una sensazione di luce interna molto diffusa e serena. Così come sereno appare l’unico rettangolo non rosso di questa tela: la finestra che si apre su uno scorcio di paesaggio consente la vista di verdi, bianchi, azzurri e gialli che danno la sensazione di una natura calma e tranquilla. Anche l’azione raccontata all’interno della stanza ¬ ̶  una cameriera che sta tranquillamente disponendo su una tavola frutta, pane e bevande  ̶  trasmette un senso di grande pace e serenità.
Si nota come l'autore non mirava alla rappresentazione di uno spazio reale, ma piuttosto a riportare sulla tela una dimensione interiore ed emotiva.

Henri Matisse, Fenêtre à Collioure - 1905.

Henri Matisse, La glace sans tain (The Blue Window), 1913.

Si è già detto come i Fauves fossero accomunati da rifiuto di dipingere secondo l’impressione del momento, ma in relazione all’espressione della propria intimità. L’espressionismo, dunque, promuove la diffusione di un’arte non realistica.

L'Espressionismo tedesco. Die Brücke e Ernest Ludwig Kirchner
Nell'anno in cui compaiono i Fauves in Francia, cioè il 1905, si costituisce a Dresda, in Germania, un gruppo di artisti che si danno il nome Die Brücke (Il Ponte, 1905-1913). Die Brücke e Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) costituiscono i due nuclei principali dell'Espressionismo tedesco che, tuttavia, non formerà mai un movimento unitario. Il nome del primo gruppo è un’esortazione a percorrere una sorta di ponte simbolico la cui meta finale sarebbe stata un futuro migliore dell’attuale (secondo i dettami nietzschiani raccontati in Così parlò Zarathustra).
Come nel Fauvismo, le caratteristiche fondamentali dell'Espressionismo tedesco sono l'irrealismo e la violenza dei colori, l'abolizione degli artifici prospettici, la semplificazione radicale del disegno, ma in più vi è una forte carica di drammaticità che, ad esempio, nei Fauves non era presente. Questo aspetto determina nella pittura tedesca l'accentuazione della tendenza alla "deformazione", alle alterazioni caricaturali della figura, al prevalere di tinte fosche. Il vero elemento che contraddistingue questo "movimento" è la disarmonia e la contestazione del quadro come oggetto di contemplazione edonistica: il «brutto» diviene una vera e propria categoria estetica, cosa mai avvenuta prima con tanta enfasi nella storia dell’arte occidentale. L’espressionismo nordico, sulla scia dell'esperienza artistica di pittori quali Munch ed Ensor, predilige sempre temi quali il disagio esistenziale, l’angoscia psicologica, il pessimismo storico, la critica ad una società borghese ipocrita e decadente e ad uno stato militarista e violento.
Molto forte è l'influsso del romanticismo tedesco (in particolare l'assunto dell'irrazionalità e della soggettività dell'arte) e del primitivismo africano e dei mari del Sud. All'interno di queste influenze va inquadrata la rivisitazione del gotico (identificabile nelle distorsioni, negli allungamenti e nelle spigolosità delle forme triangolate), con la sua inquietudine nordica contrapposta all'armonia mediterranea.
Protagonista di spicco della Brücke è Ernest Ludwig Kirchner. Egli è senza dubbio la figura di maggior spessore artistico del gruppo, oltre ad esserne l'anima. Egli è pittore dalle spiccate qualità introspettive ma è anche quello che, prima degli altri, volge la sua attenzione al tema sociale e urbano.
Le sue opere sono caratterizzate da una "poetica dell'incomunicabilità": i personaggi dallo sguardo fisso sono psicologicamente impenetrabili; le figure stereotipate, esageratamente allungate e sinuose, degli "Strassenbilder" (scene di strada) berlinesi hanno i tratti fisionomici indeterminati e rappresentano la massa impersonale che abita le grandi città moderne; la loro eleganza è cupa, i corpi sono isolati in un ambiente del tutto anonimo, i visi ostentano indifferenza, gli sguardi sono fissi e vuoti e non si incrociano mai. In questi dipinti predominano le tinte fredde e acide e il nero e le linee spezzate. Le scene metropolitane di Kirchner sono lontanissime dalla gioia di vivere di quelle impressioniste o dal dinamismo di quelle futuriste. L'accostamento contrastante dei colori e le forme spigolose creano un'atmosfera cupa e inospitale, che incute ansia e disagio. E' evidente l'intento di critica sociale alla classe borghese, massificata ed egoista, corrotta e decadente. Non si punta a rappresentare solo il malessere e l’alienazione dell’individuo, ma quelli dell’intera società, stretta nella deriva del degrado morale.
Se le donne delle strade berlinesi, con i loro abiti e cappelli eleganti ma eccessivi e con il trucco pesante e appariscente, rappresentano il simbolo del vizio e della decadenza, il nudo femminile invece, molto amato dai pittori del gruppo Die Brücke, è spesso simbolo di purezza, di autenticità, di legame primitivo con la natura. In questo dipinto vediamo appunto una donna nuda presso una finestra da cui si vede un paesaggio naturale. Notiamo subito l’irrealtà dei colori, evidenziabile nelle tonalità acide e nelle pennellate di verde sul giallo del corpo. Il contrasto cromatico è però attenuato e anche la spigolosità delle forme, a favore di una maggiore morbidezza. Il personaggio è perfettamente integrato nel cupo paesaggio naturale oltre la finestra. A differenza delle scene urbane, questo dipinto non ci comunica disagio e ostilità, ma una sensazione di sensualità mista a malinconia.
Il dato rilevante è che nelle opere dei pittori della Brücke le finestre sono piuttosto rare. Se si escludono le numerose nature morte e vasi di fiori sui davanzali di Karl Schmidt-Rottluff, la finestra compare molto di rado: i corpi, quando non immersi in informi e cupe strade cittadine o in selvaggi paesaggi naturali, sono chiusi in interni ermetici, senza significative aperture all’esterno.


