lunedì 24 settembre 2018

IL POPOLO CHE AVANZA. Rappresentazioni della massa in rivolta



La fotografia e le immagini cinematografiche e televisive ci hanno abituato a scene di rivolte e manifestazioni popolari (operaie, contadine, studentesche, partitiche, movimentiste), nelle quali abbiamo la rappresentazione di una massa collocata in una strada o in una piazza che avanza verso lo spettatore. Ma questa iconografia ha inizio in pittura. La raffigurazione della folla compatta, ripresa frontalmente, mentre marcia incontro all'osservatore, ha origine con i movimenti rivoluzionari del XIX secolo. Il suo potere iconico non si limita a documentare un fatto accaduto, ma è in grado di coinvolgere lo spettatore, di farlo sentire partecipe del movimento, di spingerlo a condividere l’ideale di redenzione dell’umanità e di proiettarlo nel futuro che è chiamato a realizzare. Questo genere di opera d’arte pertanto, con la diffusione della comunicazione di massa, cessa di essere un oggetto destinato esclusivamente ai musei o alle collezioni private e si trasmuta in immagine, in medium dotato di un grande potere di evocazione e seduzione.


La libertà guida il popolo di Eugène Delacroix
Questo dipinto rievoca le “tre gloriose giornate" del luglio 1830, nelle quali il popolo parigino insorse detronizzando il reazionario re borbone Carlo X. Il quadro vuole infatti ricordare ed esaltare la lotta per la libertà dei parigini e per questo è diventato un quadro-manifesto, simbolo del Romanticismo e delle sue aspirazioni.

Eugène Delacroix, La libertà guida il popolo, 1830, Parigi, Museo del Louvre.


Le torri della cattedrale di Notre-Dame intraviste sullo sfondo indicano l'ambientazione geografica dell’avvenimento. Sulle barricate una donna con il berretto frigio e a seno scoperto, stringendo nella destra il tricolore e nella sinistra il fucile, incita il popolo a seguirla e avanza verso l’osservatore per invitarlo ad ammirare le virtù eroiche del popolo parigino e ad unirsi alla sua causa. Qualcuno considera quest’opera il primo quadro politico nella storia della pittura moderna, da cui emerge l'ideologia liberale dei giovani romantici, basata sul mito della partecipazione corale del popolo e della comunanza di ideali che supera le discriminazioni sociali. Benché la rivolta del 1830 sia stata esclusivamente borghese, Delacroix raffigura invece le diverse classi della società, unite insieme nella lotta comune e rappresentate nei personaggi che compaiono nel dipinto: il popolano, il militare e il borghese (l'uomo con il cilindro, probabile autoritratto dell'artista). Per Delacroix, come per tutti i romantici, la libertà è essenzialmente lotta contro la tirannide, una libertà in nome della quale si uniscono in lotta proletari e borghesi.
La donna con la bandiera ha un carattere di allegoria: indica la patria e insieme la libertà. È una figura classica, ispirata alla Nike o alle divinità greche (ricorda infatti la Venere di Milo, scoperta nel 1820). Ha una posa fiera ed esortatrice, è possente e statuaria anche se rappresentata in un movimento impetuoso. È a metà tra la dea e la donna del popolo; è una figura irreale, indifferente alla morte e alla sofferenza che le sta intorno. Appartiene al mondo degli ideali ed è lei che tiene unito e guida il popolo verso la libertà. Questo personaggio costituisce il primo tentativo di proporre un nudo femminile in abiti contemporanei, ma visto che la materia era troppo delicata Delacroix superò il problema attribuendo alla fanciulla una funzione allegorica e classicheggiante, anche se non si può tralasciare la portata eversiva del fatto che tiene in mano un fucile e la bandiera tricolore, che sono elementi realistici.
Anche gli altri personaggi sono simbolici. C'è il gendarme con il berretto blu, il rappresentante della borghesia e quello del popolo. Davanti a loro c'è il ragazzo che guarda la libertà, simbolo di fede negli ideali, e a destra il bambino che impugna due pistole rappresenta il coraggio. In primo piano la morte, raffigurata nei cadaveri. Tra i personaggi non c'è dialogo, sono tutte figure isolate, ritagliate, che sottolineano il loro carattere allegorico.
I riferimenti formali alla Zattera della Medusa di Géricault sono innegabili: composizione piramidale, disposizione dei due uomini caduti in primo piano, calzino sfilato del cadavere di sinistra, figura culminante che agita qualcosa.

