The Wall (1979) dei Pink Floyd, pur non essendo il miglior album del gruppo, è stata senza ombra di dubbio una delle rock operas di maggiore impatto degli anni settanta. Il suo successo fu tale da indurre ben presto il regista Alan Parker a trasformarlo in film, con Bob Geldof come attore principale.
Se da un lato la versione cinematografica ha arricchito musica e testi con la forza visionaria delle immagini, dall'altro l'interpretazione data all'opera dal regista e dal disegnatore, Gerald Scarfe, ha condizionato pesantemente l'ascolto dell'album, tanto che oggi riesce difficile distinguere il prodotto discografico da quello cinematografico.
In ogni caso, risulta impossibile inscrivere l’opera in un genere definito, in quanto coinvolge diversi linguaggi ed espressioni artistiche tradizionalmente separate, come la poesia, la musica, l’arte figurativa, il cinema.
Errato sarebbe considerare l'album come la colonna sonora del film o il film come il video dell'album, né è possibile non tener conto del rapporto profondo che esiste tra i due. Non dimentichiamo, infatti, che Roger Waters, oltre ad essere l'autore della maggior parte dei testi, ebbe anche una parte nel lavoro di sceneggiatura. È dunque più giusto considerare The Wall un’opera collettiva e poliedrica, alla cui realizzazione hanno partecipato autori diversi.
Ciò che il film aggiunge all'album è senza dubbio la dimensione temporale del racconto, di cui l'album è privo. Sebbene non abbia una trama vera e propria, il film narra la storia (in gran parte ispirata alla vita dello stesso Roger Waters) di Pink, famosa rock star, idolatrata dai fans (tanto da sentirsene soffocato) e con problemi di droga. Una sera si chiude in una camera d'albergo davanti ad un televisore che trasmette un film di guerra e ripensa al suo passato. Gli ritornano le immagini della sua infanzia trascorsa senza aver mai conosciuto il padre, morto in guerra, il ricordo di sé, bambino cresciuto nell'abbraccio asfissiante di una madre iperprotettiva, vessato da insegnanti sadici e autoritari e da un sistema scolastico alienante e massificante; ripensa poi ai movimenti del '68, alla violenza della repressione poliziesca, agli eccessi, alle groupies, al fallimento del suo matrimonio. Tutta la sua vita scorre sullo schermo, attraverso una serie di flash-back che alterna filmati a cartoni animati che scorrono come vere e proprie allucinazioni. Tutti gli avvenimenti che l'hanno segnata non sono stati altro che i mattoni che hanno costruito un muro intorno al protagonista, un muro di solitudine, alienazione, incomunicabilità, all'interno del quale Pink si chiude dentro con la sua follia (alcune interpretazioni vedono in questo il richiamo all'esperienza di Syd Barrett, fantasma costante nella storia del gruppo).
La follia di Pink si esprime a volte in allucinazioni e delirio, con ritmi malfermi e nevrotici e atmosfere stranianti e febbrili (The Thin Ice, What Shall We Do Now?, Confortably Numb), a volte in violente crisi di rabbia (One Of My Turns, In the Flesh), ma anche in ballate delicate e strazianti (Goodbye Cruel World, Is There Anybody Out There?, Nobody Home). Pink fa qualche tentativo per vincere il proprio isolamento, ma inutilmente (Is There Anybody Out There?, Nobody Home) mentre è in balia dei suoi produttori che lo salvano da un'overdose solo per sbatterlo di nuovo sul palco (Comfortably Numb). Il culmine della pazzia lo conduce in un delirio in cui Pink porta a termine il suo processo di metamorfosi e partecipa ad adunate, marce e aggressioni razziste di neonazisti (Run like Hell, Waiting for the Worms); la violenza privata di Pink, già espressa in “One of my Turns”, assurge ora a una dimensione pubblica e politica ed è significativo che il fascismo e il razzismo divengano quasi lo sbocco naturale dell'alienazione e della massificazione.
Infine in “The Trial” (Il Processo) Pink si autosottopone a un processo in cui tutti i personaggi significativi della sua vita, il maestro, la madre, la moglie, rappresentati in modo grottesco e allucinato, l'accusano dei suoi errori. Qui finalmente Pink realizza di essere diventato pazzo, di essere solo un fantoccio senza volto gettato nel mondo, fragile come una foglia in balia del vento. In conclusione il Giudice Verme gli impone di vincere la paura e di distruggere il muro, riesponendolo così al mondo reale (“But my friend you have revealed your deepest fear I sentence you to be exposed before your peers. Tear down the wall “).
L'interpretazione prevalente dell'opera è che, pur permeata da una visione cupa e pessimistica della vita, si conclude comunque con il "crollo" del muro e con il messaggio di speranza di Outside the Wall. In realtà il racconto si interrompe e il finale resta aperto. “Outside the Wall” non ci dice cosa succede a Pink dopo l’abbattimento del muro. Cosa significa in effetti questo abbattimento?
Forse una resa alla pazzia?, quella pazzia che porta a gettare a terra maschere e travestimenti imposti da una società alienante e a cercare una vita più autentica?
La struttura del film, come si è accennato, non è classica; il montaggio è onirico, tortuoso, frammentario, che mescola presente, flashback, flashforward, surrealtà e fantasia, sogni e allucinazioni, in grado di creare suggestioni e di evocare emozioni. Più che seguire una linea di sviluppo temporale, privilegia rimandi simbolico-metaforici e suggestioni visive.
Non era facile costruire un film solo con la musica (i dialoghi non superano i quattro minuti in totale). Alla fine viene fuori un viaggio visionario nel fondo della follia e un racconto esistenzialista vicino alla filosofia di Sartre. Guarda caso, una raccolta di racconti dello scrittore e filosofo francese si intitola “Il muro”, che contiene, alla fine, “Infanzia di un capo”, dove si racconta la storia di una ragazzo che, alla ricerca di una sua identità, finisce per far parte di un'organizzazione fascista.
Link al video The Trial:
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