venerdì 4 novembre 2016

L'uomo e la natura - I PAESAGGI CONCETTUALI DI JOHN PFAHL

John Pfahl, Australian Pines, Fort DeSoto, Florida, 1977.

Se Ansel Adams cercava il paesaggio sublime e incontaminato, l'obiettivo di un altro americano, il newyorkese Jonh Pfahl, è al contrario il paesaggio ordinario e contaminato, “alterato”. Nella sua serie “Altered landscape” (1974 - 1977) esplora gli effetti transitori di materiali disparati collocati all'interno di contesti paesaggistici come deserti, coste e foreste. Egli non si limita a riprendere un'immagine ma, giocando con le ambiguità dello sguardo e della prospettiva, interviene a modificare il paesaggio prima di ritrarlo.

giovedì 3 novembre 2016

L'uomo e la natura - La "wilderness" di Ansel Adams

Ansel Adams, Monolith, The Face of Half Dome, Yosemite Valley, California, 1927.

Ansel Adams raccoglie e rifonda l'eredità dei grandi paesaggisti americani dell'Ottocento, come William Henry Jackson, Carleton Watkins e Timothy O'Sullivan, interpreti di quel sentimento della wilderness quale elemento identitario della nazione americana, che porta lo sguardo del fotografo a immortalare la maestosa e incontaminata natura dell'Ovest. Nell'epoca di grandi sconvolgimenti e profonde tensioni che caratterizzano la società statunitense della prima metà del XX secolo, il californiano Adams teorizza e porta avanti il suo credo: “Più bellezza nella mente, e più pace nello spirito". Solo il ritorno alla natura può redimere un mondo pericolosamente estraniatosi dalla sua bellezza e restituire quell'incanto primitivo cancellato dal progresso.
Difesa della dignità della fotografia quale “estensione dell'arte moderna” e conservazione dell'ambiente sono le missioni che Adams porta avanti per tutta la vita. La bellezza primordiale ed eterna dell'Ovest offre al fotografo di San Francisco un rifugio sicuro dalle tragedie del Novecento, una costante sorgente di ispirazione e di rinnovamento spirituale, perseguito attraverso un'intensa e intima relazione personale con la natura. Alla critica di Cartier-Bresson secondo il quale "in un mondo che va in pezzi c'è ancora chi fotografa le montagne!", con il conseguente giudizio di inutilità e di estraneità delle creazioni che si richiamano a un'estetica purista, Adams risponde che "in una scena naturale c'è altrettanto valore sociale che in un corteo di scioperanti, perché la sua bellezza ha un potenziale umano intatto che è un bene universale".

mercoledì 2 novembre 2016

L'uomo e la natura - OLD WILD WEST. TIMOTHY O'SULLIVAN

Timothy O’Sullivan, Echo Canyon, 1869.


Nel 1867 il fotografo Timothy O'Sullivan (1840-1882) accompagnò Clarence King, geologo del Geological Exploration of the Fortieth Parallel (comunemente conosciuto come Fortieth Parallel Survey) in una spedizione, finanziata da fondi federali, nel lontano west, dalla California al Wyoming.
O'Sullivan, che aveva iniziato come apprendista negli studi di New York di Matthew Brady, si era distinto come fotografo di guerra nel corso del sanguinoso conflitto civile. Clarence King, oltre che geologo e alpinista, era anche un intenditore d’arte.
La spedizione incontrò non pochi ostacoli: malaria, fiumi insidiosi, impervi passi di montagna ghiacciati. Ma, in condizioni spesso disumane, O'Sullivan riuscì a scattare fotografie incomparabili, divenute leggendarie. Si tenga presente che le grandi lastre al collodio venivano sviluppate sul posto, in pochi minuti (mentre le stampe all’albumina vennero eseguite in un laboratorio fotografico di Washington dopo la conclusione della spedizione). Un secolo più tardi Ansel Adams osserverà che, nonostante queste difficoltà, nessuna fotografia moderna riesce a trasmettere lo stesso stato d’animo di queste nobili scene.

martedì 1 novembre 2016

L'uomo e la natura - OLD WILD WEST. CARLETON WATKINS

Carleton Watkins, El Capitan, Yosemite Valley, Calif., 1865 ca.
La parola inglese per rendere il concetto di paesaggio è “landscape”, che combina la parola land (terra) con un verbo di origine germanica, scapjan/shaffen (trasformare, modellare): quindi “terre trasformate”. Il landscape è cioè prima di tutto una costruzione culturale, un processo di rappresentazione, organizzazione e classificazione dello spazio. In esso convergono le aspettative e le relazioni di una determinata comunità.
Il paesaggio non è dunque uno stato d’animo individuale, una rappresentazione spirituale, la natura che si rivela esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento. Il paesaggio cioè non è un riferimento astratto e generico, un dato puramente estetico e psicologico.
Non esiste, inoltre, un paesaggio in senso oggettivo e indipendente da un osservatore e dall’azione esercitata dall’uomo. Il paesaggio è sempre un prodotto dell’intervento degli individui e delle comunità, che non si limitano a modificare l’ambiente in senso fisico attraverso la trasformazione del territorio, ma anche attraverso la costruzione di rappresentazioni simboliche complesse.
Lo spazio si definisce come prodotto sociale perché subisce un processo di trasformazione causato dall’agente culturale, dove la natura si caratterizza come un mezzo, la cultura come un agente di trasformazione e il paesaggio culturale come il prodotto finale.

lunedì 31 ottobre 2016

L'uomo e la natura - OLD WILD WEST. ANDREW J. RUSSELL

Andrew J. Russell, Promontory Trestle Work and Engine No. 2, 1869.

Tra le opere più significative nate al seguito della costruzione delle linee ferroviarie americane vi è senza dubbio The Great West Illustrated (1869) di Andrew J. Russell.
Questo album documenta la linea Union Pacific Railroad, che si sviluppa più a nord rispetto a quella seguita da Gardner, da Omaha lungo le pianure del Wyoming, attraverso le montagne dello Utah fino alle coste del Pacifico.
Ancor più di quelle di Gardner, le immagini di Russell mostrano terre sconfinate ma dalle illimitate potenzialità, selvagge e tuttavia domate dal lavoro dell’uomo. Montagne aspre e deserti aridi, ampi fiumi e immense praterie danno la misura della maestosità e della vastità di questi nuovi territori, e tuttavia non compaiono come ostacoli all’intervento umano e al progresso. Questo è anzi sempre ben presente nelle immagini, nella forma quasi sempre dei binari e del treno, che attraversano i posti più impervi o desolati.
E’ pressoché costante, nella letteratura e nell’arte di questo periodo, una visione ambivalente del progresso industriale e tecnologico, di cui la ferrovia e la locomotiva sono potenti emblemi. E così, anche in queste fotografie, da una parte il treno ci appare come l’elemento intruso che viola l’integrità e la sacralità di questi luoghi incontaminati, e dall’altra si fonde bene con il paesaggio e ci dà la misura dello sforzo eroico compiuto dall'ingegneria umana.

venerdì 28 ottobre 2016

L'uomo e la natura - CASPAR DAVID FRIEDRICH. LO SGUARDO OLTRE IL VISIBILE



Se le opere di altri artisti romantici, in particolare quelle di William Turner, sono pervase soprattutto dal sublime dinamico ‒ il sentimento suscitato dalle orrifiche benché affascinanti forze della natura ‒, semplificando si può affermare che le opere di Caspar David Friedrich sono per lo più caratterizzate da paesaggi sconfinati e silenziosi, che suscitano quel sentimento d’infinito che Kant definiva sublime matematico.
In “La croce sulla montagna” la composizione mostra un semplice crocifisso, piantato su un brullo picco montuoso, che si innalza tra gli abeti. Al di là di esso, salgono verso il cielo gli ultimi bagliori del sole al crepuscolo, in una luce screziata e irreale.

martedì 25 ottobre 2016

Personaggi del mito e della storia - ICONOGRAFIA DELLA MADDALENA

Maestro della Maddalena di Capodimonte, Maddalena penitente, XVII sec., Museo Regionale di Messina - Public Domain

