sabato 22 settembre 2018

FINESTRE NELL’ARTE – RINASCIMENTO E SEICENTO



Le simbologie delle finestre nella storia dell’arte.
La finestra è un elemento che affascina per la sua ambiguità: oggetto apribile e chiudibile al tempo stesso, separa e unisce, permette di vedere e di essere visti oppure di celare e di celarsi, contiene in sé la trasparenza del vetro e l’opacità del battente.
In questa serie di articoli prenderemo in esame alcune opere pittoriche in cui le finestre costituiscono elementi rappresentativi o simbolici di rilievo.
Prescindendo da ogni considerazione di storia dell’architettura, possiamo senz’altro dire che nel nostro immaginario comune porte e finestre si trovano su una linea di confine, che separa un “dentro” (l’ambito del privato, del familiare, del conosciuto) da un “fuori” (l’ambito del pubblico, dell’ignoto).
Porte e finestre costituiscono delle aperture di accesso, tramite le quali il “dentro” e il “fuori” sono messi in relazione. La porta presuppone la possibilità di entrare in un certo luogo o di uscirne per entrare in un altro; la finestra dà modo alla luce di penetrare all’interno di uno spazio chiuso e fonda la possibilità “del guardare fuori”.
Ma la percezione di ciò che è “interno” e di ciò che è “esterno” varia nei secoli. Si potrebbe studiare il mutamento di questa percezione osservando come porte e finestre sono state rappresentate nelle arti figurative.


La finestra come “veduta” 
Nel Rinascimento la finestra aveva essenzialmente una funzione di “veduta”. Se si osservano le opere di questo periodo, ci rendiamo conto che le finestre rappresentate non hanno cornice, non hanno confini precisi. Sono più che altro dei “ritagli” che portano l’esterno, cioè il paesaggio, all’interno. La finestra non è una cesura che delimita il mondo privato da quello pubblico, ma piuttosto il mondo della cultura (il soggetto rappresentato all’interno) da quello della natura.
Questo quadro del Tiziano (di cui esiste anche la variante con il “cagnolino” al posto dell’amorino) rende bene il concetto su esposto. L’ampia finestra che vediamo a sinistra, più che una finestra vera e propria che delimita uno spazio interno, è una ampia veduta del paesaggio esterno, che conferisce profondità all’opera.


Tiziano, Venere con organista e amorino, 1550.

Con il Quattrocento la prospettiva lineare diventa l’unico modo di rappresentare la realtà, quasi voluto da Dio e dalla sua perfezione, e questo primato rimarrà tale per almeno quattro secoli.
In questo metodo di rappresentazione dello spazio, il punto di fuga diventa il fulcro di tutto il quadro, il suo centro non solo geometrico ma simbolico. Come si vede in quest’opera del Tiziano, il centro della prospettiva, il punto di fuga è posto fuori dallo spazio rappresentato in primo piano e quindi fuori dalla finestra, nel paesaggio stesso. Questo elemento testimonia ancor di più il fatto che, nella pittura rinascimentale, spazio interno e spazio esterno non sono in contrapposizione, non formano due realtà totalmente distinte, come vedremo invece nelle rappresentazioni dei secoli successivi.


Ridolfo del Ghirlandaio, Donna velata, 1510 circa, Uffizi, Firenze.

La pittura come “finestra aperta sul mondo”.
A partire dall’Umanesimo,  la pittura occidentale si dà l’obiettivo di farsi mimesi del reale.
Già allora la finestra viene caricata di implicazioni simboliche, rinvenibili per esempio nelle parole di Leon Battista Alberti, tratte dal suo De pictura del 1436, con le quali suggerisce ai pittori un suo efficace artificio per riprodurre fedelmente il reale: per farlo, scriveva, io «disegno un quadrangolo di angoli retti … il quale mi serve per un’aperta finestra dalla quale si abbia a veder l’istoria» (Libro I, 19). Tutto ciò è stato riassunto in seguito coniando la definizione di pittura come “finestra aperta sul mondo”, cioè la pittura imita la realtà e per far questo ricorre agli artifici matematici della prospettiva lineare. Questa impostazione ha fatto della finestra uno dei “luoghi topici” dell’arte occidentale, una metafora della pittura, in quanto la finestra permette di guardare, ma allo stesso tempo limita la visuale e impedisce all’osservatore di disperdersi. Riassumendo, nel Rinascimento la finestra non rappresenta una soglia, un confine, ma uno strumento visivo e concettuale, un dispositivo ottico, uno sguardo prospettico che organizza e misura “matematicamente” l’essenza dello spazio.
La “finestra” albertiana è la base della concezione dell’arte occidentale dal Rinascimento alla seconda metà dell’Ottocento: una concezione come si è detto mimetica, che concepisce il quadro come apertura sul mondo, come umanistica proiezione dell’occhio umano, che deve trovare corrispondenza tra immagine mentale e la realtà fuori di sé. La cessazione di questo criterio sarà invece decisiva nel produrre la nascita dell’arte contemporanea, in cui la finestra ricorrerà con un senso del tutto diverso.
Nell'Annunciazione del Credi, conservata agli Uffizi, è illustrato bene il concetto rinascimentale di finestra. Anche qui il punto di fuga si situa oltre la porta, nel paesaggio esterno, mentre le aperture, più che rappresentare delle soglie che delimitano uno spazio interno distinguendolo da quello esterno, sono i dispositivi ottici che permettono l’organizzazione della rappresentazione spaziale.


