venerdì 11 ottobre 2019

La nuca delle donne



Questo è un collage anomalo, in quanto prende in considerazione, quasi per la totalità, le opere di soli tre autori, realizzate nei primi anni del Novecento. Si tratta dei pittori Vilhelm Hammershøi, Carl Vilhelm Holsøe e Peter Ilsted, considerati i massimi esponenti dell’arte d’interni danese.
Mentre in tutta l’Europa le prime avanguardie sconvolgono totalmente il modo di concepire e fare pittura, scomponendo e frantumando colore, prospettiva e soggetti rappresentati, Hammershøi e gli altri non fanno che dipingere i loro soggetti preferiti, in particolare le stube, le stanze silenziose della propria casa, all’interno delle quali sostano personaggi femminili, che sembrano sospesi in una sorta di incantesimo.
Gli interni di Hammershøi sono per lo più spogli, disadorni e immacolati, caratterizzati da un minimalismo e da una severità impregnati di rigore protestante: pochi mobili, pochissimi quadri alle pareti, porte rigorosamente bianche. Il soggetto ricorrente dei suoi dipinti è la moglie Ida, una donna vestita in austeri abiti neri, rappresentata quasi sempre di spalle.

La particolarità dei personaggi di schiena, collezionati da questo collage, è che queste donne non sono collocate presso delle finestre, intente a guardare fuori, ma sono spesso al centro della stanza, come bloccate nel loro incedere per qualche misteriosa ragione. Oppure sono intente a cucire o suonare il pianoforte o immerse in qualche interiore occupazione. Lo sguardo del pittore, che è anche il marito, osserva una femminilità non esibita, nascosta nell’intimità domestica, del tutto indifferente a quello sguardo. E lo spettatore rimane indeciso a chiedersi se quello è il ritratto di una solitudine e di un disagio claustrofobico o al contrario di una pienezza, quella di una donna perfettamente a suo agio nel proprio mondo ordinato ed equilibrato e tuttavia portatrice di istanze segrete, custode gelosa del proprio universo interiore che è reticente a rivelare, enigma vivente per il suo stesso marito e pittore, che indugia un po’ impudicamente su quella nuca bianca come nel disperato tentativo di cogliere il mistero di quell’essere che gli vive accanto.
La loro espressione è sempre nascosta e imperscrutabile. Lo sguardo dello spettatore viene fatto convergere sulla nuca, luogo inaccessibile, scrigno che custodisce gelosamente il mistero, porta sbarrata che tiene fuori ogni sguardo indiscreto, che respinge indietro ogni tentativo di sbrogliare l’enigma di pensieri e desideri celati.
Piace considerare questo modo di rappresentare la donna un tentativo di riconoscerne l’alterità, l’irriducibile mistero umano. Che lo sguardo che si arresta sulla nuca sia un gesto di resa al desiderio di possesso, oltre che un riconoscimento della donna come universo mentale e non solo corporeo.
Le ultime due immagini che costituiscono il collage sono due fotogrammi di uno dei film che più di tutti ha indagato il mondo femminile, Lezioni di piano di Jane Campion, una regista che ha fatto della sua cinematografia una ricerca incessante intorno alla donna.
In questo film numerose sono le inquadrature sulla nuca della protagonista, indicata come il centro vitale di eros, passione e intelligenza. Un centro che il marito, accecato dal desiderio di possesso, violerà, mentre un altro uomo saprà riconoscere e amare.

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