La Maddalena è un personaggio da sempre molto presente in pittura e in scultura, una delle immagini sacre più amate dall’arte italiana ed europea, una santa dai molti volti spesso contrastanti, la cui fortuna figurativa testimonia il grande ascendente esercitato fin da epoca remota sull’immaginario collettivo. Le opere che la ritraggono sono moltissime e risalgono al tardo antico, configurandosi in una ricchezza iconografica caratterizzata da contesti rappresentativi molto diversi tra loro. Lo sviluppo figurativo di questo personaggio, infatti, non ebbe un corso regolare e uniforme, ma si articolò lungo un percorso complesso ed eterogeneo.
Maria Maddalena (Maria di Magdala) viene citata nel Vangelo di Luca come una delle donne che seguivano Gesù: “C’erano con Gesù i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni…”.
Tutti gli evangelisti concordano su alcuni aspetti: tutti e quattro la chiamano Maria di Magdala, la presentano come uno dei discepoli che seguivano Gesù fin dalla Galilea, la collocano presente alla sua crocifissione ed alla sepoltura, la identificano con colei che si recò al sepolcro la mattina della Domenica di Pasqua, per ungere il suo corpo, scoprendo la tomba vuota. E sempre secondo i Vangeli, Maddalena è stata la prima a vedere Gesù risorto e ad annunciare la sua risurrezione agli apostoli. Divenne così la prima annunciatrice della resurrezione e per questo in seguito le si attribuì il titolo di “apostola degli apostoli” e di “evangelista” in qualità di prima predicatrice della buona notizia. Davanti al sepolcro vuoto, Gesù le si rivolge chiamandola semplicemente per nome: “Maria!” e a lei affida l’annuncio del grande mistero della Resurrezione. È di grande rilevanza che, in un tempo nel quale la testimonianza delle donne, e quindi la loro parola, non aveva valore giuridico, il Cristo affidi il messaggio fondamentale della cristianità alla Maddalena, facendo di lei la prima testimone, la mediatrice della Parola, del Logos incarnato, rendendola apostola degli apostoli.

lunedì 24 ottobre 2016

L'uomo e la natura - L’ESTETICA DEL SUBLIME

Michael Wutky, The Eruption of Mt. Vesuvius Seen Across the Bay of Naples.


LA CRISI DEL PRIMATO ANTROPOLOGICO

Tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo si verifica in Occidente un mutamento radicale dell’ordine figurativo e del paradigma estetico. Riprendendo il titolo di un saggio di Renato Barilli, è in questo periodo che occorre ricercare la vera alba del contemporaneo.
La sorgente di questo cambiamento si sprigiona nel Nord Europa, scorrendo dall’Inghilterra alla Germania, negli ultimi decenni del XVIII secolo.
Cos’è che determina tale cambiamento di rotta? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare indietro e considerare il nuovo modello cosmologico affermatosi con la rivoluzione scientifico-filosofica avviata da Galilei, Cartesio e Newton. Quest’ultima aveva mandato in frantumi la rappresentazione cosmica di derivazione classica, intendendo per cosmo un universo chiuso, ordinato, armonico. All’interno di quel modello valeva l’idea, di origine protagorea, dell’uomo “misura di tutte le cose”, e quella umanistica, veicolata dai testi platonici e neoplatonici, di una perfetta corrispondenza tra uomo (inteso come microcosmo) e universo (inteso come megantropo o macrantropo, cioè come “grande uomo”). In termini estetici, quest’idea si traduceva nell’affermazione che uomo e cosmo partecipano della stessa eterna bellezza, della stessa “divina proporzione”, cioè della stessa razionalità; che l’uomo è armonicamente incastonato nel cuore della natura, centro dell’universo e perno del meccanismo perfetto rappresentato dall’ordine cosmico.

domenica 18 settembre 2016

L'uomo e la natura - Alessandro Magnasco. Le ombre del Settecento

Alessandro Magnasco, L'esorcismo delle onde, 1735-1740 ca., Memorial Art Gallery of the University of Rochester.
Visionario e geniale, plumbeo e anticonformista, irriverente e provocatorio, a tratti funereo e spettrale, di sicuro originalissimo, Alessandro Magnasco, detto il Lissandrino, è un pittore singolare e affascinante. Genovese di nascita, ma formatosi a Milano, a Firenze fa la conoscenza dei “capricci” di Salvator Rosa e delle incisioni di Jacques Callot.
Le sue tele, lontane dal gusto estetizzante del rococò, si popolano di monaci laceri ed emaciati, zingari, saltimbanchi, accattoni, soldati, briganti, quaccheri e lavandaie, maestose rovine e sottofondi claustrali: in esse un beffardo umorismo si alterna a un sulfureo delirio, sottolineato dalle figure aguzze e deformate, dalle atmosfere iniettate di tenebra, dalle pennellate rapide e guizzanti, dalla sintassi narrativa melodrammatica e teatrale.

domenica 11 settembre 2016

L'uomo e la natura - IL PAESAGGIO "PREROMANTICO" DI SALVATOR ROSA

Salvator Rosa, Il ponte rotto, 1645-48 ca., Palazzo Pitti, Firenze.

Rispetto al paesaggio classico di Lorrain o di Poussin, basato sui valori di ordine, equilibrio e armonia, quello dell'italiano Salvator Rosa (1615-1673) sembra prefigurare sensibilità e suggestioni tipicamente romantiche, per i suoi elementi di forte spettacolarità, nella quale misura ed equilibrio lasciano il posto all'irrompere delle forze di una natura spesso oscura e irrazionale, già evidente nei colori più bruni e terrei e nei più vivi contrasti chiaroscurali rispetto a quelli delle scene bucoliche del paesaggio di matrice ideale.

L'uomo e la natura - Il paesaggio classico di Claude Lorrain e Nicolas Poussin

Claude Lorrain, Landscape with Nymph and Satyr Dancing, 1641, Toledo Museum of Art - Public Domain via Wikipedia Commons

Natura morta e paesaggio, che si affermano come generi autonomi nel Seicento, nascono dalla volontà di rendere attuali e di collocare in maniera credibile l’evento storico narrato, intendendo per tale quello appartenente non solo alla storia laica, ma anche religiosa.
Se in passato veniva considerato lo sfondo scenografico sul quale proiettare la rappresentazione di personaggi divini o umani, nel XVII secolo il paesaggio diviene un genere pittorico autonomo e codificato. Questo paesaggio moderno, non subordinato ad altro soggetto, nasce a Roma, soprattutto ad opera di artisti stranieri, come ad esempio Mattheus e Paul Bril, Jan Bruegel il Giovane, Sebastiaen Vrancx e il tedesco Adam Elsheimer, ammaliati dal fascino classico della capitale e dalla luce delle sue campagne circostanti.

lunedì 29 agosto 2016

L'uomo e la natura - Gli "oggetti-stato d'animo" nelle nature morte di Fede Galizia

Fede Galizia, Alzata con prugne, pere e una rosa", 1602 ca., replica, collezione privata.

Contemporaneamente al paesaggio, la fine del XVI secolo vede la nascita di un altro genere pittorico, destinato ad avere grande successo nell’arte occidentale fino ai nostri giorni, la natura morta, entrambi caratterizzati dall’espulsione della figura umana dalla scena pittorica.
L’affermarsi della pittura di genere, dunque, nasce da una frattura all’interno di quell’unità rinascimentale incentrata sul centralismo antropologico che poneva l'uomo come principio ordinatore e misura di tutte le cose.
Difficile localizzare con precisione le origini del genere “natura morta”. Ciò che è certo è che nella seconda metà del XVI secolo molta pittura, soprattutto quella destinata a una committenza privata, comincia a emarginare il suo protagonista, cioè l’uomo. Ma c'è qualcosa di più rilevante da sottolineare, un qualcosa che è alle origini della pittura moderna. Come scrive Flavio Caroli, “fra gli oggetti e il cuore dell’uomo sembra instaurarsi, da questo momento, un rapporto del tutto preferenziale, come dimostra lo sviluppo della pittura a venire. Se il paesaggio può essere ancora segnato dalla idealità classica, l’oggetto, la «still-life», diventa un deposito silenzioso di spiritualità, quasi «l’altra faccia», o la «faccia delegata», dell’interiorità.”

domenica 28 agosto 2016

Il sacro sullo sfondo


Nelle opere di alcuni pittori del Cinquecento, come Patinir, Altdorfer e Bruegel il Vecchio, è evidente la progressiva perdita di centralità e preminenza del soggetto storico o mitologico rappresentato, a favore di un ruolo molto più significativo concesso al paesaggio. Questa progressiva emarginazione, fino alla totale espulsione, della figura umana, che era stata il perno della rivoluzione rinascimentale, continua per tutta la seconda metà del Cinquecento.
Dopo la Riforma Protestante, il Nord Europa fu interessato da una serie di episodi di iconoclastia, cioè di distruzione di immagini sacre, all’interno di luoghi di culto cattolici. Il fenomeno dell’avversione violenta al culto delle immagini non era nuovo in Europa, ma sembrava definitivamente risolto in Occidente dal Concilio di Nicea (787 d.C.) che aveva stabilito che “Chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto”. Dopo Martin Lutero, diversi riformatori protestanti incoraggiarono la demolizione delle immagini religiose, accusate di indurre idolatria o iconolatria e appellandosi alle proibizioni contenute nel Vecchio Testamento. La furia iconoclasta percorse la Svizzera, la Germania, la Francia, i Paesi Bassi arrivando in Danimarca e perfino in Scozia. Immagini dei santi o della Vergine, vetrate raffiguranti eventi miracolosi o soprannaturali furono rimosse dalle chiese e dalle cappelle cattoliche, e spesso furono distrutte. Furono presi di mira, per citare qualche esempio, la basilica di San Martino, a Tours, quella di Notre-Dame, a Rouen, e quella di Santa Maria Maddalena, a Vézelay.

domenica 21 agosto 2016

Porte e finestre - Caillebotte. Una finestra sulla città e sulla malinconia.

