sabato 8 aprile 2017

Follia - La follia del sognatore: Don Chisciotte della Mancia

Il momento di passaggio verso un radicale cambiamento della concezione della follia si ha tra il XVI e il XVII sec., quando in letteratura Cervantes e Shakespeare mostrano l’essere umano alle prese con nuovi ordini sociali, politici, simbolici. Il Don Chisciotte del primo e il teatro del secondo fanno della follia la metafora privilegiata del disordine del mondo. Una follia che è, a differenza di quella rinascimentale, senza speranza di rimedio e guarigione.

Don Chisciotte, illustrazione di Paul Gustave Doré

Come si sa, il Seicento è il secolo della crisi. Si tratta di un'epoca afflitta da innumerevoli calamità: dall'imperversare di guerre devastanti alle crisi economiche (che determinano un aumento della povertà e delle tensioni sociali) alla recrudescenza del flagello della peste. Il senso di minacciosa instabilità dell’individuo è inoltre acuito dalla coscienza sempre più diffusa delle implicazioni della teoria copernicana. Sono sconvolte gerarchie secolari: la terra non è più al centro dell’universo, i mondi sono molteplici. L'uomo, svincolato da un ordine divino, diventa il luogo del disaccordo e della lacerazione tra forze contrastanti.

Nel Don Chisciotte (1605-15) la follia si configura come fuga dalla realtà e totale alienazione nei deliri dell’immaginazione. In quello che è il primo grande romanzo della modernità, il tema della follia è associato alla decadenza storica della cavalleria. Segna insomma il tramonto di un’epoca.


Don Alonso Quijano, modesto hidalgo di campagna schiacciato tra la grande nobiltà e la ricca borghesia dedita ai traffici con il Nuovo Mondo, reagisce alla perdita di ruolo sociale e alla caduta di senso e di ordine riempiendo quel vuoto di un sogno eroico. Don Chisciotte crede fermamente di combattere per il bene e la giustizia in un mondo che invece non ha alcun bisogno di lui. Il deserto e la desolazione caratterizzano infatti gran parte del paesaggio delle sue avventure. La genesi della follia sta proprio in questa scissione a priori tra idea e realtà che rende velleitaria ogni affermazione di valori.
Don Chisciotte tenta di riportare in vita il codice etico-comportamentale dei cavalieri erranti: il suo atteggiamento contrasta perciò con i valori, le parole e le azioni di coloro che incontra, innescando una serie pressoché infinita di episodi al limite del grottesco.


Quello che più turba, ma aiuta anche a capire la natura della follia di don Chisciotte, è la lucida coscienza del proprio autoinganno. In don Chisciotte, il rapporto tra illusione e realtà è infatti mediato da un «volontarismo della pazzia», che costituisce l’unico modo di dare un senso alla vita. Perciò la follia del cavaliere errante non si scarica nel segno comico della risata liberatoria, ma esprime valenze più complesse, che lambiscono il tragico.
Nella seconda parte del romanzo, la volontà di credere di don Chisciotte s’incrina sempre più e la pazzia cambia segno. Un duca e una duchessa, per farsi beffe di lui, gli costruiscono intorno un mondo a misura della sua follia: in altre parole, organizzano uno scenario per le sue imprese. La follia qui come in Amleto, si lega al teatro, all’illusione, all’inganno.
Al continuo scontro tra realtà e illusione subentra ora una nuova dimensione più ambigua del reale, in cui la distinzione tra essere e apparire perde consistenza. Questa follia esprime bene la visione della vita come artificio che sarà tipica dell’età barocca, in cui è difficile distinguere il vero dal falso, e la coscienza dell’uomo si smarrisce.


Don Chisciotte vive immerso nel suo mondo, un po' leggendario e un po' folle, in cui lui non è Don Alonso (suo nome di battesimo) ma, appunto, Don Chisciotte della Mancha, cavaliere errante che non sottostà alle leggi del mondo civile ma a quelle antiche della cavalleria, nemico giurato di Mori, stregoni e giganti in nome della sua amata Dulcinea, imperatrice di Castiglia e della Mancia. Ma l'Hidalgo condivide l'ambiente fisico del suo mondo con il mondo del senso comune, in cui egli è solo un nobiluomo di campagna troppo dedito alle sue fantasiose letture, innamorato di una povera contadina, frequentatore di osterie che crede castelli, avversario di mulini a vento che crede dei giganti, attaccabrighe che importuna pastori e viandanti che crede Mori e nemici vari.
Il punto centrale, allora, è che Don Chisciotte interpreta il dato di fatto secondo un codice tutto suo, che appartiene a un mondo e a un tempo totalmente altri rispetto a quelli a lui contemporanei. Coerente con la sua logica cavalleresca, il cavaliere errante riesce a mantenere in piedi l'unità del suo mondo, che è finto e vero nello stesso tempo.


Don Chisciotte, allora, per l'uomo comune del suo tempo è un pazzo. Ma nella sua follia, in realtà, il nobiluomo persegue logicamente la sua dialettica cavalleresca. L’ideale eroico è incompatibile con la realtà prosaica. Ma ciò non significa che la realtà ha ragione e il cavaliere torto: la sua follia, infatti, conserva una tensione utopica senza la quale l’esistenza perde senso.
Si potrebbe, da un certo punto di vista, affermare che lo strampalato eroe rappresenti il primo uomo moderno, colui che emerge dalla frattura che si è venuta a creare tra individuo e società; colui che rivendica l'esistenza di un mondo personale e privato, benché fantastico, e la possibilità di seguire valori e punti di riferimento suoi propri, diversi da quelli del resto della società.
Cervantes era senza dubbio un realista e un empirista; egli non mira a celebrare l'ingegno e l'ardore del nobile eroe, ma a denudare l'insensatezza di una classe sociale vecchia e fuori dal mondo, ancorata ad un passato ormai dissolto e sorda al cambiamento richiesto dal nuovo ordine sociale.
Lo stesso Cervantes nell'introduzione dell'opera dichiara apertamente i suoi intenti polemici nei confronti dei “poemi cavallereschi”, rei di dare alla testa ai loro lettori. Ma se è incontestabile che per Cervantes Alonso Quijano sia un folle alienato dalla realtà per le assidue letture di fantasiosi racconti e non veda in lui granché di eroico, è altrettanto evidente che nel corso del tempo il personaggio si sia ribellato al giudizio del suo creatore.


Ora, la prima fortuna del Chisciotte fu quella che lo stesso Cervantes si augurava: il cavaliere errante faceva ridere a crepapelle popolino e critica dotta, per l'inclemente descrizione, e derisione, di un umile nobiluomo stralunato, tanto che divenne in breve personaggio di teatri e farse popolari e addirittura oggetto di sequel apocrifi. E' nel XVIII secolo che Don Chisciotte comincia la sua personale rivincita sul suo creatore: è il tempo in cui i lettori del Chisciotte (in Spagna come nel resto d'Europa) iniziano a percepire un nuovo messaggio dietro la satira; Schelling ci vide, forse per primo, la lotta “del reale con l'ideale”, elevando il Don e compatendo il materialista e grossolano Sancho.



Il romanticismo assume l'Hidalgo come eroe programmatico: l'uomo che si oppone alla dittatura del reale volando sulle potenti ali della fantasia, e l'eroico prezzo che è chiamato a pagare è la solitudine e l'incomprensione che è riservata al genio. La pazzia, nella mentalità romantica, è del resto il grimaldello con cui superare l’esistente e dunque il sale del vero artista, che attraverso la propria irrazionalità marca la distanza dal mondo borghese in cui è condannato a vivere.
Dal Romanticismo ai giorni nostri, Don Chisciotte ha mantenuto la sua ribellione all'autore, ed è ancora visto come l'eroe che si oppone alla fredda realtà, animato da nobili slanci ideali:




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