martedì 11 aprile 2017

Follia - I volti della follia. Franz Xaver Messerschmidt

I canoni classici di arte e di bello artistico, elaborati dalle Accademie, imponevano il rifiuto di rappresentazioni eccentriche, non basate su ordine razionale e proporzione. Il Neoclassicismo, con il nostalgico riconoscimento agli Antichi della condizione privilegiata di equilibrio fra natura e uomo, recuperabile solo grazie all’imitazione delle opere classiche, aveva reso pertanto inattuali gli ideali di bellezza su cui fondava i propri canoni. Questi appartenevano a un'epoca remota e non erano rinvenibili in quella attuale, dominata da disordine e mancanza di equilibrio.
Anche per questi motivi, probabilmente, l'Accademia di Vienna espulse nel 1774 dall'insegnamento lo scultore bavarese Franz Xaver Messerschmidt, il quale, dal 1770, aveva iniziato a creare le sue “teste di carattere”, una serie di busti in marmo, piombo o legno, raffiguranti strane espressioni facciali. Alla morte di Messerschmidt, nel 1784, nel suo studio furono rivenuti più di sessanta di questi busti, per anni considerati erroneamente dei semplici studi di fisiognomica, per via della ricchezza dei dettagli dei volti scolpiti e la precisione nella riproduzione di muscoli e tendini.
Nonostante di questo artista conosciamo solo scarse e confuse informazioni, sappiamo che nel 1771 la sua vita fu colpita dall'insorgere di un disturbo psichico, caratterizzato da comportamenti paranoidi, isolamento e manie di persecuzione.

Franz Xaver Messerschmidt, Teste di carattere, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna.




Nel 1781 andò a fargli visita, nella sua casetta di Bratislava, lo scrittore tedesco Friedrich Nicolai, che inserì il resoconto del suo incontro con l’artista nell’opera Descrizione di un viaggio attraverso la Germania e la Svizzera. Fu proprio a partire da questa diretta testimonianza degli atteggiamenti patologici di Messerschmidt, che si sviluppò l’interpretazione della figura dello scultore da parte dell’austriaco Ernst Kris, storico dell'arte e psicoanalista. Nel 1952 pubblicò la sua opera Ricerche psicoanalitiche sull’arte e, servendosi delle descrizioni di Nicolai, dedicò il capitolo “Uno scultore psicotico del XVIII secolo” proprio all’artista bavarese.
I titoli dei busti furono attribuiti solo dopo la morte dell’autore, e molti non corrispondono esattamente alle reali espressioni scolpite sui visi; questo perché si tentò di ricomprendere l’opera di Messerschmidt nel quadro della fisiognomica, attribuendo all’autore la volontà di condurre studi sul carattere e sulle passioni umane. Ma non era questo lo scopo dell'artista tedesco.
Messerschmidt, a quanto riporta Nicolai, credeva nell’esistenza degli spiriti, attribuendo la capacità di vederli alla sua castità, in quanto solo le persone pure possono scorgere l’invisibile. Gli spiriti erano particolarmente insolenti e infastidivano continuamente lo scultore. Il più molesto era lo "spirito delle proporzioni" che di notte lo svegliava, lo spaventava e lo tormentava.



Il motivo di questo astio del demone era che Messerschmidt aveva scoperto il segreto della "divina proporzione", cioè delle misteriose relazioni esistenti tra le varie parti del corpo. Il rimedio alla gelosia del demone escogitato da Messerschmidt era quello di pizzicarsi nel costato e fare delle smorfie davanti a uno specchio, che poi lo scultore riproduceva fedelmente. Le "teste di carattere" nascono così dalla persecuzione demoniaca e dal tentativo di esorcizzarla.
La famosa serie fu cominciata da Messerschmidt intorno al 1770. Dodici sono le teste eseguite prima del 1777. Le restanti 57 furono scolpite tra il 1777 e il 1783 a Bratislava. Alla sua morte nel 1783 lo scultore lasciò 69 busti. Oggi se ne conservano 38. La maggioranza di essi furono eseguiti in piombo, pochi sono in marmo e alabastro e soltanto uno in legno e tutti riproducono le fattezze di un unico modello, vale a dire l’artista stesso.


Nel suo saggio, Ernst Kris affronta il tema sia da un lato storico-artistico che medico. Egli loda lo scultore per le sue qualità definendolo “un artista di non comune qualità”. Da un punto vista psicoanalitico lo definisce, invece, un malato di mente. Questa è l’esatta diagnosi di Kris: "siamo di fronte effettivamente a una psicosi con predominanti tendenze paranoidi, che rientra nel quadro generale di schizofrenia.” E individua nei busti i sintomi del “delirio paranoico”; riconosce cioè nelle opere dell'artista il segno tangibile di un disturbo psicotico.
Per lo psicanalista viennese i busti costituiscono “un processo di autoguarigione”. Seguendo il procedimento artistico, descritto da Nicolai, l’artista si libera della presenza del demone, grazie alla realizzazione dell’opera. E quindi le sculture rappresentano la materializzazione di un altro da sé, che viene imprigionato nell’opera, e il processo di creazione artistica non è altro che un esorcismo contro il male che affligge l’artista.


Lungi dall’essere una serie di semplici studi scultorei, i busti di Messerschmidt sono la manifestazione plastica dei suoi processi inconsci. Essi si caricano quindi di una funzione quasi magica nel lenire l’agonia della persecuzione demoniaca, e la smorfia acquisisce un valore apotropaico, simile a quello delle maschere delle società primitive, nelle quali rappresentano una difesa dal maligno, per evitare che questo irrompa nella comunità o nell'individuo.
La rappresentazione naturale e ritrattistica che pure aveva fatto parte della formazione artistica di Messerschmidt, ossia il barocco bavarese e l’arte italiana e francese, venne abbandonata totalmente in favore dell’esplosività del significato magico-simbolico, poiché lo studio delle espressioni facciali era l’unica attività che gli permetteva di difendersi dai demoni e allo stesso tempo di fissare la sua immagine interiore in decomposizione. L’opera d’arte assume dunque per Messerschmidt un valore terapeutico, in quanto nell’espressione riesce a dar voce e forma ai suoi deliri paranoici.
Video con i busti e altre opere di Messerschmidt:


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