Gustave Caillebotte, Giovane uomo alla finestra, 1875 - Collezione privata.

Gustave Caillebotte fu un pittore impressionista, ricordato non solo come artista, ma anche come mecenate: la sua ricchezza personale gli permise infatti di acquistare molte opere di impressionisti e di finanziarne la terza esposizione nel 1877. Lasciò disposizione che, alla sua morte, avvenuta a soli 46 anni, la propria importante collezione fosse donata allo Stato. Ma, incredibile a dirsi, la donazione venne all'inizio rifiutata per essere poi accettata anni dopo ed esposta, ora, al Musée d'Orsay.
I suoi soggetti preferiti sono paesaggi urbani e rurali e interni domestici. Pur aderendo al movimento impressionista, Caillebotte conservò sempre uno stile peculiare, affiancando, al senso vivo del colore e della luce, una cura attenta del disegno, portando ad effetti di resa quasi fotografica.

Porte e finestre - Il balcone di Manet

Édouard Manet, Il balcone, 1868-69, Parigi, Musée d'Orsay.

Il balcone è un'opera di Édouard Manet, che riprende un dipinto molto simile di Francisco Goya, Majas al balcone, realizzato dal pittore spagnolo tra il 1808 e il 1814. Rispetto alla precedente, l'immagine di Manet appare più piatta e meno dotata di volume. Sappiamo infatti come gli Impressionisti affidino l'efficacia rappresentativa del quadro soprattutto ai colori e alla luce, tendendo ad abolire la prospettiva e il chiaroscuro. Eppure Manet (che, ricordiamo, non aderì mai "ufficialmente" all'Impressionismo), partendo dalla consapevolezza che la percezione visiva funziona soprattutto per contrasto tonale (in quanto l'occhio umano, guardando la realtà, coglie soprattutto macchie di colore), riesce a restituirci un'immagine quanto mai vivida e di grande forza espressiva. E il tutto avviene grazie alla luce e al contrasto dei colori: il verde delle persiane, il bianco luminoso dei vestiti, il nero dello sfondo e del vestito dell'uomo.

Porte e finestre. Berthe Morisot. Una finestra sulla luce

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Morisot Berthe, Eugène Manet all'isola di Wight, 1875.

Se volessimo semplificare e riassumere in due parole il percorso fin qui fatto, potremmo dire che
- la finestra nella pittura del Rinascimento è un dispositivo ottico di organizzazione dello spazio, una "veduta" su paesaggi esterni prospetticamente inquadrati,
- la finestra nella pittura del Seicento è una soglia che protegge e separa l'interno della casa dalla città (generalmente l'esterno non si vede, oppure si vede in modo molto vago e sfocato), oppure le finestre sono i luoghi da cui si affacciano graziose popolane, come nel quadro di Murillo o nei tanti dipinti dell'olandese Gerrit Dou, dove la finestra è poco più di una cornice del ritratto,
- la finestra del Romanticismo è uno spazio aperto sull'altrove, sull'ignoto e l'infinito.
Dalle finestre dei quadri Impressionisti, invece, entra dentro il mondo così com'è, o meglio, come lo vedono i pittori di quella corrente artistica: una realtà fatta di luce e di macchie di colore, così come è percepita dall'occhio umano.

Porte e finestre - Friedrich. Una finestra sull'assoluto

Caspar David Friedrich, Donna alla finestra,1822, Alte Nationalgalerie, Berlino.

Questo dipinto è "Donna alla finestra", del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich.
La scena è ambientata in un austero ambiente interno, lo studio del pittore a Dresda con vista sull'Elba. La donna, raffigurata di spalle rispetto allo spettatore, è presumibilmente la moglie dell'artista, Caroline, la quale, appoggiata alla finestra, volge il suo sguardo verso il fiume. Friedrich inserisce spesso nei suoi quadri dei personaggi colti di spalle, assorti nella contemplazione di un paesaggio naturale, come il famoso "Viandante sul mare di nebbia".

mercoledì 27 luglio 2016

Porte e finestre - Una finestra sul chiaro di luna

Johann Heinrich Füssli – Signora alla finestra al chiaro di luna, 1800-1810, Frankfurt a.M., Goethe-Museum.


Johann Heinrich Füssli fu un letterato e pittore svizzero, ma naturalizzato inglese. Fu precursore del Romanticismo, che prese l'avvio in Germania alla fine del XVIII secolo, sulla scia dello Sturm und Drang, il movimento letterario di Goethe e Schiller, attivo fra il 1765 e il 1785, sorto in opposizione al razionalismo illuministico allora imperante. Come i Neoclassici egli studia e ammira l'arte greca e romana, ma non per i suoi caratteri di equilibrata armonia, semmai per gli aspetti di eroismo drammatico e sovrumano. Nella sua opera l’estetica del sublime trova una delle sue più intense espressioni, e ad essa si rifaranno i maggiori pittori del Romanticismo.
L'idea di "sublime" aveva conosciuto la sua prima definizione teorica nel saggio del 1756 di E. Burke, "Inchiesta sul Bello e il Sublime", in cui l'autore considerava il bello e il sublime tra loro opposti. Il sublime non nasce dal piacere della misura, dell'ordine e della forma bella dell'oggetto, ma ha la sua origine nei sentimenti di terrore, di sgomento, di smarrimento suscitati dalla dismisura, da “tutto ciò che è terribile o riguarda cose terribili” (per es. il vuoto, l’oscurità, la solitudine, il silenzio, l'infinito ecc.).

Porte e finestre - Donne alla finestra. Gli spazi del desiderio sessuale nel Rinascimento

Bartolomé Esteban Murillo, Galiziane alla finestra (o Las Gallegas), 1655-60, National Gallery di Washington.


Bartolomé Esteban Pérez Murillo, tra le più importanti figure del barocco spagnolo, ebbe successo in vita per le sue opere di argomento religioso, ma è nei suoi dipinti di scene popolaresche, raffiguranti ragazze e monelli di strada, che mette in luce gli aspetti più personali e geniali del suo linguaggio. In queste sue tele, il mondo picaresco del Seicento spagnolo si rivela in colori e luci del tutto moderni. Murillo subì molti influssi, tra cui sicuramente quello del caravaggismo spagnolo e dell'arte fiamminga. Questo dipinto ritrae due donne, una giovane e l'altra più anziana, affacciate alla finestra: la più giovane sorride, mentre l'altra nasconde il viso dietro uno scialle.
Alcune interpretazioni inquadrano la scena come un momento di corteggiamento, altre invece vedono nelle due donne delle prostitute che esercitano il mestiere, all'epoca un ripiego diffuso tra le donne della Galizia, regione molto povera, che si recavano a Siviglia, città di Murillo, a praticare il meretricio.

Porte e finestre - Confini di un mondo privato

Pieter De Hooch, Donna che si allaccia il corpetto vicino a una culla, 1660 circa, Gemäldegalerie, Berlin.