Lorenzo Di Credi, Annunciazione, 1480, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Ricapitolando, nel Rinascimento la finestra rappresenta la metafora della pittura e, a livello estetico, costituisce un dispositivo ottico di organizzazione dello spazio pittorico, una "veduta" su paesaggi esterni prospetticamente inquadrati, come possiamo osservare anche in questo quadro del Perugino.


Pietro Perugino, San Bernardino risana una fanciulla, 1473.

La finestra come limite.
Donna che scrive una lettera alla presenza della domestica è un dipinto di Jan Vermeer del 1657. Siamo nell'Olanda del Secolo d'oro, il Paese dove è presente il più nutrito e coeso ceto borghese del continente: mercantile sul piano economico e riformato sul piano religioso. In questo contesto, si sviluppa una produzione artistica destinata non più ai tradizionali committenti della corte o della Chiesa, ma alla nuova classe dirigente, la borghesia appunto, ai cui valori questi artisti danno forma. E questo committente preferisce delle rappresentazioni legate ai temi della vita quotidiana, piuttosto che i classici soggetti mitologici o religiosi. Si diffonde la pittura di genere: paesaggi, nature morte, ritratti, interni domestici, contesti quotidiani in cui la società borghese può specchiarsi e riconoscersi.
Una società moderna, borghese, è una società che ha stabilito dei confini precisi tra sfera pubblica e sfera privata. Nelle opere d'arte il confine tra pubblico e privato è simboleggiato dal rapporto dialettico tra interno ed esterno, e in particolare da porte, soglie, finestre, che sono luoghi di transizione, posti al limite di due ambiti diversi.
Il mondo interno è quello privato della “casa”, il mondo degli affetti, spazio non solo fisico ma anche simbolico, che separa ciò che è familiare da ciò che è estraneo. L’interno della casa è il mondo abitato soprattutto dalle donne, angeli del focolare, che svolgono i lavori domestici e attendono gli uomini che operano all'esterno, nel mondo degli affari e della politica. La casa è il luogo della serenità domestica, mentre l'esterno è il luogo dell'avventura e dell'incertezza.
Molti dipinti di Vermeer sono ambientati nella tranquillità di una casa, cioè nella sfera privata dei soggetti raffigurati. Il tema della donna che legge o scrive una lettera nella quiete di una stanza è stato da Vermeer rappresentato in numerose opere. Lo spettatore di questi dipinti si sente spesso come se gli fosse stato permesso di condividere con discrezione alcuni momenti di vita dei personaggi, ripresi nell'intimità delle loro case.

Jan Vermeer, Donna che scrive una lettera alla presenza della domestica, 1670-71, National Gallery of Ireland

Nell’opera Donna che legge una lettera davanti alla finestra, complessa sul piano compositivo, la scena si svolge in una stanza tranquilla e illuminata - come in diversi altri quadri di Vermeer - da una finestra posta sulla sinistra. La luce entra nella stanza e la riempie, investe ogni forma che incontra, animata o inanimata. La luce procede da sinistra verso destra dando corpo alla stanza, ma il quadro può essere letto anche in termini di profondità attraverso i piani che si sovrappongono. Intanto in primo piano c’è una tenda, che funge da sipario e che scostata sulla destra apre la scena alla vista dello spettatore. Poi troviamo un tavolo coperto da un tappeto prezioso di lana sul quale è poggiato un klapmut di porcellana cinese pieno di frutta. Oltre il tavolo, una giovane ragazza è intenta a leggera una lettera di fronte alla finestra aperta. Il suo volto, raffigurato di profilo, ci si mostra per intero nel riflesso sul vetro dell'anta. La vediamo completamente assorta e appagata nella lettura e nella sua interiorità, infinitamente lontana dal mondo esterno.
La costruzione prospettica dell'opera è molto accurata e anche la resa realistica dei minimi particolari, così come è nella tradizione della pittura fiamminga; ma sono soprattutto gli effetti di luce il grande pregio del dipinto, in particolare sulla grande tenda verde in primo piano. Questa sembra un sipario ricadente nello spazio dello spettatore, come se fosse stato tirato da parte per rivelare questo momento intimo della vita della giovane donna.


