giovedì 27 aprile 2017

La Traviata degli specchi. Lo spettatore in scena

La Traviata di Giuseppe Verdi nell’allestimento pensato dal Maestro Joseph Svoboda per lo Sferisterio di Macerata. 12 Agosto 2012. Foto di scena


In un'elegante casa borghese parigina vive Violetta, una donna che, nonostante la brillante esistenza mondana da cortigiana, ormai non si aspetta più nulla dalla vita:
"povera donna, sola
abbandonata in questo
popoloso deserto
che appellano Parigi,
che spero or più?... che far degg'io?... Gioire,
di voluttà nei vortici finire".
Ma l'amore di Alfredo le riporta una speranza di autenticità e di amore, un miraggio di felicità e redenzione, e a quelli si abbandona, cambiando la sua vita e ritirandosi in una casa di campagna presso Parigi.
La società borghese, tuttavia, ha le sue regole e sarà il padre di Alfredo a ricordarle crudelmente a Violetta, costretta a rinunciare al suo sogno e ad abbandonare l'uomo che ama (e per questo esposta al suo dileggio).
Come nei classici melodrammi, la verità verrà rivelata quando è ormai troppo tardi.
Nella Traviata di Verdi lo specchio è un oggetto molto presente e carico di significato. Nel libretto è nominato espressamente quattro volte, due volte prescritto come elemento di arredamento della scena e due volte per indicare un comportamento di scena al soprano.


Siamo al Terzo e ultimo atto. Violetta è malata di tisi; è sola e abbandonata nella sua casa vuota, in compagnia della fedele cameriera. Anche i mobili le sono stati portati via ed è assediata dai creditori. Alfredo è lontano, dopo averla duramente e ingiustamente oltraggiata, credendola una donna frivola e incostante.
Violetta ha ricevuto una lettera del padre di Alfredo, in cui si dichiara pentito e le preannuncia il ritorno dell'amato. Appena terminata la lettura del messaggio, la donna esplode il suo urlo disperato: "E' tardi!". E subito dopo nel libretto compare l'indicazione tra parentesi per la protagonista: "si guarda allo specchio". E lì, in questo momento di solitudine suprema, mentre guarda la sua immagine riflessa, Violetta fa i conti con la vita. Comincia con i versi:
"Oh, come son mutata!... ogni speranza è morta!...". 
E a seguire una delle arie più belle e struggenti di sempre: 
"Addio, del passato bei sogni ridenti..."
Mai il rimpianto per la vita che fugge via è stato espresso con tanto pathos, reso più drammatico dal fatto che, mentre in quella triste stanza si consuma la solitaria tragedia, fuori impazza festoso e sguaiato il Carnevale.
A questo link l'aria del Terzo Atto, Scena Quarta "Teneste la promessa ... Addio, del passato..."

                             


La Traviata degli specchi.
Una delle più famose rappresentazioni della Traviata è quella firmata da Josef Svoboda e Henning Brockhaus, rispettivamente scenografo e regista, che va in scena nel mondo dal 1992. E' stata soprannominata “La Traviata degli specchi”, per via del grande specchio che domina l'intero palcoscenico, e che riflette le scene, dipinte su grandi teli, che giacciono a terra come enormi tappeti sopra i quali si muovono gli attori, in un gioco di rimbalzi tra dimensione orizzontale, quella della narrazione, e dimensione verticale, quella degli specchi, creando spazi psicofisici che si trasformano al variare delle emozioni e dei sentimenti dei protagonisti. Gli specchi, inoltre, moltiplicano i punti di vista e ampliano lo spazio scenico, dentro il quale gli interpreti diventano quasi delle pitture viventi.



Questa simbiosi degli spazi, che produce la doppia vista orizzontale e verticale (reale e riflessa), induce una sorta di straniamento nello spettatore, al quale è richiesta partecipazione, ma soprattutto "riflessione". Questo enorme specchio, che passa nel corso dell'opera da una inclinazione di 45° a una di 90° rispetto al palcoscenico, ingloba gradualmente il pubblico nell'azione, senza possibilità di scampo, lo smaschera nel suo ruolo di "voyeur", stanandolo dalla sua posizione nascosta e sottilmente perversa di osservatore della scena, e nello stesso tempo lo rende testimone e responsabile della tragedia che lì si consuma. Questo tipo di rappresentazione fa proprie le metodologie del teatro epico brechtiano, in quanto ha lo scopo di evitare il coinvolgimento emotivo dello spettatore e, al contrario, di suscitare in lui un atteggiamento analitico e critico rispetto ai fatti rappresentati.


I teli dipinti, che sono le scene riflesse dallo specchio, all'inizio contengono varie immagini: un sipario teatrale, un collage di varie pitture con motivi erotici tratti da stampe di fine Ottocento, una casa fuori Parigi, un campo di margherite, un collage di immagini tratte da un album di famiglia, i lampadari del casinò di Montecarlo. Quando alla fine non ci saranno più immagini e il pavimento rimarrà desolatamente nudo e nero, vorrà dire che il tempo delle illusioni è finito. Proprio in questa fase dell'opera, poco prima della morte di Violetta, lo specchio raggiunge la piena verticalità, in modo da riflettere il pubblico in sala, che entra quindi a far parte dell'azione, divenendo non più solo voyeur, ma testimone e partecipe del dramma dell'eroina: personaggi sulla scena e spettatori in platea si confondono; tutti sono complici dell'ipocrisia borghese che ha condannato Violetta, e i responsabili al di qua del palcoscenico, mentre assistono alla fine della donna, possono a loro volta guardarsi in faccia, riflessi nello specchio.








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