Anche l'olandese Pieter de Hooch, come Vermeer, è un pittore del Secolo d'oro dell'arte olandese. La sua carriera si svolge soprattutto a Delft, stessa città in cui operava Vermeer, ritraendo in particolar modo interni e scene familiari di vita borghese, caratterizzati da grande cura per i dettagli di vita quotidiana.
Personaggi privilegiati da De Hooch sono le donne a casa con i loro figli: la madre che sorveglia la culla, che serve la sua famiglia a tavola, che lavora nella sua cucina o cuce o legge una lettera seduta vicino a una finestra (testimonianza, peraltro, del livello di alfabetizzazione femminile). La nota fondamentale di ogni singolo quadro è una intima semplicità; il pittore ci conduce in un ambiente calmo e tranquillo, molto pulito e ordinato, abitato da persone benestanti, un mondo la cui calma non è mai infranta da alcun evento sensazionale.

Porte e finestre - La finestra come limite

Jan Vermeer, Donna che legge una lettera davanti alla finestra, 1657 circa, Gemäldegalerie di Dresda.


Questo è un dipinto di Jan Vermeer del 1657. Siamo nell'Olanda del Secolo d'oro, il Paese dove è presente il più nutrito e coeso ceto borghese del continente: mercantile sul piano economico e riformato sul piano religioso. In questo contesto, si sviluppa una produzione artistica destinata non più ai tradizionali committenti della corte o della Chiesa, ma alla nuova classe dirigente, la borghesia appunto, ai cui valori questi artisti danno forma. E questo committente preferisce delle rappresentazioni legate ai temi della vita quotidiana, piuttosto che i classici soggetti mitologici o religiosi. Si diffonde la pittura di genere: paesaggi, nature morte, ritratti, interni domestici, contesti quotidiani in cui la società borghese può specchiarsi e riconoscersi.

Porte e finestre - Una finestra nell'occhio

          Albrecht Dürer, Leprotto, 1502.


Si, avete visto bene: è un leprotto. Vi starete chiedendo cosa c'entra una lepre con porte e finestre. Eppure, se ingrandite l'immagine e guardate nell'occhio di questa bestiola, vedrete raffigurata una finestrella luminosa.

Porte e finestre - La pittura come "finestra aperta sul mondo"

    Lorenzo Di Credi, Annunciazione, 1480, Galleria degli Uffizi, Firenze.


Come lo specchio, anche la finestra affascina per la sua ambiguità: oggetto apribile e chiudibile al tempo stesso, separa e unisce, permette di vedere e di essere visti oppure di celare e di celarsi, contiene in sé la trasparenza del vetro e l'opacità del battente o della tapparella.
Come lo specchio inoltre, anche la finestra è un simbolo con cui l’artista può riflettere sul proprio mestiere di “fare pittura”. In una poesia Rainer Maria Rilke scriveva: «Non sei forse tu, finestra, la nostra geometria, forma così semplice che senza sforzo circoscrivi la nostra vita immensa?».
Rilke era attratto dalle finestre, convinto com'era che la loro forma modellasse la nostra idea del mondo: circoscrivendo una porzione della realtà, esse ci permettono di avere una visione chiara, altrimenti inattingibile nella vastità confusa della nostra "vita immensa". Ma questa intuizione non era una novità, ma si poneva nel solco di una tradizione che ha la sua origine nell'Umanesimo, quando la pittura occidentale si era data l'obiettivo di farsi mimesi del reale e per questo aveva codificato i principi della rappresentazione dello spazio nella geometria della prospettiva lineare.

Porte e finestre - La finestra come "veduta"

    Tiziano: Venere con organista e amorino, 1550.


Iniziamo un nuovo percorso, prendendo in esame alcune opere in cui porte o finestre costituiscono elementi rappresentativi o simbolici di rilievo. Non sarà un discorso sull'architettura, ma per introdurlo partiamo da un brano che parla di essa. E' tratto dal libro "La finestra e la comunicazione architettonica" del 1979 di Giannino Cusano:
"La finestra non è un semplice «buco nel muro», ma uno strumento linguistico fondamentale in due sensi: a) configura e vitalizza lo spazio quantificandone e qualificandone la luce; b) segnala nel volume e sulle superfici le funzioni interne dell'edificio. Dal Medioevo al barocco, dal razionalismo all'espressionismo, da Wright a Le Corbusier e Mendelsohn, la finestra comunica l'intero dramma architettonico. Taglia e cuce, levita o appesantisce, squarcia o morde il masso costruito, media o rende più dissonante il rapporto tra pieni e vuoti. In sostanza, una finestra offre la carta d'identità di un architetto e di un costume urbano, fornendo un mezzo diretto per «leggere» l'architettura".
In questo percorso vedremo invece porte e finestre soprattutto nel loro aspetto simbolico.

martedì 26 luglio 2016

Ribelli e rivoluzionari - ROSA PARKS


Don Cravens, Rosa Parks, 1956.

Cominciamo oggi un nuovo percorso che ci porterà attraverso le storie di uomini e donne, personaggi storici o mitologici, che hanno incarnato la figura del ribelle o del rivoluzionario.
Cercare di dare delle definizioni di questi due tipi ideali e di illustrarne le differenze non è semplice, per cui è meglio restare alla superficie della questione.
Il ribelle è il dissidente, il libero pensatore, l'individuo che si oppone a un pensiero o a un ordine costituito. E' l'anticonformista che rifiuta qualsiasi ortodossia. In un certo senso il ribelle incarna un "modo di essere", un modo di porsi di fronte agli altri e ai modi di organizzazione di cui questi si dotano.

Ribelli e rivoluzionari - L'angelo ribelle

    Franz Von Stuck, Lucifero, 1889-90, National Gallery for Foreign Art di Sofia.


In questo percorso alterneremo un personaggio storico a un personaggio del mito e della leggenda.
Parlando di ribelli, la prima figura che viene in mente è il "ribelle" per eccellenza, l'angelo caduto, il nemico di Dio, cioè Lucifero ("Portatore di luce"). Nella tradizione giudaico-cristiana egli è un serafino, quindi appartenente alla più alta schiera degli angeli (tra l'altro il serafino è anche chiamato "serpente di fuoco"), che per superbia e per desiderio di usurpare Dio, oppure per gelosia nei confronti della predilezione mostrata da Dio per l'uomo appena creato, si ribella a lui e gli muove guerra insieme agli altri angeli che si schierano dalla sua parte. Sarà sconfitto dall'arcangelo Michele e dall'esercito degli angeli rimasti fedeli e fatto precipitare nell'abisso degli Inferi, insieme agli altri ribelli.

Ribelli e rivoluzionari - MARTIN LUTHER KING

Bob Adelman, Martin Luther King delivers the "I have a dream" speech from the podium, 28 agosto 1963, Washington DC


Questa foto, notissima, ritrae Martin Luther King durante il celebre discorso davanti al Lincoln Memorial di Washington il 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, la "marcia per il lavoro e la libertà".
Chi non conosce le parole di questo discorso? "I have a dream", "io ho un sogno. E' un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali". Da quel momento l'espressione «I have a dream» diventa un'icona universale. In un discorso di 17 minuti il reverendo Martin Luther King condensa la potenza del suo messaggio e da quel momento la lotta contro il razzismo e la segregazione razziale non è più la stessa, ma trova nuova forza, radici e soprattutto un simbolo.

Ribelli e rivoluzionari - PROMETEO


Alejandro Kokocinski, Prometeo

Il nome Prometeo in greco significa "colui che riflette prima". Egli è infatti molto scaltro e intelligente. Prometeo è figlio del titano Giapeto e di Climene, figlia del titano Oceano. Ma chi sono questi titani? Essi sono delle divinità antichissime, precedenti agli dei olimpici e rappresentano le forze primordiali dell'universo. Dunque Prometeo è un titano di seconda generazione, ma pur sempre una divinità. La particolarità di questo dio è che gli stanno particolarmente a cuore gli uomini, mentre è in contrasto con il dio supremo, Zeus, del quale rappresenta in un certo senso l'antitesi.
Secondo alcune versioni del mito, Zeus, per la stima che in un primo momento riponeva in Prometeo, gli diede l'incarico di forgiare l'uomo. Prometeo lo modellò dal fango, lo animò con il fuoco divino e, in seguitò, gli donò le doti dell'intelligenza e della memoria che aveva rubato ad Atena.

Ribelli e rivoluzionari - MALCOLM X

           Gordon Parks, Malcolm X holding up Black Muslim newspaper., Harlem, New York, 1963.