Jan Vermeer, Donna che legge una lettera davanti alla finestra, 1657 circa, Gemäldegalerie di Dresda.

Confini di un mondo privato.
Anche l'olandese Pieter de Hooch, come Vermeer, è un pittore del Secolo d'oro dell'arte olandese. La sua carriera si svolge soprattutto a Delft, stessa città in cui operava Vermeer, ritraendo in particolar modo interni e scene familiari di vita borghese, caratterizzati da grande cura per i dettagli di vita quotidiana.
Personaggi privilegiati da De Hooch sono le donne a casa con i loro figli: la madre che sorveglia la culla, che serve la sua famiglia a tavola, che lavora nella sua cucina o cuce o legge una lettera seduta vicino a una finestra (testimonianza, peraltro, del livello di alfabetizzazione femminile). La nota fondamentale di ogni singolo quadro è una intima semplicità; il pittore ci conduce in un ambiente calmo e tranquillo, molto pulito e ordinato, abitato da persone benestanti, un mondo la cui calma non è mai infranta da alcun evento sensazionale.
In quest'opera, accanto a una culla in primo piano, siede una giovane madre, che ha appena allattato il suo bambino ed è intenta a riallacciarsi il corpetto, sorridendo teneramente al figlioletto nella culla, il quale non è visibile allo spettatore. Alle sue spalle, a sinistra, in una nicchia, c'è un letto parzialmente occultato da pesanti tendaggi. Sulle pareti è appeso uno scaldaletto in ottone e una gonna rossa. Il pavimento a quadri bianchi e neri doveva essere tipico delle case olandesi dell'epoca, perché lo troviamo raffigurato anche in molte opere di Vermeer e di altri autori contemporanei. Accanto alla donna vediamo un cane, personaggio ricorrente nei quadri di De Hooch. Una porta aperta sulla destra conduce in un disimpegno dove una bambina è in piedi davanti all'uscio di casa aperto, attraverso il quale il sole penetra all'interno come un rivolo luminoso. Sembra che la ragazzina sia attratta da qualcosa che è all'esterno, fuori dalla casa, di cui avverte il fascino irresistibile. C'è qualcosa di sospeso nel suo sostare davanti all'uscio, oltre il quale splende una luce abbagliante. Questo dispositivo di aprire la vista da un ambiente ad un altro, è detto doorkijkje, un termine che nella lingua fiamminga significa letteralmente ‘guardare attraverso porte’, una tecnica pittorica che è più di un semplice gioco con la prospettiva.
Già da prima, si era sviluppata intensamente tutta una ricerca sulla rappresentazione dell’architettura interna, in particolare della casa borghese: in questi dipinti sono gli spazi, gli ambienti e gli sviluppi architettonici a costituire i veri soggetti, mentre la presenza umana è piuttosto funzionale ad abitare gli spazi e renderli credibili.
Samuel van Hoogstraten e Pieter de Hooch fanno delle rappresentazioni di interni domestici, attraverso porte e passaggi, una loro specialità. De Hooch perfeziona questo dispositivo; il rapporto tra spazi interni ed esterni, modellati da una prospettiva allargata, produce un piacevole sollievo, per l'arricchimento di luce e per l'atmosfera che ne deriva.
L’elemento del “passaggio”, dell’“attraversamento” fisico di uno spazio risulta strettamente legato alla possibilità di guardare in profondità, di lanciare lo sguardo dal primo piano ad un secondo piano posto in lontananza, ma contiguo al primo.
La prospettiva unitaria e totalizzante del Rinascimento si spezza, si articola in più piani, accentuando il ruolo della vista a cui non lascia aperto tutto il palcoscenico, ma le impone dei passaggi e dei restringimenti. 
Ma, così facendo, la sollecita a un ruolo più attivo nel processo di costruzione mentale e di comprensione dello spazio, che si sviluppa contemporaneamente alla visione e all'attraversamento dello sguardo.  

Pieter De Hooch, Donna che si allaccia il corpetto vicino a una culla, 1660 circa, Gemäldegalerie, Berlin.