Ernst Ludwig Kirchner, Brauner Akt am Fenster, 1912

L'esperienza della prima guerra mondiale segnerà Kirchner in modo indelebile, incidendo fortemente sul suo equilibrio psichico e portandolo a un lungo isolamento a Davos. I nazisti al potere lo inseriranno tra gli artisti degenerati, lo umilieranno pubblicamente, gli toglieranno l’incarico presso l’Accademia di Belle Arti di Berlino e il permesso di esporre pubblicamente le sue opere. Ogni speranza in un’umanità migliore naufragherà nell’incubo dell’inferno nazista.
Ormai minato irrimediabilmente nell’animo e nella psiche, Kirchner si toglierà la vita il 15 giugno 1938.



Der Blaue Reiter e Paul Klee.
Oltre a Die Brücke, l'altro gruppo dell'espressionismo tedesco è Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), che si costitusce a Monaco nel 1911. Principali ispiratori del movimento sono Wassilj Kandinskij e Franz Marc. Il movimento prende il nome da un’opera di Kandinskij del 1903: un cavaliere dal manto azzurro, simbolo della spiritualità, guida la corsa di un cavallo, simbolo dell’energia psichica e dell’energia irrazionale delle passioni.
Con questo movimento l’espressionismo prende una svolta decisiva. Nella pittura fauvista, o dei pittori del gruppo Die Brücke, l'intento era quello di rendere «espressiva» la realtà esterna, così da farle esprimere il mondo interiore dell’artista. Der Blaue Reiter radicalizza la componente espressiva e propone un’arte dove il riferimento alla realtà si fa sempre più sottile: l'arte è esternazione delle istanze interiori dell'artista, che può anche ignorare del tutto la realtà a lui esterna. Da qui ad una pittura totalmente astratta, il passo è breve. Ed infatti è proprio Wassilj Kandiskij il primo pittore a scegliere la strada dell’astrattismo totale.
E' necessario da questo punto di vista considerare anche il contesto culturale: le scoperte nel campo della chimica, della fisica, della psicologia avevano messo in luce il fatto che la realtà non è formata soltanto dal visibile, ma che l'universo da una parte e la psiche dell'uomo dall'altra comprendono aspetti del tutto invisibili, misteriosi e difficilmente sondabili.
Nel Rinascimento si era affermata una visione che ha caratterizzato l'arte occidentale fino alla fine del XIX secolo, cioè quella secondo cui un quadro non è altro che una finestra aperta sulla realtà, stabilendo in questo modo l’identità dell'arte come mimesi, cioè come riproduzione del mondo visibile. L’astrattismo segna il passaggio definitivo da un’arte mimetica ad un’arte non oggettiva. In conseguenza di ciò, l'espressione artistica non trae la sua giustificazione dal fatto di essere l'imitazione della superficie visibile delle cose, ma ha un ruolo del tutto autonomo.