Se Martin Luther King predica la non violenza e l'integrazione negli stati del sud, Malcolm X si rende conto che questa strategia di lotta è impossibile da attuare nei centri urbani e nelle metropoli del Nord degli Stati Uniti, dove vivono comunità di neri ghettizzate e disgregate. Rispetto agli altri leaders neri, Malcolm X sviluppa la strategia di lotta che in quelle circostanze più delle altre rispondeva alle istanze degli afroamericani che vivevano la tumultuosa esperienza dei ghetti urbani in rivolta. Lo scopo finale non è più l’integrazione, ma il sovvertimento del sistema americano. Malcolm X è il miglior interprete di quel mondo di miseria, ignoranza e rabbia in ebollizione che minacciava di esplodere perché, a differenza degli altri leaders neri che provenivano dagli ambienti borghesi, Malcolm ci era cresciuto. Nei ghetti degradati e violenti di New York, quale idea poteva far nascere una speranza di riscatto? La non violenza e la resistenza passiva no di certo, non potevano attecchire. Attraverso l’identificazione con una religione, la Nation of Islam offriva un’identità adeguata alle aspirazioni di quei neri marginali, l’identità di muslims (musulmani), che permetteva loro di riappropriarsi della memoria storica e di riconoscersi come comunità in lotta.

Ribelli e rivoluzionari - ICARO

            Henri Matisse, Icaro, dalla raccolta “Jazz”, 1946-1947, New York Metropolitan Museum.


Icaro è il prototipo dell'adolescente trasgressivo e ribelle. Figlio di Dedalo, architetto del celebre Labirinto voluto da Minosse, venne imprigionato con il padre a Creta, perché quest’ultimo non rivelasse a nessuno i segreti del Labirinto di Cnosso. Grazie al suo ingegno, Dedalo riesce a costruire delle ali di piume e cera, un paio per lui e un paio per il figlio. Prima di partire e tentare la fuga, Dedalo spiega al ragazzo come usarle e dove posizionarsi nell’aria: non troppo in basso altrimenti l’umidità avrebbe bagnato le piume e impedito il volo, non troppo in alto o il sole avrebbe fatto sciogliere la cera che univa le piume. Ma Icaro si lascia prendere dall’euforia del volo e si avvicina troppo al sole. La cera si scioglie e il ragazzo precipita in mare.

GANDHI E L'INSEGNAMENTO DELL'ARCOLAIO

    Margaret Bourke-White, Mahatma Gandhi at His Spinning Wheel, Poona, India, 1946.


Fondare non solo una strategia di lotta politica, ma tutta un'etica sulla disobbedienza civile: un'impresa che poteva riuscire solo a una "grande anima". Mohandas Karamchand Gandhi è stato uno dei pionieri e dei teorici del satyagraha, la resistenza all'oppressione tramite la disobbedienza civile di massa che ha portato l'India all'indipendenza.
Questa foto di Margaret Bourke-White, una delle più famose di Gandhi, è del 1946 e lo ritrae seduto dietro a un arcolaio (charkha, in lingua hindi). Il soggetto in primo piano di questo scatto è in realtà proprio il consunto attrezzo, che veniva utilizzato per districare le matasse di cotone; così comune in quella terra da comparire come effigie nella bandiera indiana fino agli anni ’40 del secolo scorso. Gandhi attribuisce un immenso valore morale a questo attrezzo. Esso incarna il suo ideale di offrire agli abitanti delle aree rurali dell’India un impiego e un ambiente dignitosi, evitando le grandi migrazioni verso le grandi città. Lo strumento di una vera e propria controrivoluzione industriale che ha visto Gandhi impegnato in prima persona non solo nella diffusione ma anche nell’uso di questo antico strumento per filare manualmente la seta e il cotone.

Ribelli e rivoluzionari - GIUDITTA

          Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620, Galleria degli Uffizi, Firenze.


Giuditta è un personaggio dell'Antico Testamento, le cui vicende sono narrate nel Libro di Giuditta. La storia, ambientata al tempo di Nabucodonosor, racconta che a quel tempo la città giudea di Betulia era sotto assedio da parte di Oloferne, generale assiro. Giuditta è una giovane e bella vedova ebrea, che non si arrende alla decisione di resa al nemico, presa dal governo della città e decide con coraggio di proseguire la battaglia ricorrendo alle armi femminili della seduzione. Indossa belle vesti e gioielli e si presenta ad Oloferne con la sua serva e con doni, fingendo di essere venuta a tradire i suoi.
Oloferne, dopo un banchetto, si apparta con lei nella sua tenda completamente ubriaco. Giuditta impugna con una mano la scimitarra del suo nemico, con l'altra gli afferra i capelli e con forza gli stacca la testa dal collo. Morto il suo generale, l'esercito assiro toglie l'assedio e Giuditta viene celebrata dal suo popolo come una salvatrice.

Ribelli e rivoluzionari - CHE GUEVARA

                    Alberto Korda, Guerrillero Heroico, L'Avana, 1960.


Qualcuno penserà che la scelta di questa immagine è fin troppo scontata. Personalmente avrei preferito parlarvi delle foto scattate al Che da Elliott Erwitt o da Burri, ma queste, seppure famosissime, non hanno la valenza iconica che ha avuto e continua ad avere questo scatto di Alberto Korda.
Ernesto Guevara de la Serna, conosciuto come il "Che", è stato uno dei più celebri rivoluzionari del Novecento, oltre che guerrigliero, scrittore e medico. Nato a Rosario, in Argentina, negli anni Cinquanta si recò in Guatemala dove entrò in contatto con alcuni esuli cubani e si avvicinò alle idee marxiste. Qui ricevette il soprannome Che, dovuto all'intercalare tipicamente argentino "che" usato per attirare l'attenzione - un po' come in italiano "ehi" -, che il rivoluzionario usava molto spesso. Nel 1956 decise di partire insieme a loro per Cuba, dove prese parte attivamente alla rivoluzione che portò, il primo gennaio 1959, a rovesciare il dittatore Fulgencio Batista. Dopo alcune esperienze nel governo di Fidel Castro, Guevara decise nel 1965 di lasciare l'isola caraibica con l'intento di portare la rivoluzione in altri Paesi del mondo: si recò prima nel Congo belga, poi in Bolivia. Qui l'8 ottobre 1967 venne ferito, catturato e poi giustiziato dall'esercito boliviano.
Questa foto contribuì in modo decisivo a fare di Guevara un mito non solo per le generazioni di allora. Questa icona ha valicato il millennio, continuando a mantenere grande popolarità, sebbene la sua valenza simbolica sia mutata rispetto a qualche decennio fa.
L'autore, Alberto Korda (anche se il vero nome era Alberto Diaz Gutierrez ) era un fotografo cubano di moda che, dopo la caduta di Batista, era diventato fotografo della Rivoluzione e amico di Castro.
La foto fu scattata il 5 marzo 1960, durante la cerimonia funebre dei 136 morti nello scoppio della nave francese La Coubre, probabilmente a causa di un sabotaggio, che trasportava armi a L'Avana. Korda era lì per un servizio per il giornale Revolución e si era avvicinato alla piattaforma degli oratori. Con Castro c'erano altri leader della rivoluzione, gli scrittori francesi Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir e, naturalmente, il Che. Quando Korda arrivò vicino, si accorse che il Che - che era stato in piedi nella parte posteriore del palco - si era spostato in avanti. Fu colpito dalla sua espressione che, affermava Korda, mostrava "implacabilità assoluta", così come rabbia e dolore. Il fotografo impugnava una Leica M2 con lenti di 90 mm e con pellicola Kodak Plus-X, che conteneva già fotogrammi di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Fidel Castro, tutti presenti alla cerimonia. Egli riuscì a fare due scatti - uno verticale e uno orizzontale - prima che il Che facesse un passo indietro. Nel primo scatto, orizzontale, Che Guevara venne ritratto tra alcune foglie di palma e il giornalista argentino Jorge Josè Ricardo Masetti Blanco (di origini bolognesi, noto anche come Comandante Segundo, desaparecido in Argentina nel 1964).


