lunedì 10 settembre 2018

Assorbimento e teatralità. I Light box di Jeff Wall

Jeff Wall, Picture for Women (1979)

La fotografia di Jeff Wall si dedica principalmente alla rappresentazione del reale e del quotidiano attraverso la loro analisi, ricostruzione e ricomposizione. Lo sguardo dell’autore non si limita a far da testimone alle esperienze ordinarie, ma se ne distanzia per passare alla riflessione, analisi e interpretazione del fatto. L’evento è pertanto riallestito e rappresentato, come un’immobile scena teatrale o come il fotogramma di un film.
Mutuando il tipo di “esposizione” dell’immagine dalla cartellonistica pubblicitaria, Wall presenta le sue fotografie come grandi stampe montate in lightbox retroilluminati. La grande dimensione e la scala a grandezza naturale consentono allo spettatore di entrare in relazione corporea con l’immagine, coinvolgendolo attraverso la presentazione e la messa in scena di una realtà.

L’opera forse più famosa di questo autore è Picture for Women (1979), ispirata al capolavoro di Edouard Manet Al Bar delle Folies-Bergères (1881-82). Nel dipinto del pittore impressionista, la barista Souzon è dietro il bancone di un bar, con aria assente e apatica, quasi imperscrutabile. Dietro di lei un grande specchio riflette l’interno del locale e la stessa Souzon, mentre sembra intenta ad ascoltare un avventore. L’ambiguo confine tra realtà e riflesso speculare crea una rete complessa di piani e di punti di vista.
Picture for Women è stampata su grande scala ed è montata in un lightbox retroilluminato. L'immagine mostra un locale che sembra una mensa. In primo piano a sinistra, dietro un asse di legno, una donna è in piedi, di fronte allo spettatore. Sul lato destro c'è un uomo (l’artista stesso) rivolto verso la donna. Wall prende in prestito la struttura interna - l'insieme, le figure e gli sguardi - del dipinto di Manet, ma qui tutta l’immagine si presenta totalmente come un riflesso nello specchio. Lo deduciamo dalla presenza, proprio al centro della scena, della macchina fotografica (che rivendica un senso di presenza alla pari con i personaggi umani), mentre cattura l’atto stesso di produzione e, a destra, dello stesso autore, mentre è intento ad azionare il pulsante di scatto (presentandosi, dunque, come l’artefice della rappresentazione).

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82, Courtauld Gallery.

Tutti i protagonisti che concorrono alla realizzazione dell’immagine (soggetto, macchina e autore) quindi, sono collocati fuori campo, esterni alla scena della rappresentazione. Vi compaiono solo come riflesso, in una sorta di immagine nell’immagine.
Lo specchio è uno dei protagonisti in entrambe le opere, motivo che testimonia la preoccupazione per le tematiche che riguardano il “vedere”, le dinamiche dello sguardo e la rappresentazione spaziale. In entrambi i lavori, lo specchio si trasforma in superficie che reincorpora il fuori campo, attraverso la giustapposizione di piani di visione eterogenei e combinando più superfici. Lo specchio rende presente l'assente, lo espone rendendolo visibile.
A ben guardare la fotografia, tuttavia, essendo l’immagine interamente costituita da un riflesso, lo specchio è qui evocato piuttosto che rivelato. Ad esempio, non c'è nessun raddoppio di figure o oggetti, né è visibile alcun brano di cornice. Solo la presenza della fotocamera sembra funzionare come la prova più evidente dello specchio (ma potrebbe esserci una seconda fotocamera, posizionata al di qua della scena, mentre il testo invertito leggibile sulla macchina potrebbe essere causato da un’inversione del negativo).
Se ammettiamo l’esistenza dello specchio, tutta la composizione rimane compiuta in se stessa: i tre protagonisti e i loro riflessi speculari formano un sistema chiuso. Se, invece, immaginiamo lo scenario senza lo specchio, la fotocamera che compare nell’immagine diventa un elemento mirato allo spazio fuori campo, cioè a noi che guardiamo. In questo modo si creerebbe un’interazione con la quarta parete, il luogo dove è posizionato l’osservatore, che così diverrebbe il vero "soggetto" dell'immagine invisibile, quella che non si vede perché è al di qua della scena.
Escludendo lo specchio, l’immagine rimarrebbe intatta, mentre cambierebbe radicalmente il suo rapporto con la realtà (cosa vediamo? Personaggi in carne e ossa o il loro riflesso?). Tale ambiguità destabilizza la tradizionale visione della fotografia come specchio del reale. Ironicamente, minando la certezza della presenza dello specchio, la fotografia di Wall solleva dubbi sulla natura della realtà che descrive, squilibrando così la sua integrità fotografica.
La donna, l'artista, la fotocamera e lo spazio del locale sono catturati nel riflesso: nulla è nascosto dalla vista quando il piano dell'immagine è interamente definito dallo specchio. Tutto è esplicito in “Picture for Women”, la sua intera procedura è dichiarata, niente è nascosto e la sua visibilità totale è accecante. Eppure, tutta questa visibilità rappresenta una sfida all’idea (ingenua) della fotografia quale specchio veritiero del mondo.

