Fondazione Teatro La Fenice Lucia di Lammermoor Regia John Doyle Photo ©Michele Crosera |
Fin dall'antichità il tema della follia è molto presente in palcoscenico. Nella tragedia antica la troviamo equamente distribuita tra personaggi maschili e femminili - ricordiamo Ulisse che si finge pazzo per non andare alla guerra di Troia, l’Aiace impazzito e suicida di Sofocle, l’Eracle furente di Seneca e tanti altri personaggi maschili come Penteo delle Baccanti di Euripide che rappresenta molto bene la sorte di colui che viene reso folle dalla divinità che lo vuole distruggere secondo il detto che dice: quem Iuppiter vult perdere dementat prius (lat. «Giove toglie prima il senno a colui ch’egli vuol mandare in rovina»). Queste figure di uomini folli stanno di fronte ad altrettante e più donne che rasentano la pazzia come Medea, Didone, Fedra, o sono già rese pazze come Agave e moltissime altre.
Nel melodramma possiamo distinguere due diversi periodi e due diverse modalità di rappresentazione della follia:
- quello in cui la follia è reversibile o è solo finzione, tipico dell’opera barocca e in voga fino al '700;
- quello in cui la follia è già latente nel personaggio dall'inizio ed esplode ad un certo punto dell’opera con modalità tragiche, che caratterizzerà tutto il periodo del Romanticismo.
Nel melodramma italiano del '600 inizialmente è la figura femminile che viene presentata più spesso come folle. E’ certamente con Francesco Sacrati, attivo presso il teatro di Venezia, che la follia ha giocato un ruolo importante nella storia iniziale dell’opera. Il suo melodramma più famoso è La finta pazza del 1641. Deidamia, amante di Achille, con il quale ha generato un figlio, straziata dal pensiero di essere abbandonata dall'amato che è chiamato a partire per Troia, si finge pazza per costringerlo a rimandare la partenza e a sposarla. Questo melodramma è importante perché contiene la prima scena di pazzia pervenutaci in un melodramma. La follia di Deidamia costituiva il pezzo forte dello spettacolo e proverbiale rimase la bravura della star Anna Renzi, per la quale la parte fu creata. Negli sproloqui surreali di Deidamia, esemplati sulle scene di pazzia delle commedie dell’arte, il recitato si alterna al cantato con cambiamento improvviso di affetti, espressioni, toni di voce e situazioni immaginate.
Altra figura maschile di pazzo sarà quella di Don Chisciotte che riscontriamo nei melodrammi settecenteschi di Giovanni Paisiello e di Antonio Salieri. Anche il personaggio dell'Orlando furioso di Ariosto ha dato vita a diversi libretti, che sono stati musicati da vari autori, tra cui Händel e Vivaldi. Si tratta comunque di una follia reversibile perché i due Orlando riacquistano la ragione nella nota modalità del recupero dell’ampolla contenente il senno dell’eroe sulla Luna da parte di Astolfo in groppa all’Ippogrifo.
Nell’opera barocca la rappresentazione della follia è l’occasione per introdurre un momento fugace di trasgressione e di capriccio che fa risaltare maggiormente il ritorno all’ordine e ai canoni costituiti. Tutto ritorna all’ordine dopo l’episodio di disordine dovuto alla follia. Il '700, età dei lumi e della ragione, ha ancora fiducia nella reversibilità della follia.
Nel video, la scena della follia dell'opera “Orlando” (1732) di Händel:
Alla fine del Settecento si ha l’avvento di una sensibilità nuova. In ambito romantico la follia diventa il momento supremo dell'opera, la situazione privilegiata in cui il personaggio può esprimere delle verità che altrimenti, nello stato di pieno possesso della ragione, sarebbero inconfessabili.
La Lucia di Lammermoor di G. Donizetti è del 1835. In quest'opera si inaugura la messa a punto di un linguaggio musicale della pazzia fatto di virtuosismo vocale e di evoluzione vertiginosa della voce. A partire dall’800, la rappresentazione del delirio e del vaneggiamento diventa occasione privilegiata per dar modo al cantante di esibire la propria abilità nel dar vita a vocalizzi pirotecnici.
Altri esempi di melodramma in cui viene rappresentata la pazzia è l'opera I Puritani di Vincenzo Bellini (1835), in cui la protagonista Elvira, abbandonata il giorno delle nozze, impazzisce (anche se alla fine riacquisterà la ragione); poi ancora la pazzia di Margherita nel Mefistofele di Boito e quella di Lady Macbeth nell'opera di Giuseppe Verdi (1846), la quale in preda a una cupa follia confessa di aver compiuto tanti delitti, di essersi macchiata le mani di sangue e di volerle per questo detergere.
La prima opera romantica nel senso compiuto del termine è proprio la Lucia di Donizetti, che accoglie molti elementi d'oltralpe, in particolare quelli provenienti dal romanzo storico di Walter Scott, e che apre la strada all'opera verdiana, nella quale i conflitti interiori del personaggio sono resi con un realismo drammatico compiuto.