In seguito, nel corso del processo di elaborazione della pellicola, lo stesso Korda decise di isolare la figura del "Che" tramite una operazione di cropping, e di stampare solamente il primo piano del rivoluzionario argentino. Ironia della sorte, il giornale non utilizzò, per la pubblicazione del servizio, l'immagine del Che, ma scelse uno scatto di Castro con Sartre e de Beauvoir. Le foto rimasero a languire per anni sulla parete dello studio di Korda fino a quando, nel 1967, un editore italiano, Giangiacomo Feltrinelli, venne con una lettera del governo cubano chiedendo a Korda di aiutarlo a trovare un ritratto del Che. Il fotografo gli regalò due copie della sua foto, senza volere alcun compenso. Tornato in Italia, Feltrinelli scelse proprio il ritratto realizzato da Korda come copertina del "Diario in Bolivia" di Ernesto Guevara. Ma il punto di svolta per l'immagine fu il mese di ottobre del 1967, dopo l'esecuzione del Comandante in Bolivia. Dimostrazioni di condanna scoppiarono dappertutto e Feltrinelli decise di stampare numerosi poster con la foto del Che, tappezzando Milano. Lo scatto di Korda acquisì il nome di "Guerrillero Heroico" e da allora è divenuta una delle fotografie più celebri e più riprodotte della storia, in ambito ideologico, artistico e anche commerciale. L'immagine, nella reintepretazione operata nel 1968 dall'irlandese Jim Fitzpatrick (gli scarni tratti in bianco e nero del volto del Che su uno sfondo rosso fuoco), è entrata a tutti gli effetti nell’immaginario collettivo, diventando simbolo dei crescenti moti di rivolta operai e studenteschi di tutto il mondo, grazie alla sua massiccia riproduzione industriale su maglie, poster e bandiere.
Nonostante questo, Alberto Korda non ha mai reclamato i diritti né ha ricevuto alcun compenso.
Poiché Fidel non aveva riconosciuto o firmato la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, né Korda né la famiglia Guevara ha ricavato nulla dai miliardi di riproduzioni delle immagini. Senza la protezione del copyright, chiunque poteva usarli e pubblicarli. Nel 2000, però, Korda intraprese una battaglia legale contro l'azienda russa Smirnoff, rea di aver utilizzato la foto del Che per pubblicizzare la propria vodka. La vicenda si è conclusa con un accordo extra-giudiziale, che ha comportato l'esborso di 50.000 dollari da parte dell'azienda, che il fotografo ha donato al sistema sanitario cubano.
Resta, invece, ignota l’identità di colui che utilizzò l’immagine di Korda per creare serigrafie con lo stile di Warhol spacciandole come opere dell’artista statunitense.
Con riutilizzi infiniti per scopi commerciali e sociali, la foto ha subito un processo di trasformazione da icona a oggetto di consumo di massa, perdendo gran parte della sua individualità. Tuttavia, allo stesso tempo, ha anche acquisito una grande universalità, in quanto l'astrattezza del simbolo ha allontanato l'icona dall'individualità storica, controversa e complessa, di Ernesto Guevara, elaborandosi come ideale di lotta per la libertà semplificato ma privo di contraddizioni, immediatamente riconoscibile e adottato a livello planetario. L'immagine intensa dell'eroe, morto giovane e dunque destinato a un'eterna giovinezza, ha una qualità mitica che è avvincente. Il suo berretto, la barba, i capelli incolti lo legano all'uomo comune, mentre il suo sguardo lontano, distante, proiettato verso un orizzonte interiore e irraggiungibile, non è dissimile da quello presente nelle raffigurazioni del Buddha o di Cristo. Un'ambiguità iconografica che rende un personaggio abbastanza comune da potersi riconoscere e identificare in esso e nello stesso tempo eroico e distante da costituire un ideale utopico di riferimento.
Celebri sono anche le fotografie che del Che scattò Elliott Erwitt:

Elliott Erwitt – Che Guevara in Cuba, 1964
Elliott Erwitt, Cuba. 1964. Che Guevara.

Questo link rimanda alla celebre Hasta siempre, scritta da Carlos Puebla nel 1965. Una canzone che, insieme all'immagine, ha fortemente contribuito alla costruzione del mito.




Ribelli e rivoluzionari - ANTIGONE

Jean-Joseph Benjamin-Constant, Antigone presso il corpo di Polinice, 1868. Photothèque Musée des Augustins


Il nome Antigone significa "nata contro”; contiene in sé la particella "anti" che esprime opposizione. Il mito di Antigone è indagato da tremila anni da vari autori: da Sofocle nel V secolo a.C., alla Cavani nel suo film I cannibali del 1969 e oltre. La tragedia racconta dello scontro tra Antigone, figlia di Edipo – che vuole seppellire i resti mortali del fratello Polinice, morto mentre assediava la città di Tebe per usurpare il potere al fratello Eteocle – e Creonte, lo zio, divenuto tiranno di Tebe, che invece vuole lasciare il nipote insepolto, in pasto a cani e avvoltoi, perché nemico della città. La pena per chiunque proverà a seppellirne il corpo è la morte. Apprendendo questa notizia, un'infuriata Antigone, si ostina a pretendere che il corpo del fratello venga sepolto affinché il suo spirito possa riposare in pace.
Antigone contravvenendo al divieto va dunque al campo di battaglia davanti a Tebe, copre di sabbia il corpo di Polinice ed effettua i riti di sepoltura. Si lascia quindi docilmente arrestare da una guardia uscita da Tebe ed insospettita dal sollevarsi della polvere. Una fiera Antigone è portata davanti a Creonte. Al cospetto del rappresentate dello Stato Antigone afferma le ragioni della propria condotta. Non alle leggi scritte lei ha inteso obbedire, ma alle leggi degli dèi, alle norme interne, non scritte e indistruttibili dettate dalla natura e dalla propria coscienza. Incredulo che una donna abbia osato disobbedire ai suoi ordini, Creonte decide l'imprigionamento di Antigone e ne decreta l'esecuzione. La fa rinchiudere pertanto in una caverna ad attendervi la morte. Nel frattempo l'indovino cieco Tiresia avverte Creonte che gli dèi sono molto adirati per aver egli rifiutato la sepoltura a Polinice e gli preannuncia imminenti sciagure. Il re di Tebe va dunque a liberare Antigone dalla caverna in cui è imprigionata, ma è troppo tardi per evitare la tragedia: Antigone si è appesa ad una corda. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), e poi la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria stoltezza.
Il nucleo del dramma sofocleo risiede nello scontro fra due volontà e due concezioni del mondo: quella di Antigone, fanciulla fragile fisicamente ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (physis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos).
Ciascuno dà ai suoi principi (diritto del ghenos per Antigone, che esige di compiere il rituale funebre per garantire la coesione della famiglia nelle sue relazioni con gli dei, contro il diritto della polis per Creonte, che esige che le decisioni dell'autorità politica siano rispettate per garantire la coesione civica) un valore assoluto ben oltre il dato contingente della vicenda che li vede contrapposti . Come sempre le tragedie deflagrano non quando la ragione sta da una parte o dall'altra - il che risolverebbe il conflitto - ma quando tutti hanno ragione, la propria ragione, soggettivamente ed oggettivamente, e, come in questo caso, il diritto non riesce a cogliere due ordini morali entrambi legittimi. E' in questo conflitto insanabile il senso del tragico.
Creonte trova intollerabile l’opposizione di Antigone non solo perché si contravviene a un suo ordine, ma anche perché a farlo è una donna. Nel suo ribellarsi però la donna risulta essere una figura meno dirompente di altre eroine come Clitennestra o Medea, poiché la sua azione non è rivolta a scardinare le leggi su cui si fonda la polis, ma solo a tutelare i suoi affetti familiari e la legge naturale che sente dentro di sé.
L'Antigone è la tragedia della "opposizione". Essa contiene in un concatenamento fatale i cinque conflitti inconciliabili che caratterizzano la vita degli umani in ogni tempo: uomo-donna, vecchi-giovani, individuo-società, leggi divine-leggi umane, vivi-morti.
Questo mito ritorna con intensità quasi ossessiva nel teatro e nel pensiero del Novecento, perché se ne riconosce l'estrema l'attualità: Antigone, con la sua autorità morale e la sua debolezza si fa carico - e diventa simbolo - di una serie di contraddizioni, che continuano a lacerare l’essere umano e la storia. In particolare oggi come non mai è vivo il dilemma: come agire, quando la legge della comunità particolare in cui si vive è in contrasto con un ordine di giustizia universale?
Presentando lo scontro tra privato cittadino e Stato dispotico, l’Antigone è stata spesso vista, in tempi moderni, come una metafora dei diritti del singolo contro gli Stati totalitari (anche se in questo caso viene meno lo spirito tragico classico, fondato sul conflitto insanabile tra due istanze entrambe legittime). Emblematiche, a questo proposito, la riscrittura di Anouilh, le rappresentazioni di Bertolt Brecht, Salvador Espriu o quella più recente del Living Theatre. L'altro elemento su cui hanno fatto leva le interpretazioni moderne è quello femminile, in quanto Antigone, come altre donne del mito, costituisce un fertile archetipo che consente una comprensione più profonda dell’immagine della donna e delle sue potenzialità (Maria Zambrano, Marguerite Yourcenar, Luce Irigary).
Ho trovato invece singolare che questo mito abbia trovato relativamente poche interpretazioni nell'arte figurativa. La pittura ha rappresentato molte volte Antigone in veste di figlia devota, mentre accompagna il padre cieco nel suo esilio di espiazione fino al bosco delle Eumenidi, ma non ha fatto altrettanto con l'episodio della ribellione di Antigone. Quelle che ho trovato, a parte alcune pitture dell'antichità classica, si collocano tutte nel XIX secolo e sono opere di artisti che, per convenzione, definiamo minori.
Questo dipinto è del pittore francese tardo romantico Jean-Joseph Benjamin-Constant. Il pittore ha dato alla rappresentazione un'atmosfera tragica e solenne. Al centro del quadro risalta la figura chiara e luminosa di Antigone, mentre in alto a destra incombe come una minaccia il castello simbolo del potere. La donna è ritratta nell'atto in cui copre pietosamente il fratello morto. Il braccio di lei è parallelo a quello del cadavere e con esso crea uno spazio chiuso e raccolto, staccato dalle altre figure.