L’altro elemento forte di questa immagine è il rapporto che stabilisce con lo spettatore. Uno studioso che ha riflettuto parecchio sull’opera di Jeff Wall è lo storico dell’arte Michael Fried. Nel suo Absorption and Theatricality: Painting and Beholder in the Age of Diderot, Fried definisce i concetti di teatralità e anti-teatralità di un’opera d’arte, per i quali riveste grande importanza la relazione tra l'immagine e lo spettatore.
I due termini, anti-teatrale (che Fried chiama absorption, “assorbimento”) e teatrale (anche indicato come “frontale”), sono per lo studioso americano due termini chiave che facilitano la lettura della fotografia d'arte contemporanea. Il termine antiteatrale si riferisce a quelle rappresentazioni che enfatizzano l’indifferenza dei personaggi raffigurati rispetto allo sguardo esterno del fruitore. Essi sono messi in scena completamente assorbiti nella loro occupazione o nella loro attività, ignari della presenza dello spettatore, così come dell’autore che li sta riprendendo. I soggetti non sembrano posare per l'artista e tutta l’immagine tende ad affermare la finzione ontologica che l'osservatore non esiste.
Al contrario, il termine teatrale descrive soggetti consapevoli e della presenza dell’autore e di quella dell’osservatore. Le opere sono dirette e frontali, così come lo sono i soggetti raffigurati.
Come leggere Picture for Women in base ai concetti di teatralità e anti-teatralità? Come si può notare, si tratta di una visibile messa in scena, e tuttavia conserva contemporaneamente un'aria di spontaneità e assorbimento. La fotografia di Wall, perciò, sembra funzionare secondo un registro che non può essere descritto semplicemente come teatrale o anti-teatrale.
Gli aspetti teatrali nel lavoro di Wall risiedono soprattutto nelle loro connotazioni cinematografiche. Le immagini sono sempre molto dettagliate, l'illuminazione curatissima, la presentazione in un lightbox ricorda lo schermo del cinema. Sebbene non tutte le caratteristiche di una presentazione cinematografica possono essere trovate nel lavoro di Wall - per esempio lo spettatore non è collocato nello spazio buio di una sala di proiezione - l'assorbenza delle sue fotografie e la loro modalità di presentazione concorrono comunque ad ottenere un simile modo di isolare gli spettatori gli uni dagli altri come in un cinema.
Diversamente dal linguaggio cinematografico, però, Picture for Women mostra il processo di produzione dell'immagine: all'interno dell’immagine lo spettatore può vedere la fotocamera, l'otturatore, l'illuminazione e altri oggetti di scena come il treppiedi. Questi strumenti ricordano allo spettatore la natura scenica dell'immagine ed evitano il completo assorbimento che si può ottenere nella visione di un film. La composizione nel suo complesso trasmette un inconfondibile senso di costruzione deliberata, un’evidente messa in scena che sottolinea la natura teatrale dell'immagine.
Nello stesso tempo, tuttavia, le fotografie di Wall evidenziano anche numerosi aspetti anti-teatrali, che non riguardano soltanto le loro connotazioni cinematografiche, ma principalmente il modo in cui sono rappresentati i personaggi: questi sono spesso ripresi mentre sono intenti a fare qualcosa e non sembrano accorgersi nemmeno del fotografo. È significativo notare che questa capacità di assorbimento non è ottenuta attraverso istantanee “rubate”, che raffigurano soggetti ignari di essere ripresi. Al contrario, le fotografie di Wall, apparentemente naturali e anti-teatrali, necessitano di molto tempo di preparazione. Pertanto, queste immagini presumibilmente anti-teatrali, che mostrano soggetti assorbiti, sono in realtà molto sceniche e teatrali, e sono quindi una combinazione di entrambe le modalità di presentazione. Wall, come altri fotografi d’arte, dirigono essenzialmente la propria attenzione sul “problema del vedere", non usando una teatralità diretta, ma combinando insieme le diverse modalità.

Secondo un altro critico, Steve Edwards, le immagini di Wall si ricollegano al realismo critico di Brecht, in base al quale la verità sociale si rivela attraverso qualcosa di costruito, qualcosa di artificialmente posato. Cosa vorrebbe rivelare Picture for Women?
Il titolo della fotografia potrebbe essere spiegato come un'allusione al modo in cui l'immagine femminile è stata costruita dallo sguardo maschile.
L’iconografia del corpo femminile, nella cultura visiva moderna e contemporanea, funge da superficie trasparente che rispecchia il tessuto sociale e le relazioni di potere, alla base della sua rappresentazione e fruizione. La fotografia, essendo parte integrante dei mass media, promuove le convenzioni legate all'iconografia femminile. Artisti contemporanei come Jeff Wall, volti a distanziare il proprio lavoro dai prodotti visivi della cultura di massa, hanno cercato di svelare i meccanismi di formazione di un'immagine, provocando allo stesso tempo la disposizione critica dello spettatore.
Una serie di 'sguardi' ('desideri') rimbalza all'infinito tra le tre figure reali (collocate al di qua della scena) e le loro immagini allo specchio. Lo spazio dell’immagine è diviso in tre sezioni e le figure che occupano ciascuna sezione sono separate da due aste verticali. Nonostante l'illusione che gli occhi della donna (in carne e ossa) incontrino i nostri, il suo sguardo è diretto verso il riflesso speculare della camera, mentre l’artista rivolge il proprio all’immagine della donna, che invece sembra ignorarlo del tutto: esiste quindi una triangolazione libidica apparente indipendente dallo spettatore.
Questa triangolazione asimmetrica ha suggerito un’interpretazione femminista di questa fotografia. Nelle rappresentazioni cinematografiche, l’immagine della donna è riservata al voyeurismo maschile, incarnante l’inconscio del patriarcato. Ma, se il cinema è un’immagine per uomini, la fotografia di Wall è un’immagine per le donne. Secondo questa interpretazione, Wall sfida le dinamiche del voyeurismo patriarcale: l'artista guarda indirettamente il "soggetto" femminile attraverso il riflesso dello specchio, piuttosto che la donna reale nello spazio "reale". Inoltre il suo sguardo non è ricambiato; piuttosto, attraverso l'immagine speculare, la donna restituisce costantemente lo sguardo alla macchina fotografica. Il contegno della donna è calmo e il suo atteggiamento è sicuro. Il suo sguardo è franco e diretto. E’ lei sia il soggetto che lo spettatore della scena: l'occhio che vede, ed è visto.


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