Nel 1911 viene a contatto con il gruppo il pittore svizzero Paul Klee. Nella mostra del 1912 di Der Blaue Reiter vengono esposti 17 dei suoi lavori, anche se l'adesione di Klee al gruppo rimane caratterizzata da una certa indipendenza teorica. Sono questi per l'artista gli anni di una fervida ricerca che lo porteranno a Parigi, dove conosce il pittore cubista Robert Delaunay, le cui ricerche sul colore e la luce lo influenzeranno in maniera determinante. Delaunay, tra il 1912 e il 1914, realizza la Serie delle Finestre, sviluppando in questo modo il suo personale percorso verso l'astrazione e indagando il modificarsi dello spazio a seconda delle distorsioni create dalla rifrazione della luce attraverso le vetrate. Egli attua un processo di scomposizione dell'immagine, ma non per realizzare una visione dinamica della realtà come è l’obiettivo dei futuristi, bensì per esplorare i fenomeni luminosi e la percezione simultanea delle differenti sfumature di colore.

Robert Delaunay, Les Fenêtres simultanée sur la ville, 1912, Kunsthalle Hamburg.

Scrive Klee: “L’arte degna di questo nome, non rende il visibile: ma dissuggella gli occhi sull’invisibile. Nella sua essenza il disegno induce facilmente e legittimamente all’astratto. Il carattere fantastico, mitico, quello che gli occhi dell’immaginazione discernono, allora si rivela; e si manifesta con grande precisione.” (Paul Klee, La confessione creatrice, 1920).
Klee è stato non solo un grande artista, ma un grande teorico, di enorme influsso sulla storia dell'arte del Novecento. Nello scritto citato, come in tutta la sua vita artistica, che estendeva i suoi interessi alla musica, alla poesia, alla filosofia e alle scienze naturali, è costante lo sforzo di capire cosa sia la creatività. Egli infatti ritiene che l’arte si avvicini alla natura non perché la imiti, ma perché riesce a riprodurne le intime leggi della creazione. L'arte non è riproduttiva, ma deve far apparire all'interno del "dato" il "possibile". Quello che ci circonda è solo uno dei mondi che si è realizzato. Compito dell'artista è quello di dare vita alle altre possibilità. Scrive ancora Klee nei suoi diari: "Non appartengo solo a questa vita, perché io vivo bene con i morti, come con i non nati, più vicino di altri al cuore della Creazione, ma sempre troppo lontano". Per Klee solo l'artista, per la sua apertura nei confronti delle forze della natura, è in grado di avvicinarsi al mistero della creazione, pur nella consapevolezza di non poterlo mai raggiungere definitivamente. L'artista si pone in quel mondo intermedio tra visibile e invisibile che è il mondo del possibile, della libertà creativa. Egli può spingersi fino ad avvicinarsi a quel momento primigenio che è il principio del tutto, vicino al Creatore, nella consapevolezza che nessuna rappresentazione, per quanto creativa, è in grado di rendere pienamente visibile l'invisibile.


Paul Klee, Fenster und Palmen, 1914, Kunsthaus Zürich, Zurich.

L'artista è un uomo come gli altri, gettato in un mondo che muta continuamente; a differenza degli altri però ha i mezzi per liberarsi, attraverso la sua attività di creazione. Per far questo deve avere uno sguardo aperto, incantato, come quello dei bambini, cioè in grado di stupirsi e di andare oltre il visibile. L'astrattismo di Klee non significa rappresentare l'astrazione di un'idea, l'immobilismo di un concetto. Al contrario, l'astrattismo di Klee è movimento, spazialità, temporalità, è rendere con la pittura il continuo divenire della natura. Per questo la sua pittura è più vicina alla musica e alla poesia che alle arti figurative.

Paul Klee, Red Balloon, 1922, The Solomon R. Guggenheim Museum, New York.

La linea, vera protagonista delle opere di Klee, e il colore cessano di essere compressi nella loro funzione mimetica, e quindi riproduttiva; l'artista libera questi elementi da quella antica schiavitù e li innalza ad una missione produttiva. Sono le linee e i colori che generano dal loro interno significati sempre nuovi e diversi dell'opera, la quale non è una rappresentazione, ma un "evento", qualcosa che non è mai concluso, ma sempre in fieri, per le infinite interpretazioni a cui sarà sempre aperta.



Bibliografia:
Argan, G. C., L'arte moderna 1770-1970, Sansoni 2002.
Barilli Renato, L’arte contemporanea, Feltrinelli 2005.
De Micheli Mario, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, 1988.
Gombrich E. H., La storia dell’arte, Leonardo Arte, Milano 1997.
Hauser A., Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino 1956.
Jaspers Karl, Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001.
Kandinskij Vasilij, Lo spirituale nell’arte, SE 2005.
Klee Paul, Confessione creatrice e altri scritti, Abscondita, 2004.
Nigro Covre Jolanda, Espressionismo, Giunti Art Dossier.
Recalcati Massimo, Melanconia e creazione in Vincent van Gogh, Bollati Boringhieri 2014.
Wofmann Werner, I fondamenti dell’arte moderna, Donzelli, Roma 1996.

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