Ribelli e rivoluzionari - PRAGA 1968

    Josef Koudelka, Praga, agosto 1968.


E' l'estate umida e calda del 1968 nella città di Kafka, dove ciò che non ti aspetti sta lì dietro un angolo, pronto ad irrompere e sconvolgere una apparente normalità. Uno squillo di telefono nella notte. Un risveglio improvviso. Bisogna alzarsi, rivestirsi, appendere al collo la macchina fotografica e uscire in strada. Questa volta non per riprendere i carri degli zingari. Ci sono altri carri da fotografare. I campi degli zingari fanno parte del mondo del sogno, un passato che si ostina a chiudersi in una malinconica poesia. Quella notte invece bisogna documentare la storia, che si spalanca come una città violata da centinaia di carri armati. Sono lì per soffocare la primavera di un'utopia, quel "comunismo dal volto umano" che si è aperto a un processo di democratizzazione e di riforme, promosso da A. Dubček e sostenuto dalla popolazione. Una bomba a orologeria posizionata nel cuore del Patto di Varsavia. Nella notte fra il 20 ed il 21 agosto, mezzo milione di soldati sovietici e circa 5.000 carri armati invadono la Cecoslovacchia, soffocando la "Primavera di Praga". Quella notte aprì una ferita lunga più di vent'anni.

Ribelli e rivoluzionari - MEDEA

                     Henri Klagmann, Medea, 1868, Nancy, Musée des Beaux-Arts.


Oggi parliamo di un personaggio assoluto, estremo, il cui atto di ribellione si compie in un gesto indicibile, il più mostruoso dei delitti, che nessuna legge, né umana né divina, potrà mai giustificare: l'uccisione dei propri figli. Medea è il personaggio tragico per eccellenza, che vive conflitti insanabili: è una maga barbara che proviene da una civiltà arcaica e che non riesce ad integrarsi nell'universo razionale di Corinto, dove le donne vivono una condizione di totale sottomissione all’uomo. Quella di Medea è una condizione di emarginazione, guardata da tutti con sospetto per via del suo essere straniera e dotata dell’oscura e potente sapienza della magia, condannata alla solitudine e all’esilio spirituale. Ma in questa tragedia di Euripide non esplodono solo conflitti tra personaggi diversi e diverse visioni del mondo. Per la prima volta nella storia della tragedia greca, il conflitto si dibatte entro un animo solo: è lei Medea che da sola si dilania tra sentimenti opposti, lacerata tra razionalità e passione, tra l’amore dei suoi figli e il suo desiderio di vendetta e di riscatto dell’oltraggio subito e dell’onore violato.

Ribelli e rivoluzionari - THICH QUANG DUC: THE BURNING MONK

    Malcolm Browne, “The Burning Monk”, 11 giugno 1963, Saigon, Vietnam.


E' il 10 giugno 1963 nella città di Saigon, Vietnam del Sud. Intorno alle nove di mattina, un'auto azzurra avanza lentamente nella strada, seguita da centinaia di monaci e monache buddhisti che marciano insieme. Recano cartelli, scritti in vietnamita e in inglese, che inneggiano all'uguaglianza religiosa. Ad un incrocio, l'auto si ferma. Un cuscino da meditazione viene posato sull'asfalto e un monaco vi si siede nella posizione del loto. Medita e recita il mantra del Buddha Amitābha, sgranando i grani di legno dell'Akṣamālā. Dopo un po' si avvicina un altro monaco. Reca una tanica piena di benzina. La solleva sul capo del suo confratello e comincia a versargliela su tutto il corpo. Passano ancora lunghi secondi. Poi il monaco seduto avvampa in una grande fiamma mossa dal vento, un enorme fiore di loto dai lunghi petali di fuoco. Nel cuore del rogo, l'uomo non si scompone.

Ribelli e rivoluzionari - SISIFO

                                Tiziano Vecellio, Sisifo, 1548 circa, Madrid, Museo del Prado.


Nell'oscurità degli inferi, un uomo sale lentamente verso la cima di un monte. Arranca curvo, con i muscoli tesi, i piedi ad ogni passo si puntano sulla roccia, le braccia muscolose sono piegate e spingono un enorme macigno. Tra orrendi spasmi, è riuscito a issare il masso sulla cima della montagna, ma, come attratto da una forza misteriosa, esso torna indietro rotolando velocemente giù per il pendio, fino ai piedi dell'altura. E allora l'uomo si raddrizza sulle gambe e ridiscende. Protende le braccia sul macigno e ricomincia a spingerlo piano, tra spasmi e sudori, su per il monte. E ogni volta la storia si ripete uguale, senza fine. Questo è il castigo eterno di Sisifo, così come descritto da Omero, perché egli ha osato ribellarsi agli dei.
Sisifo incarna un gesto di ribellione particolare. Figlio del dio Eolo, fu saggio e prudente per alcuni, scaltro e un po' brigante per altri. Fonda e governa la città di Corinto e, per dare alla sua città una fonte d'acqua perenne, rivela ad Asopo, dio dei fiumi, che la figlia Egina è stata rapita da Zeus. Per punirlo dello sgarbo, il padre degli dei gli invia Thanatos, la morte, per condurlo nell'oscura voragine del Tartaro. Ma Sisifo è forte ed astuto. Prima riesce a farlo ubriacare e poi lo lega con delle catene. Ha sconfitto la morte con la forza dei suoi muscoli e con la sua scaltrezza e sulla terra non perisce più nessuno. Ares, il dio della guerra, è furioso: sui campi di battaglia non muore neanche un soldato. Così interviene per liberare Thanatos, che riesce a trascinare Sisifo nel Tartaro. Ma l'astuzia dell'eroe non ha limiti. Prima di andare, Sisifo comanda alla moglie di non dargli gli onori della sepoltura, cosa inaccettabile anche per gli dei degli Inferi. Così Sisifo ottiene il permesso di ritornare sulla terra per tre giorni per imporre alla moglie di eseguire i riti funebri, ma una volta riemerso nel mondo dei vivi, non tiene fede ai patti. Quando la morte ritornerà a prenderlo, alla fine dei suoi giorni, Sisifo ritornerà nel Tartaro, dove sarà sottoposto alla terribile punizione di Zeus: spingere fino alla cima di un monte un grosso macigno, il quale, raggiunta la vetta, rotola immancabilmente giù. E Sisifo deve cominciare la sua fatica da capo.
Anche Sisifo, come Prometeo, osa sfidare la legge degli dei, ma non certo in nome di un ideale, di una causa giusta, come era stato per colui che aveva donato il fuoco all'umanità. La sua ribellione alla volontà di Zeus è dovuta soltanto al suo attaccamento alla vita terrena. Sisifo è l'eroe che si ribella alla morte.
La punizione di Sisifo è il castigo del non-senso, la pena dell'assurdo. E proprio con il sottotitolo "Saggio sull'assurdo", il filosofo e scrittore francese Albert Camus pubblica il suo libro "Il mito di Sisifo" (1942). La vita vale o non vale la pena di essere vissuta? E' questo il vero problema della filosofia. Per Camus la vita è come il castigo di Sisifo: l'uomo si affanna a costruire opere e a cercare una ragione e uno scopo in ciò che fa, ma il tempo corrode tutto e alla fine l'unico esito è sempre la morte. La dimensione costitutiva e più peculiare dell'esistenza umana è l'assurdità: le cose e gli eventi non hanno alcun senso. La giusta risposta di fronte a tale assurdo è la non-rassegnazione, anzi la rivolta (uno dei concetti-chiave della filosofia di Camus). Contro l'insensatezza del mondo l'uomo può e deve avere il coraggio di reagire levando alta la sua voce, la sua protesta; solo ribellandosi, l'esistenza può acquistare un suo significato. In un'opera successiva, "L'uomo in rivolta", con la frase " mi rivolto, dunque siamo ", Camus stravolgerà completamente il "cogito ergo sum" cartesiano.
Questo dipinto di Tiziano raffigura, nell’oscurità della voragine infernale, la fatica del corpo di Sisifo che sconta la sua pena. Il dipinto in esame fa parte della serie di tele che Tiziano realizzò tra il 1548 e il 1549, raffiguranti i quattro ribelli del mito, puniti eternamente nell'Ade: Issione, Tantalo, Tizio e Sisifo. I dipinti erano stati commissionati a Tiziano dalla regina Maria d'Ungheria, sorella dell'imperatore Carlo V, con l’intento di associare ai quattro soggetti delle tele i principi tedeschi che si erano sollevati contro suo fratello, che li aveva sconfitti un anno prima a Mülhberg.
Di queste quattro opere, soltanto due sono sopravvissute, il Tizio e il Sisifo, che attualmente si conservano presso il Museo del Prado di Madrid.
Dal tardo XVI secolo e per tutto il Barocco, questi soggetti saranno molto amati dai pittori che, dipingendo quei corpi nudi dall’anatomia in estrema tensione, dimostravano tutta la loro maestria realizzando le monumentali figure nude, ritratte in scorci complessi e in atteggiamenti sofferenti, tipici della sensibilità barocca.
Questo dipinto mostra bene quelle che sono le caratteristiche tecniche principali dello stile di Tiziano, dove protagonista assoluto è il colore. La scoperta dei pittori veneti consisteva nell'utilizzare come mezzo rappresentativo solo il colore o prevalentemente il colore. Tale scoperta prese il nome di Tonalismo . E' la gradazione di tonalità coloristiche ciò che suggerisce rilievo e atmosfera e plasma le immagini. Più che al disegno, che Tiziano considerava solo uno schema, sono la luce e il colore gli elementi che danno forza espressiva all'opera.
Questa in basso è invece l'interpretazione del mito che ne diede il pittore simbolista Franz Von Stuck, caratterizzata da un'atmosfera densa di mistero e di cupa visionarietà.