Il libretto di Cammarano traeva spunto dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott, a sua volta ispirato agli avvenimenti storici che ebbero luogo in Scozia nel 1689, all’epoca delle lotte fra i seguaci di Guglielmo d’Orange e quelli dell’ex re Giacomo II. Lucia ed Edgardo sono figli di due famiglie rivali, gli Ashton e gli Ravenswoods, ma sono innamorati e si scambiano una promessa di amore eterno. Ma le famiglie congiurano contro di loro e così la povera Lucia è obbligata dal fratello a un matrimonio di convenienza con un uomo ricco e potente. Ma la sera stessa delle nozze la sposa accoltella il marito e poi si presenta nella sala degli invitati, completamente fuori di sé, con il pugnale ancora tra le mani e gli abiti insanguinati. Ella crede di sentire la voce di Edgardo, immagina le sue nozze tanto desiderate con lui e invoca il suo nome. Qui ha luogo la scena della pazzia, forse la più famosa del suo genere, che si conclude con la morte di Lucia, che non regge al dolore. Quando Edgardo udrà la campana a morto che annuncia la morte dell'amata, si trafiggerà con un pugnale.
La prima dell'opera fu data al San Carlo di Napoli e consacrò definitivamente Donizetti come grande compositore.
La follia di Lucia è latente fin dall'inizio dell'opera. Il suo personaggio si presenta come fragile e visionario fin dalla prima apparizione, quando confida alla compagna Alisa la sua certezza di vedere i fantasmi e di aver visto rosseggiare di sangue l’acqua di un lago dove era stata uccisa una donna tanto tempo prima. Nel corso dell'opera, il suo animo sensibile vive gli stadi crescenti di una patologia acuita dalla frustrazione e dalla impossibilità di vivere le proprie aspirazioni sentimentali.
Questa nel video (purtroppo tagliata in qualche punto) è la famosa scena della follia. Nella prima metà dell'Ottocento la Lucia di Donizetti godeva di grande successo, ma la scena della follia era relegata in secondo piano negli apprezzamenti riservati all'opera. Anzi spesso veniva giudicata troppo lunga, noiosa e poco orecchiabile. Si tenga presente inoltre che la follia di Lucia strideva con le altre eroine romantiche folli per amore che, malgrado tutto, mantenevano immacolata la propria aura innocente e virginale e che, anche nel delicato momento del delirio continuavano ad incarnare il sogno maschile della fanciulla docile e remissiva, incapace di contaminare, con un linguaggio impudico o con azioni violente, la sua immagine angelicata. Tale immagine idealizzata non può, però, appartenere del tutto a Lucia che si macchia di una colpa terribile come l'uccisione del suo novello sposo. Se lo spettatore fino a quel momento aveva seguito con commozione le sfortunate vicissitudini della protagonista, ora, venuto a sapere che è un'omicida, modifica il suo comportamento nei suoi confronti. Lucia, ai suoi occhi, ha ormai perso il candore virginale e l'innocenza che contraddistinguono le altre folli romantiche; è una donna pericolosa, erede di Salomè, di Giaele e Giuditta e che, in un certo senso, ha tradito con una simile azione le attese del pubblico. Nella prima metà dell'Ottocento quella di Lucia costituiva una follia uscita dai canoni abituali. Solo a partire dalla fine del secolo, la fama dell'opera si lega in modo preponderante a questa scena ed è in questo periodo che viene introdotta la cadenza con il flauto. Nel libretto corrisponde alle scene V-VII della parte seconda, atto secondo. Nella partitura al numero 14.
La sua struttura è:
Scena (recitativo): Eccola! [...] Il dolce suono / Mi colpì di sua voce
Cantabile: Ardon gl'incensi [...] Alfin son tua
Tempo di mezzo: S'avanza Enrico
Cabaletta: Spargi d'amaro pianto
Questa pagina ricca di acrobazie vocali, con stranianti virtuosismi eseguiti dal soprano e dal flauto (si veda soprattutto dopo il min. 4) non corrisponde, però, all'idea originaria proposta da Donizetti. Nell'autografo è, infatti, annotato un breve percorso armonico che, secondo la consuetudine dell'epoca, doveva guidare armonicamente la cantante nella sua improvvisazione. La cadenza col flauto comparve solo in seguito, nel 1889, ottenendo subito un grande riscontro. Soprattutto nel XX secolo celebri soprani, dalla Tetrazzini alla Callas, assegnarono un ruolo preponderante a questa cadenza apocrifa, contribuendo alla sua cristallizzazione nell'immaginario collettivo, quasi fosse una pagina composta dallo stesso Donizetti.
Tale cadenza, che presuppone una voce agile e acuta, appare una sorta di “eccesso” isterico, d'incontrollabile smania che confluisce in interminabili e parossistici virtuosismi e fioriture. Ciò consentì all'opera donizettiana di adattarsi alle mutate esigenze del gusto di fine Ottocento, mutamenti determinati anche dai contemporanei studi sull'isteria di Charcot e dalla nuova concezione della donna elaborata dalla cultura fin de siècle, che aveva abbandonato lo stereotipo della vergine docile e remissiva, sottomessa al dominio del maschio.
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