venerdì 4 novembre 2016

L'uomo e la natura - I PAESAGGI CONCETTUALI DI JOHN PFAHL

John Pfahl, Australian Pines, Fort DeSoto, Florida, 1977.

Se Ansel Adams cercava il paesaggio sublime e incontaminato, l'obiettivo di un altro americano, il newyorkese Jonh Pfahl, è al contrario il paesaggio ordinario e contaminato, “alterato”. Nella sua serie “Altered landscape” (1974 - 1977) esplora gli effetti transitori di materiali disparati collocati all'interno di contesti paesaggistici come deserti, coste e foreste. Egli non si limita a riprendere un'immagine ma, giocando con le ambiguità dello sguardo e della prospettiva, interviene a modificare il paesaggio prima di ritrarlo.

giovedì 3 novembre 2016

L'uomo e la natura - La "wilderness" di Ansel Adams

Ansel Adams, Monolith, The Face of Half Dome, Yosemite Valley, California, 1927.

Ansel Adams raccoglie e rifonda l'eredità dei grandi paesaggisti americani dell'Ottocento, come William Henry Jackson, Carleton Watkins e Timothy O'Sullivan, interpreti di quel sentimento della wilderness quale elemento identitario della nazione americana, che porta lo sguardo del fotografo a immortalare la maestosa e incontaminata natura dell'Ovest. Nell'epoca di grandi sconvolgimenti e profonde tensioni che caratterizzano la società statunitense della prima metà del XX secolo, il californiano Adams teorizza e porta avanti il suo credo: “Più bellezza nella mente, e più pace nello spirito". Solo il ritorno alla natura può redimere un mondo pericolosamente estraniatosi dalla sua bellezza e restituire quell'incanto primitivo cancellato dal progresso.
Difesa della dignità della fotografia quale “estensione dell'arte moderna” e conservazione dell'ambiente sono le missioni che Adams porta avanti per tutta la vita. La bellezza primordiale ed eterna dell'Ovest offre al fotografo di San Francisco un rifugio sicuro dalle tragedie del Novecento, una costante sorgente di ispirazione e di rinnovamento spirituale, perseguito attraverso un'intensa e intima relazione personale con la natura. Alla critica di Cartier-Bresson secondo il quale "in un mondo che va in pezzi c'è ancora chi fotografa le montagne!", con il conseguente giudizio di inutilità e di estraneità delle creazioni che si richiamano a un'estetica purista, Adams risponde che "in una scena naturale c'è altrettanto valore sociale che in un corteo di scioperanti, perché la sua bellezza ha un potenziale umano intatto che è un bene universale".

mercoledì 2 novembre 2016

L'uomo e la natura - OLD WILD WEST. TIMOTHY O'SULLIVAN

Timothy O’Sullivan, Echo Canyon, 1869.


Nel 1867 il fotografo Timothy O'Sullivan (1840-1882) accompagnò Clarence King, geologo del Geological Exploration of the Fortieth Parallel (comunemente conosciuto come Fortieth Parallel Survey) in una spedizione, finanziata da fondi federali, nel lontano west, dalla California al Wyoming.
O'Sullivan, che aveva iniziato come apprendista negli studi di New York di Matthew Brady, si era distinto come fotografo di guerra nel corso del sanguinoso conflitto civile. Clarence King, oltre che geologo e alpinista, era anche un intenditore d’arte.
La spedizione incontrò non pochi ostacoli: malaria, fiumi insidiosi, impervi passi di montagna ghiacciati. Ma, in condizioni spesso disumane, O'Sullivan riuscì a scattare fotografie incomparabili, divenute leggendarie. Si tenga presente che le grandi lastre al collodio venivano sviluppate sul posto, in pochi minuti (mentre le stampe all’albumina vennero eseguite in un laboratorio fotografico di Washington dopo la conclusione della spedizione). Un secolo più tardi Ansel Adams osserverà che, nonostante queste difficoltà, nessuna fotografia moderna riesce a trasmettere lo stesso stato d’animo di queste nobili scene.

martedì 1 novembre 2016

L'uomo e la natura - OLD WILD WEST. CARLETON WATKINS

Carleton Watkins, El Capitan, Yosemite Valley, Calif., 1865 ca.
La parola inglese per rendere il concetto di paesaggio è “landscape”, che combina la parola land (terra) con un verbo di origine germanica, scapjan/shaffen (trasformare, modellare): quindi “terre trasformate”. Il landscape è cioè prima di tutto una costruzione culturale, un processo di rappresentazione, organizzazione e classificazione dello spazio. In esso convergono le aspettative e le relazioni di una determinata comunità.
Il paesaggio non è dunque uno stato d’animo individuale, una rappresentazione spirituale, la natura che si rivela esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento. Il paesaggio cioè non è un riferimento astratto e generico, un dato puramente estetico e psicologico.
Non esiste, inoltre, un paesaggio in senso oggettivo e indipendente da un osservatore e dall’azione esercitata dall’uomo. Il paesaggio è sempre un prodotto dell’intervento degli individui e delle comunità, che non si limitano a modificare l’ambiente in senso fisico attraverso la trasformazione del territorio, ma anche attraverso la costruzione di rappresentazioni simboliche complesse.
Lo spazio si definisce come prodotto sociale perché subisce un processo di trasformazione causato dall’agente culturale, dove la natura si caratterizza come un mezzo, la cultura come un agente di trasformazione e il paesaggio culturale come il prodotto finale.