Franz Von Stuck, Sisifo, 1920.


Ribelli e rivoluzionari - JAN ROSE KASMIR: LA FILLE A LA FLEUR

Marc Riboud, Jan Rose Kasmir, Washington, 21 ottobre 1967.


Jan Rose Kasmir è una ragazza di 17 anni. Vive nel Maryland e frequenta la scuola. Quella mattina del 21 ottobre 1967 prende l'autobus, ma non per andare a seguire le lezioni. Quel giorno si terranno decine di manifestazioni, in molte parti del mondo, per protestare contro la guerra nel Vietnam, una guerra assurda, in un paese lontano, dal quale molti giovani americani tornano feriti, mutilati o in una cassa di legno. E' priva di senso quella guerra che si vede in tv, che entra nelle case con un orrore senza fine. Quella mattina Jan Rose deve andare a gridare il suo "no" contro quella carneficina.
Il luogo della protesta è a Washington, davanti al Lincoln Memorial. Una protesta pacifica: si sfila, si sollevano i cartelli e gli striscioni, si gridano gli slogan, si canta. Ci sono tante bandiere colorate. Sul palco si alternano discorsi e musica. Sono in 100.000, quella mattina nel West Potomac Park, la maggior parte giovani studenti. Il loro grido è un deciso "no" alla guerra. Jan Rose è una dei tanti, persa nella folla. Ha i capelli tagliati corti, indossa un abito a fiori e l'entusiasmo ribelle della sua giovinezza. Molti dei suoi amici hanno ricevuto la cartolina di chiamata alle armi. La portano con sé nelle tasche. Un pezzo di carta che pesa come un macigno.

Ribelli e rivoluzionari - BACI RIBELLI

    Marco Bertorello, Manifestazione in Val di Susa, Novembre 2013.


Prima di leggere, guardate questa foto. Cosa vedete? Cosa vi comunica?
In questa immagine vediamo una ragazza che abbraccia e bacia con trasporto un poliziotto, anch'egli molto giovane, o meglio la visiera in plexiglass del suo casco. Bastano due elementi per capire immediatamente che il contesto non è pacifico, ma è quello di una contrapposizione tesa tra due schieramenti: i poliziotti sono schierati e indossano la divisa antisommossa, con casco a visiera calata. Dalla parte opposta una ragazza sola, a viso scoperto, senza nessun segno particolare o accessori di abbigliamento che denotino l'appartenenza a qualche gruppo radicale, a parte un piccolo orecchino collocato in una parte insolita dell'orecchio, ma oggigiorno del tutto insignificante. Anzi, il suo aspetto è quello della ragazza comune, innocua, la prima della classe con gli occhiali, le mani da bambina, che si spinge a un gesto temerario, baciando a occhi chiusi e con labbra sensuali un ragazzo, anche lui con il viso pulito, da bravo ragazzo. Il suo gesto pare dettato da uno slancio di tenerezza, corrisposto dagli occhi chiusi di lui, che sembra gustarsi quel bacio inaspettato. E' una foto che sembra la cover di quella che ritrae Jan Rose Kasmir mentre fronteggia con il suo fiore le baionette della Guardia Nazionale a Washington. Ma, mentre in quella foto si era portati immediatamente a simpatizzare per una parte sola, cioè la ragazza, l'unica perfettamente riconoscibile, personificazione della pace e dell'amore contrapposte all'orrore e alla violenza delle armi spianate, qui l'impressione che si ricava è quella della riconciliazione reciproca, della tensione riappacificata, del "facciamo l'amore, non facciamo la guerra".

Ribelli e rivoluzionari - ROCK: MUSICA RIBELLE

    Jim Marshall, Jimi Hendrix brucia la chitarra al Monterey Festival, 1967.


Il rock è stata la grande rivoluzione musicale del dopoguerra, esso stesso simbolo di ribellione per le giovani generazioni.
Questo nuovo genere di musica popolare nasce dall’incontro tra il rhythm and blues dei neri e il country and western dei bianchi, con influenze jazz, blues, boogie-woogie, folk e gospel. L’anno a cui si fa risalire l’origine del nuovo stile è il 1954, quando entrano in uno studio di registrazione Bill Haley, che incide Rock Around the Clock, ed Elvis Presley.
In quegli anni si parla di rock and roll. Le due parole indicano il ritmo della musica e un sottinteso erotico derivante dal blues. Alla sua base, infatti, vi è il blues delle piantagioni e soprattutto quello urbano, che nasce nei ghetti neri delle grandi città americane.

Ribelli e rivoluzionari - SOCRATE

Jacques Louis David, La morte di Socrate, 1787, Metropolitan Museum of Art, New York.


Fin qui abbiamo seguito due sentieri paralleli, dei quali uno si snoda attraverso i miti dell’antichità passati in rassegna tramite alcune interpretazioni pittoriche e l’altro invece attraversa il Novecento, con i suoi personaggi o fenomeni rivoluzionari testimoniati da foto famose.
Su questo duplice percorso, d’ora in poi innesteremo altre derivazioni. In particolare apriamo oggi una piccola rassegna di personaggi storici che, dall’antichità ai nostri giorni, hanno elaborato un messaggio o intrapreso un’azione rivoluzionari, e anche di alcuni eventi storici di tal portata, attraverso il ricorso ad immagini pittoriche. Voglio cominciare da un personaggio che non si è mai ribellato alle leggi, che anzi è morto per continuare a rispettarle fino alla fine e che tuttavia, con la sua vita e il suo pensiero, ha avuto un’influenza rivoluzionaria su tutto il pensiero occidentale: Socrate, il filosofo ateniese del V secolo a.C., che non ha lasciato neanche una parola scritta e ha affidato il suo messaggio esclusivamente all’oralità. Quali sono le novità rivoluzionarie di Socrate? In maniera molto schematica, e con la consapevolezza che non tutti gli studiosi sono concordi, indichiamo quelle fondamentali: