Andres Serrano, Infectious Pneumonia |
Malgrado l’istintiva reazione di repulsione suscitata, la morte è sempre stata un tema frequentato dall’arte occidentale, sia come figura allegorica (rappresentata dall’essere scheletrico dotato o meno di lunga falce o dal teschio come simbolo di memento mori) sia come evento del corpo, mostrato nel suo stato di cadavere (A questo link è possibile un excursus molto veloce sulla rappresentazione della morte nell’arte, intesa nella seconda accezione: https://www.spettakolo.it/2016/03/28/la-morte-nellarte-astenersi-impressionabili/). Dopotutto l’arte sacra cristiana trova gran parte della sua espressione nella raffigurazione del corpo di Cristo, morto sulla croce o deposto sulle ginocchia della madre, e di quello dei santi martiri, sottoposti a orribili supplizi.
Con il tema della morte, d’altra parte, prende familiarità fin dalla sua nascita anche la fotografia, sia come messa in scena (un esempio è l’immagine del finto annegamento di Bayard), sia come cattura dell’estrema sembianza prima della perdita definitiva, nelle fotografie post mortem.
Nelle fotografie di morte, il corpo si mostra come tale, non più come apparenza, come involucro e maschera esteriore di un’interiorità celata. Di fronte al cadavere, la fotografia mette alla prova la sua funzione. Non si tratta di congelare un istante decisivo, perché qui la fotografia ferma ciò che è già fermo, anche se il cadavere resta un’entità ancora sottoposta al tempo, che continua ad agire sulla carne, trasformandola radicalmente.