Nella società mercantile dell'Olanda del Seicento, argomento dell’arte diventa anzitutto ciò che è "proprietà" dell’individuo o della comunità: la famiglia, la casa, il cortile, la città con i suoi edifici, e i suoi dintorni, il paesaggio nativo. Oltre alla scelta dei soggetti, elemento peculiare dell'arte olandese è il verismo, che la distingue non solo dal Barocco di tutta Europa – con le sue pose eroiche, la severa e rigida solennità o l’impetuoso, travolgente sensualismo – ma anche da altre forme di naturalismo. Questo nuovo "naturalismo borghese" è un modo di rappresentazione che cerca non solo di render visibile quel che è spirituale, ma di dar vita e interiorità a ogni cosa visibile. I soggetti rappresentati sono scene di vita quotidiana, ma è palese l'aura di spiritualità e di sacralità che le pervade. E' la sacralità della casa e della famiglia, i nuovi valori di una classe borghese che esige e fonda una sua propria liturgia. I soggetti raffigurati sono scene casalinghe, ma l'atmosfera in cui sono calati ricorda quella di certe iconografie religiose con protagonista la Vergine Maria.
La modernità si fonda sulla distinzione fra la sfera pubblica e la sfera privata, intesa come sfera protetta da ogni tipo di interferenza da parte delle autorità politiche e religiose, e sul riconoscimento che esistono diritti fondamentali che lo Stato è tenuto a riconoscere e tutelare: il diritto all'inviolabilità del proprio corpo, il diritto di proprietà, la libertà di parola e di pensiero, di associazione e di culto, ecc. Ed è proprio nel Seicento che la nuova classe borghese matura questa consapevolezza. Questa sacralità della sfera privata prende corpo, nella nuova iconografia borghese, nella rappresentazione degli interni della casa, luogo sacro e inviolabile per eccellenza, di cui porte e finestre rappresentano delle linee di confine reali e simboliche.

Pieter de Hooch, Donna seduta vicino alla finestra con bambina sulla soglia, 1680 circa – Johnny Van Haeften Ltd, Londra.

Jacobus Vrel, The Hospital Orderly, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp.

Donne alla finestra : gli spazi del desiderio sessuale.
Bartolomé Esteban Pérez Murillo, tra le più importanti figure del barocco spagnolo, ebbe successo in vita per le sue opere di argomento religioso, ma è nei suoi dipinti di scene popolaresche, raffiguranti ragazze e monelli di strada, che mette in luce gli aspetti più personali e geniali del suo linguaggio. In queste sue tele, il mondo picaresco del Seicento spagnolo si rivela in colori e luci del tutto moderni. Murillo subì molti influssi, tra cui sicuramente quello del caravaggismo spagnolo e dell'arte fiamminga. Questo dipinto ritrae due donne, una giovane e l'altra più anziana, affacciate alla finestra: la più giovane sorride, mentre l'altra nasconde il viso dietro uno scialle.

Bartolomé Esteban Murillo, Galiziane alla finestra (o Las Gallegas), 1655-60, National Gallery di Washington.

Alcune interpretazioni inquadrano la scena come un momento di corteggiamento, altre invece vedono nelle due donne delle prostitute che esercitano il mestiere, all'epoca un ripiego diffuso tra le donne della Galizia, regione molto povera, che si recavano a Siviglia, città di Murillo, a praticare il meretricio.
Quest'opera ci dà modo di affrontare il tema della rappresentazione delle donne alla finestra dal Rinascimento fin grosso modo al XVIII secolo, e lo faremo a partire da un interessante saggio di Diane Wolfthal, La donna alla finestra: desiderio sessuale lecito e illecito nell’Italia Rinascimentale. Secondo la Wolfthal, "la finestra era spesso considerata uno spazio di forte carica erotica sia per le prostitute sia per le donne “per bene” (in particolari periodi della loro vita), e questo valeva sia per gli ebrei sia per i cristiani".
Gli edifici del Medioevo e dell'inizio dell'età moderna erano strutturati in modo tale da dividere gli uomini dalle donne, per evitare che la mescolanza suscitasse sentimenti di lussuria. Esaminando gli spazi ripartiti in base al sesso nell’architettura domestica e cittadina, ci si accorge che il posto delle
donne risiedeva nella sfera privata della casa, mentre gli uomini erano liberi di esplorare l'esterno, cioè la città e oltre. E anche nei luoghi pubblici, come le chiese, lo spazio di accesso era ripartito in base al sesso.
Un modo per garantire l’onore di una donna e, per estensione, della famiglia, consisteva nel tenerla chiusa in casa e nell’evitare che gli estranei la vedessero. L'occultamento visivo era importante quanto l’isolamento fisico delle donne. Per questo motivo le finestre e le porte venivano considerate come luoghi potenzialmente pericolosi, dei luoghi di accesso delle tentazioni.
L’affacciarsi alla finestra, o alla porta, il curiosare oltrepassando i confini della casa, o superandoli semplicemente con la vista, erano tra le mancanze imputabili alla donna secondo un manuale per la confessione composto dal beato Bernardino da Feltre (1439-1494). Il dettagliato elenco, stampato ancora nella seconda metà del Cinquecento, riservava alla donna l’incombenza di riferirsi al confessore allorquando fosse «stata a la finestra [o] al uscio per vaghezza». Lo sporgersi con lo sguardo e l’immaginazione fuori dello spazio riservato della casa, assieme ad altre condotte, è considerata una trasgressione. Lo spazio della donna è iscritto dentro le mura domestiche, che sono viste come barriere volte a contenere la libertà d’azione femminile e nello stesso tempo la difendono e ne proteggono la virtù e la reputazione.
Le finestre e il comportamento sessuale delle donne costituivano dunque un binomio molto forte nell'immaginario comune. Una donna alla finestra, e quindi collocata in uno spazio di confine, ambiguo, né dentro né fuori, era anche una donna di dubbia moralità.

Francisco Goya, Maja e Celestina al balcone, 1808 – 1812, Palma di Maiorca, Collezione March.

Sebbene lavorassero spesso fuori casa, le donne delle classi più povere comunque subivano l'ideale della clausura come ideale di purezza e rispettabilità.
La casa stessa era vista come una metafora del corpo della donna, e le sue aperture, cioè porte e finestre, erano associate agli orifizi femminili, per cui una casa sbarrata, completamente chiusa, era simbolo di verginità. Era uso, infatti, se si voleva oltraggiare e infangare la reputazione di una donna, insudiciare gli ingressi della sua casa con sangue, inchiostro o escrementi, in una sorta di rituale.
Per tutto il Rinascimento le donne non sono dipinte affacciate alla finestra. Solo raramente compaiono sullo sfondo, poggiate sui corrimano di balconi o loggiati, mera parte della scenografia, come testimoniano, tra gli altri, gli affreschi di Paolo Veronese.
Le donne che si mostravano in pubblico venivano associate alle prostitute, che spesso venivano esposte alle finestre per attirare gli sguardi dei potenziali clienti. Le prostitute facevano esattamente quel che i moralisti condannavano: si affacciavano a porte e finestre. Le meretrici, infatti, facevano delle finestre e dei balconi il loro campo d’azione privilegiato per l'adescamento.
Le “donne per bene” potevano liberamente mostrarsi alla finestra soltanto in alcuni periodi, ma con un abbigliamento che ne denotasse la condizione sociale e che evitasse ogni fraintendimento. Quando raggiungevano l’età da marito, alle giovani era concesso di affacciarsi sulla pubblica via, per attirare lo sguardo dei pretendenti. I davanzali e i balconi divenivano allora meta di pellegrinaggi d’innamorati, luogo di serenate e di fugaci incontri; e questo permesso valeva anche in alcuni periodi dell'anno, come il carnevale.
In sintesi, gli spazi liminari, porte, finestre e balconi, costituivano all'inizio dell'era moderna degli spazi sessualmente connotati. La finestra, situata al confine tra la casa, mondo della sfera privata, e l'esterno, mondo della sfera pubblica, diventava un luogo-limite, investito di una carica erotica, dove uomini e donne potevano incontrarsi, e ciò era valido sia per le prostitute sia, nonostante tutti i divieti morali, per le donne “per bene".


Bibliografia:
Alberti Leon Battista, De Pictura, Laterza, Bari 1975.
Ariès P., Duby G., La vita privata. Dal Rinascimento all'Illuminismo, Laterza, Bari 2001.
Gombrich E. H., La storia dell’arte, Leonardo Arte, Milano 1997.
Hauser A., Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino 1956.
Marci Tito, Prospettiva pittorica e costruzione giuridica. Arte, diritto e potere dal Rinascimento al XIX secolo, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento 2012.
Masi G., L'idea barocca: lezioni sul pensiero del Seicento, Clueb 2000.
Pérez Sanchez A. E., Il secolo d’oro della pittura spagnola, Electa, Milano 1995.
Una finestra sul mondo, Da Dürer a Mondrian e oltre. Sguardi attraverso la finestra dell’arte dal Quattrocento ad oggi, Catalogo della mostra, Skira Editore.
Wolfthal D., “La donna alla finestra: desiderio sessuale lecito e illecito nell’Italia rinascimentale”, in AA.VV., Sesso nel Rinascimento. Pratica, perversione e punizione nell’Italia rinascimentale, Le Lettere, 2009.

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