mercoledì 5 aprile 2017

Follia - Greta la pazza (Dulle Griet)

Pieter Bruegel, Dulle Griet, 1562, Anvers, Museum Mayer van den Bergh.

Il dipinto di Bruegel “Margherita/Greta la pazza” (Dulle Griet, in fiammingo), uno dei più enigmatici del pittore, si ispira a una figura del folklore di quelle terre, personificazione della strega e allegoria dell'avarizia, probabilmente una versione popolare e riadattata della figura di santa Margherita d'Antiochia, perseguitata per la sua fede e vincitrice sul demonio. Bruegel la rappresenta al centro del dipinto, mentre si dirige armata di spada e con addosso un'armatura, verso la bocca antropomorfa dell'Inferno. Reca con sé un forziere sotto il braccio, due panieri e una sacca pieni di varie cianfrusaglie.
Attorno a lei, un paesaggio da incubo, che ricorda il pannello di destra del Giardino delle delizie di Bosch, quello raffigurante l'inferno. Rovine, combattimenti, strane navi, creature ibride mostruose popolano l'intera opera, e il colore dominante è il rosso delle fiamme, che in alto a destra si accende con grande realismo. In mezzo al caos, avanza con impeto Greta, rappresentata come una donna magra e allampanata, ma dalle dimensioni sproporzionate e dallo sguardo allucinato. Si dirige verso l'inferno? Va a combattere contro il demonio? Molte sono le interpretazioni, ma spesso non siamo più in grado di comprendere il linguaggio, denso di riferimenti simbolici, allegorici e alchemici, parlato da questi dipinti. Difficile dare un'interpretazione adeguata di quest'opera. Sappiamo solo che in alcune farse popolari dell'epoca, la pazza Margherita personificava soprattutto la donna collerica che dà sfogo alla sua rabbia, una di quelle che, come dice un vecchio proverbio, “possono saccheggiare la soglia dell’inferno e tornare incolumi”.



Si tratta di un quadro “narrativo” della migliore tradizione fiamminga, con numerosi episodi e personaggi che circondano il tema centrale. Altra figura chiave del dipinto è il gigante che sorregge la barca con la sfera e che con un cucchiaio getta monete dal deretano a forma di uovo. Mentre Margherita, che ricorda tanto la rappresentazione della Quaresima, accumula oggetti e tesori, il gigante li disperde al popolo, in un incessante consumarsi di opposti destini. Tutt'intorno mostriciattoli, grilli e figure grottesche sembrano trasportarci indietro, nell'universo del bestiario medievale. E tuttavia siamo qui ben lontani dal medioevo, in cui ogni elemento, anche il più mostruoso, rientrava in un ordine universale simbolico che rimandava al divino. Nelle opere di Bruegel, come in quelle di Bosch, i grilli e i mostri gotici, ormai svuotati del loro significato religioso, non parlano altro linguaggio se non quello ambiguo e oscuro dell’insensatezza. Oltre che dal Medioevo, siamo anche lontani dall'ottimismo dell'Umanesimo italiano. Quello di Bruegel è un interrogarsi sul male che mette al centro l'uomo solo, non la bella forma di uomo icona di Dio, ma l'uomo con la sua miseria e la sua follia.


Bruegel fu testimone di un'epoca di violenza (la ribellione contro gli Spagnoli, l'iconoclastia protestante e la sanguinosa repressione da parte del Duca d'Alba), che emerge chiara in molte delle sue opere. Al di là delle allusioni più o meno precise agli avvenimenti contemporanei che si è voluto vedere nella produzione bruegeliana, i grandi quadri del pittore fiammingo maggiormente ispirati all'universo iconografico di Bosch, “La caduta degli angeli ribelli”, “Dulle Griet” e “Il trionfo della morte”, disegnano un universo allucinante della follia umana e sintetizzano la sua visione disincantata dell'esistenza, sottomessa a un destino invisibile e indifferente, segnata dall'immanenza del male nella sua forma più ottusa e irrimediabile.

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