Caravaggio, L'incredulità di San Tommaso, 1601-02, Bildergalerie di Potsdam. |
Qualche anno fa Jaca Book ha pubblicato un grosso volume, frutto del lavoro di Giovanni Careri sulle opere di Caravaggio, dal titolo “Caravaggio. La fabbrica dello spettatore”.
L’autore propone un’analisi originale dei capolavori del maestro, studiando la posizione che il pittore assegna allo spettatore per attirarlo e coinvolgerlo all’interno della rappresentazione. Lo studio delle sue opere rivela che Caravaggio ha operato una profonda riflessione sui dispositivi interni al quadro e sulle strategie di interpellazione dello spettatore.
Careri si sofferma in particolare su un’opera, “L’incredulità di San Tommaso”, conservata alla Bildergalerie di Potsdam. In che modo Caravaggio riesce ad attirare e a conservare l’attenzione di colui che guarda?
Le sue prime opere conosciute sono per lo più degli autoritratti (dal “Bacchino malato” e “Giovane con canestra di frutta” di Galleria Borghese al “Bacco” degli Uffizi al “Ragazzo morso da un ramarro”), dipinti attraverso l’uso di uno specchio. Esse invitano lo spettatore non solo a far esperienza del quadro tramite lo sguardo (che il personaggio ricambia in modo diretto), ma anche attraverso un contatto sensibile. Il “Bacco” offre la sua coppa di vino, il ragazzo la sua frutta, il “Bacchino” sembra quasi invitarci ad assaggiare l’uva, le smorfie del viso e del corpo del fanciullo morso dal piccolo rettile ci tengono avvinti sulla tela alla ricerca della causa di quello spasimo.
La gestualità dei personaggi, i loro sguardi, la sensorialità dell’esperienza proposta dall’opera, la luce e le forme sensibili della pittura chiedono allo spettatore un coinvolgimento speciale, come quello di un amante che si avvicini all’amato.
Tutto ciò trova magnifica realizzazione ne “L’incredulità di San Tommaso”, dove il gesto forte è quello compiuto da Gesù nell’afferrare teneramente la mano dello scettico Tommaso, portandone un dito all’interno della piaga aperta del costato. E’ questo invito all’esperienza tattile, al contatto sensibile, che accomuna il gesto del Cristo all’invito che lo stesso Caravaggio fa all’osservatore: un'esortazione, come afferma lo stesso Careri in un’intervista, “a toccare e a farsi toccare dalla pittura e a intraprendere un lavoro d’introspezione comparabile a quello dell’apostolo incredulo”.
L’interpretazione del Careri appare del tutto convincente. A osservare bene il quadro, non si fatica a pervenire alle stesse conclusioni. L’estrema essenzialità della composizione, la desolata sobrietà della scenografia, la luce che investe tutto il corpo di Cristo, la disposizione ravvicinata dei protagonisti, con le quattro teste vicine a formare una sorta di croce o di cerchio, la concentrazione degli sguardi, creano una forte tensione emotiva e focalizzano lo sguardo dell’osservatore verso il fulcro del dramma: la mano di Gesù che guida quella di Tommaso dentro la ferita. Notiamo la figura di profilo dell’apostolo incredulo: il suo sguardo non segue la sua mano mentre si introduce nella carne; l’espressione è concentrata, la fronte è corrugata, l’occhio è sgranato, l’altro braccio è piegato sul fianco e tutto il corpo è teso in avanti nella posizione di qualcuno che è intento a compiere un’operazione che converge su una sensazione tattile, che riguarda il sentire tramite contatto più che il vedere. Tutta l’atmosfera è sospesa intorno a questa esperienza dei sensi. Il Dio si dà concretamente come carne viva, come prova sensibile, non come apparizione o visione.
Come è scritto nella presentazione del volume di Careri, “lo spettatore diviene così il fulcro di un coinvolgimento affettivo, cognitivo e sensibile sino ad allora inedito nella storia della pittura: il quadro non è solo oggetto di visione, ma fabbrica dello spettatore, di forme del guardare, del sapere e del sentire.”
I modelli che posano per Caravaggio sono di solito persone tratte dalla strada, i cui corpi, compreso l’abbigliamento, non vengono cancellati dal personaggio che sono chiamati a interpretare. Anche questo elemento contribuisce a quella ricerca di coinvolgimento dell’osservatore nell’evento rappresentato, in quanto lo cala nel presente, cioè nella stessa dimensione temporale dello spettatore cui l’opera è destinata. Nello stesso spazio e nello stesso tempo, in prossimità dell’evento, quasi a portata di mano: così si potrebbe forse riassumere il rapporto che i quadri del Caravaggio intrattengono con colui che si pone di fronte ad essi.
Rispetto all’iconografia tradizionale di questo tema, Caravaggio compie un’operazione tanto radicale quanto semplice: avvicina l’inquadratura, lasciando fuori campo tutto il superfluo. Porta lo sguardo dell’osservatore dentro la scena, vicinissimo all’evento. I protagonisti sono, per di più, a grandezza naturale e ad altezza dell’osservatore, per cui, chiunque sia di fronte a quella tela, diventa il quinto personaggio della scena.
Non attraverso l’organizzazione prospettica dello spazio, che si offre in profondità allo sguardo, come nelle “finestre” albertiane, ma si cerca il coinvolgimento dello spettatore attraverso un atto di avvicinamento ad esso. Grazie anche al realismo che permea la rappresentazione, il quadro mette la storia alla portata dell’esperienza sensibile di colui che guarda. E’ soprattutto la corporeità dei personaggi – una corporeità viva e sensibile - a offrirsi alla fruizione dell’osservatore. Questi è avvicinato, è portato in prossimità dell’evento, nell’attimo in cui questo accade, ed è invitato a partecipare non solo come testimone, ma come attore vero e proprio.
“Grande illusionista” scrive Frank Stella “capace di dar vita a figure che vanno al di là dei meccanismi della rappresentazione, Caravaggio sa immergere lo spettatore in un dramma capace di far apparire uno spazio autonomo, una terra di nessuno in cui la pittura diviene tutt'uno con chi la guarda e si trasforma in luogo dell'esistenza, in realtà vivente”.
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