Jean Louis Théodore Géricault, La Zattera della Medusa, 1818-19, Museo del Louvre, [Public domain], via Wikimedia Commons.


Come ne La Zattera, anche qui lo sfondo è instabile, fatto di travi e barricate e da questa instabilità si sviluppa il movimento della composizione. Ma, rispetto all'opera dell'altro grande artista, amico di Delacroix, c'è qui un rovesciamento del movimento, che anziché sfondare in profondità come nella Medusa, si dirige in avanti verso il primo piano, investendo lo spettatore. Ne La Zattera l’uomo che fa da vertice alla piramide guarda verso l’orizzonte interno al quadro, ne La Libertà che guida il popolo il vertice della piramide, la donna con la bandiera, guarda verso lo spettatore. Questa rotazione ribalta completamente il senso del contenuto. Ne La Zattera il messaggio è quello di un pessimistico ritorno al passato (è il clima del 1818, quando, dopo la caduta di Napoleone, la Restaurazione ha significato per la Francia la perdita di una Rivoluzione e di un Impero e il ritorno alla monarchia borbonica, e il naufragio della Medusa è la metafora del naufragio della Francia e delle idee rivoluzionarie di libertà, uguaglianza e fraternità); ne La Libertà che guida il popolo, invece, il messaggio è ottimista, perché i parigini sono ritornati sulle barricate, a lottare nuovamente contro la tirannide e in nome della libertà.
Nel quadro di Géricault lo spettatore è portato a guardare nella stessa direzione verso la quale guarda l’uomo che agita il panno, cercando una possibile salvezza. Ma non vede nulla all’orizzonte. Il quadro, quindi, gioca sul dubbio per ispirare ansia ed angoscia. Nel caso de La Libertà che guida il popolo la donna guarda verso lo spettatore. Conduce la sua marcia per coinvolgerlo nella sua azione. Il quadro ha quindi una funzione esortatrice tesa ad ispirare sentimenti di forza e di giusta ribellione. Tutto ciò che vi è di classico nel quadro di Géricault scompare in quello di Delacroix: non più corpi illuminati e anatomicamente ben modellati, ma un profilarsi delle figure in controluce su un fondo fumoso, non più corpi avvinghiati ma isolamento delle figure principali che emergono dall’assieparsi confuso delle altre. E’ importante inoltre come Delacroix non descriva un popolo come massa anonima e indistinta, ma come un insieme di individui consapevoli e condotti all’azione violenta dal proprio ideale di libertà.
La modernità di quest'opera, che ne connota la novità storica, è la sua aderenza alla storia contemporanea. L'artista non ha tratto spunto da episodi gloriosi del passato, classico o medievale, ma dai fatti del suo tempo. L’organizzazione del paesaggio è immaginaria e l’opera è a metà tra allegoria e realtà, fonde elementi fantastici e personaggi reali. Le zone in ombra e quelle illuminate si rincalzano, interrotte da vivaci note di colore: il giallo delle vesti della Libertà, il rosso della bandiera, il bianco della camicia del caduto. Da questo punto di vista, si noti in questo quadro la predominanza del colore sulla linea (al contrario della pittura neoclassica). Proprio questo uso del colore influenzò moltissimo sia la pittura impressionista che quella post-impressionista.
Per approfondire, si rimanda a questo video: https://www.youtube.com/watch?v=qw-3cjBmgL0

Honoré Daumier, La rivolta, 1860c., The Phillips Collection, Washington – Flickr

Theophile Alexandre Steinlen, Le Chambard socialiste n° 14, 17 aprile 1894 - Non ho trovato fonti free. Se si può, altrimenti fa nulla.

Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo
Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo (1899-1901) è una delle opere che più hanno segnato il XX secolo, non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello socio-politico e culturale, sintesi iconografica di tutti i movimenti operai del Novecento e dell'irrompere nella storia di una classe sociale che rivendica con orgoglio la propria identità e il proprio ruolo nella storia. Poche opere (la Scuola di Atene, la Gioconda, Guernica) hanno subito, così tanto e così a lungo, riproduzioni e manipolazioni di ogni tipo come questa tela di sedici metri quadri, che nel 2010 ha “traslocato”, con strascichi di polemiche, dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano al neonato Museo del Novecento.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato (Il cammino dei lavoratori), 1901, Milano, Museo del Novecento.

Il quadro è frutto di un lungo iter progettuale, durato dieci anni, costituito da una lunga serie di studi e di opere compiute ispirati a scioperi e manifestazioni di protesta da parte di contadini e lavoratori. Le due tappe fondamentali di questo percorso sono gli Ambasciatori della fame (1892) e Fiumana (1895-96). La lunga elaborazione significò per l’artista una maturazione non solo intellettuale e sociale, ma anche compositiva e tecnica. Il dipinto è considerato il manifesto dell'impegno sociale e umanitario del pittore, fiducioso nel progresso sociale e convinto che l'artista avesse il compito di educare la popolazione, elevandola spiritualmente e culturalmente tramite l'arte. La sua fede nel progresso della storia però non lo tenne lontano da un destino tragico. Nel 1902, l'accoglienza negativa di quello che l'artista riteneva il suo capolavoro e la sua missione, cioè Il Quarto Stato, lo gettarono in uno stato di profonda depressione, che lo fecero ritirare per alcuni anni. Quando nel 1904 sembrava che per il pittore si aprissero nuove speranze, la morte della moglie per parto lo fece ripiombare nella più profonda disperazione, tanto che il 14 giugno del 1907 si tolse la vita a soli 39 anni, impiccandosi nel suo studio di Volpedo.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, La Fiumana, 1895-96, Milano Pinacoteca di Brera, [Public domain], attraverso Wikimedia Commons


Gli ultimi decenni dell’Ottocento furono segnati da manifestazioni di protesta contadina e operaia. Pellizza seguì da vicino queste vicende. Ambasciatori della fame è il primo tentativo di ambientare la rappresentazione di uno sciopero a Volpedo, paese natale dell’artista, in Piazza Malaspina, calandolo così in una realtà agricola e in un tempo e in un luogo determinati. Fiumana rimedita l’impianto compositivo di Ambasciatori della fame per costruire un rapporto più ravvicinato tra i personaggi raffigurati e lo spettatore. Il pittore perfeziona pertanto la visione frontale e aumenta il numero e le dimensioni delle figure. Il ragazzo sulla destra viene inoltre sostituito da una donna con un bambino in braccio. Riprendendo lo studio della pittura antica, unito a un perfezionamento continuo della tecnica divisionista (piccole pennellate con accostamento di colori diversi), Pellizza accentua i contrasti cromatici e luminosi e la tensione della scena.
Il Quarto Stato conserva la scelta del punto di vista frontale e il vuoto in primo piano, per far sì che lo spettatore abbia l’impressione di assistere ad un’azione in fieri, un movimento che non ha ancora raggiunto il proprio obiettivo. Il monumentale dipinto, dove le figure in primo piano sono dipinte a grandezza naturale, richiese tre anni di lavoro. La nuova concezione dell’opera si espresse anche in un nuovo titolo, Il cammino dei lavoratori: non più una massa simile ad un fiume in piena, ma una schiera compatta che avanza in modo cadenzato secondo linee di forza ben evidenti, sottolineate non più da contrasti cromatici di tipo espressivo (come avveniva in Fiumana), ma da una nuova armonia di colori dalla prevalente tonalità giallo rosata.
L'opera rappresenta una folla di contadini e lavoratori che avanza verso l'osservatore, emergendo dallo sfondo di un paesaggio indefinito, a voler sottolineare il respiro universale dell’opera. In primo piano, dove si concentra una luce piena e calda, troviamo tre figure, due uomini e una donna con un bambino in braccio, che guidano il corteo. Questo dipinto si distacca dalle precedenti versioni per quanto riguarda il significato: mentre prima ciò che Pellizza voleva comunicare era un movimento di protesta, qui intende celebrare l'affermazione di una nuova classe sociale, il proletariato.
Nella composizione notiamo due blocchi differenti: le tre figure in primo piano e la massa di lavoratori alle loro spalle. Il terzetto colpisce per la fermezza e per la solennità delle posture. La donna con il bambino in braccio ha il volto della moglie di Pellizza, Teresa, e con il suo gesto sembra invitare la folla a seguirla; il movimento del corpo è sottolineato dalle pieghe svolazzanti della veste, che si avvolgono intorno alle gambe come la veste delle antiche statue. Al centro domina la scena quello che probabilmente è il leader, un uomo che avanza tranquillo, con una mano in tasca e la giacca buttata sulle spalle, ed attira la nostra attenzione per il vivido colore rosso del suo panciotto, che contrasta fortemente con il bianco candido della camicia e che lo distingue nitidamente dalla massa. Alla sua destra un altro uomo, più anziano, con la giacca appoggiata sulla spalla sinistra, procede silenzioso e concentrato. Sembra quasi che l’autore abbia voluto mettere in primo piano le tre età dell’uomo.
I contadini sullo sfondo formano una specie di quinta teatrale, poiché sono disposti per la maggior parte sul piano frontale, ma ai lati sono leggermente avanzati; tutti i soggetti discutono tra di loro e compiono gesti molto naturali, a dimostrare il grande studio dal vero che ha compiuto l'autore prima di realizzare quest'opera.
In questo dipinto la tecnica divisionista di Pellizza trova la sua più alta espressione. Nel tentativo di ottenere la massima luminosità possibile, egli concentra nel primo piano una gamma cromatica chiara, con una netta prevalenza di toni caldi, ocra, marroni e rosati, che rendono più vivo il riflesso della luce attraverso l'accostamento di colori, stesi attraverso i piccoli tocchi della tecnica divisionista. Rispetto a Fiumana la rappresentazione della massa non è più indistinta e informe, ma più chiara e definita, attenta a delineare in modo più plastico la solidità dei volumi e a conferire a ogni figura una propria identità. Nel loro abbigliamento abbastanza uniforme, i personaggi presentano diverse possibilità di comportamento e di reazione. Le mani e lo sguardo hanno una funzione essenziale nel caratterizzare le figure. Quelle della fila davanti impiegano le mani in gestualità tutte differenti. Alcune inoltre guardano lontano, altre davanti a sé, altre ancora verso lo spettatore ecc.
Anche lo sfondo, rispetto a Fiumana, è stato ripensato totalmente: invece dell'esteso paesaggio in luce all'estremo limite dell'orizzonte, in Quarto Stato lo sfondo è meno dettagliato per non disturbare l'attenzione dello spettatore. La natura è stata dipinta in una gamma di tonalità scure, sfumate e fredde, e funziona da contrappunto alla piazza calda e assolata, in piena luce. Sul piano simbolico, vediamo dunque la classe operaia procedere da un cupo crepuscolo verso un futuro illuminato e più radioso, il sole dell’avvenire.
In questo quadro tutto contribuisce a rendere l'idea di compattezza e di unione di questa nuova classe sociale: la massa dei lavoratori occupa tutto lo spazio, da un lato all’altro del quadro, senza soluzioni di continuità. Lo schieramento orizzontale delle figure rinvia, da un lato, alla soluzione classica del fregio, dall'altro a una situazione molto realistica, che sembra ripresa direttamente da un episodio di protesta sociale. La compattezza dei personaggi, gli atteggiamenti decisi e l'imponente procedere in avanti verso lo spettatore sono efficacissimi espedienti espressivi atti a creare l'effetto di una massa unica che avanza inesorabile, con chiare allusioni sia al valore di solidarietà sociale, sia alla presa di coscienza della propria forza politica da parte di tanti individui che hanno ormai acquisito una coscienza di classe. L'avanzare non è rapido e violento, ma è sicuro e ineluttabile, con la sicurezza di chi è consapevole del proprio ruolo storico.
La composizione dei personaggi, le relazioni tra le parti e il tutto, ricordano la pittura rinascimentale, in particolare Raffello e le sue Stanze vaticane. Il pensiero va in particolare alla Scuola d'Atene, soprattutto per l'armonia d'insieme, per l’equilibrio e la compiutezza, e per quella particolare ricerca di naturalezza e semplicità a cui l'artista si è tanto dedicato, evidente anche nei disegni preparatori.
Nel 1902 il Pellizza scelse di inviare il quadro all’esposizione di Torino col nuovo titolo Il Quarto Stato, ispirandosi alle pubblicazioni sulla rivoluzione francese e alla stampa socialista, dove si sottolineava l’affermazione, accanto alla borghesia (il terzo stato), del proletariato (appunto il quarto stato). Ma l’opera non ottenne il successo sperato. Successivamente, dopo la morte di Pellizza, l’opera incontrò una enorme fortuna, grazie anche al messaggio sociale di cui è portatrice. Fu acquistato dal comune di Milano nel 1920 per 50.000 lire, grazie anche a contributi di banche, associazioni e privati.
Tramite la riproduzione tecnica le masse operaie poterono appropriarsi dell’opera e farne il manifesto politico del movimento e della lotta di classe. Probabilmente la sua fama non è dovuta al quadro stesso, ma alla sua riproduzione e distribuzione di massa. Il Quarto stato è sopravvissuto alla dittatura fascista e ha mantenuto fino ai nostri giorni un'immensa popolarità. Sembra che anche cent'anni dopo la sua creazione, l'iconografia del quadro conservi ancora una grande attrazione. Esso è stato ripreso in numerosissime pubblicazioni, ed è stato inoltre utilizzato da Bernardo Bertolucci per il suo film Novecento. La distribuzione e diffusione di massa del Quarto stato tramite la sua riproduzione su stampa ha avuto probabilmente una portata mai vista in quell’epoca: ma, come scrive Walter Benjamin, con la sua “riproduzione tecnica”, un opera d'arte perde anche la sua aura. Pellizza aveva lavorato per dieci anni al suo quadro, ma la maggior parte della popolazione non andava a Milano per vedere il quadro al museo. Lo vedeva invece soprattutto in riproduzioni, su cartoline, libri giornali etc.. Così l'opera d'arte perdeva la sua particolarità di unicità e irripetibilità. La riproduzione tecnica del quadro per fini ideologici strappava all’artista il controllo del messaggio dell’opera.
A questi link dei video sull'opera:


La consacrazione iconica del Quarto Stato è segnata anche dalle sue variegate decontestualizzazioni degli ultimi decenni, che sfruttano la rara efficacia comunicativo-evocativa dell'invenzione compositiva di Pellizza: i tre protagonisti in primo piano possono diventare personaggi della politica, dei fumetti oppure tre impiegati che aspettano la pausa caffè, con radicali ribaltamenti di significato:



I Murales di Siqueiros
La rivoluzione messicana fu il movimento armato iniziato nel 1910 (in quell'anno scoppiarono contemporaneamente varie insurrezioni in tutto il paese, guidate da Aquiles Serdan, Pancho Villa, Emiliano Zapata) per porre fine alla dittatura del Generale Porfirio Díaz e terminato ufficialmente nel 1917 con la promulgazione di una nuova costituzione (la prima costituzione al mondo a riconoscere le garanzie sociali e i diritti ai lavoratori), anche se gli scontri armati proseguiranno fino alla fine degli anni venti. Molti volontari accorsero da tutto il mondo per combattere questa nuova rivoluzione che sembrava esprimere il mito del conflitto di classe dei poveri contro i ricchi e quello della lotta contro la tirannide.
La nascita del muralismo messicano si colloca in questo contesto storico. Artisti come Diego Rivera, Josè Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros fanno irrompere nelle loro opere dipinte sui muri degli edifici delle grandi città le masse contadine e operaie, la loro storia e le loro radici culturali, che affondano nella recente storia coloniale e soprattutto nelle cultura precolombiana.
Questi artisti credono in un'arte collettiva, con una funzione comunicativa ed educativa e che possa essere goduta da larghi strati di società: non a caso essi collocano le loro opere, che hanno dimensioni enormi, in luoghi pubblici molto frequentati. Per questi artisti, inoltre, l'arte è un'arte sociale, in grado di contribuire alla crescita di un paese e della sua cultura.
Viene individuata l'esistenza di un'identità culturale messicana (mexicanitad) latente, che attraversa tutte le epoche, manifestandosi nell'arte, nelle tradizioni popolari, nelle espressioni culturali e tradizionali degli abitanti della regione. Per questo i temi principali dei murales riguardano le civiltà precolombiane, la conquista coloniale spagnola e il culmine dell'era moderna, raggiunta con la Rivoluzione messicana del 1910.
La rivoluzione del 1910 ha un ruolo fondamentale nel disvelare questo spirito messicano, che diverrà poi il nucleo centrale per la costruzione di un'identità nazionale.
David Alfaro Siqueiros ( 1896-1974 ) non è solo pittore ma uno dei massimi protagonisti del cambiamento sociale messicano; organizzatore sindacale e politico, lotta insieme a Zapata per la liberazione del Messico dall'usurpatore Victoriano Huerta (nel 1914) e dopo essere stato a Parigi, dove incontra Rivera, e in Italia, ritorna in patria nel 1922.
È in questo periodo che insieme a Rivera e Orozco nasce la pittura murale messicana. Nel famoso Appello agli artisti d'America del '21, Siquieros proclama la necessità che l'arte, con la potenza delle immagini, possa parlare direttamente alle masse popolari, capaci di trasformare la società, e quindi le opere non saranno più nei musei, luoghi riservati a una ristretta cerchia di persone. L'arte verrà portata per le strade, nei palazzi pubblici e in tutti quei posti dove può essere vista dal popolo che lavora, cercando un'integrazione tra arte e architettura. Anche Rivera sogna un’arte nuova, completamente differente da quella europea, che riesca a esprimere a pieno la vera essenza del Messico, la mexicanidad, sorta di malinconico orgoglio ribelle mai domo. La nuova arte deve avere una funzione educativa, sociale e rivoluzionaria, e pertanto deve essere visibile a tutti. Questo non significa che gli artisti scelgono uno stile realistico in senso fotografico; al contrario, molti dei loro murales sono percorsi da una tensione espressionista o visionaria, evidente nella deformazione dei tratti fisici, nell'uso di colori forti e stridenti e nelle associazioni impreviste.
I murales messicani sono opere di grande impatto popolare, di forte potere educativo e spirituale, in diretto rapporto con le radici culturali del paese: pur avendo i vari artisti muralisti alle spalle formazioni personali e culturali diverse, che ingenerano talvolta vivaci scontri all'interno del movimento, nel Muralismo sfocia un linguaggio sostanzialmente omogeneo, fortemente espressionista, di forte cromatismo e grandiosità compositiva.
Nel 1923 Rivera e gli altri artisti militanti fondano il sindacato dei tecnici, pittori e scultori. Nel manifesto degli artisti iscritti al sindacato emerge chiaramente la loro concezione dell’arte, la stretta connessione che essa doveva intrattenere con l’azione politica e il loro fervore nazionalistico per l’arte messicana e l’orgoglio per le sue origini precolombiane: «[L’arte] messicana è grande perché nasce dal popolo; è collettiva e il nostro stesso obiettivo estetico è di socializzare l’espressione artistica e di distruggere l’individualismo borghese. Ripudiamo la cosiddetta arte da tavolozza e tutte quelle forme artistiche che scaturiscono dai circoli dell’ultraintellettualità, perché essa è essenzialmente aristocratica. Salutiamo l’espressione monumentale dell’arte, perché quest’arte è di proprietà pubblica». Monumentalità e dinamismo caratterizzano questa nuova arte muralista. Essa inoltre trasforma il pubblico consumatore dell’arte, tipico dell’economia capitalista, in un soggetto attivo che si identifica con i contenuti della rappresentazione artistica e in questo modo costruisce la propria identità nazionale.
Le tecniche utilizzate dai muralisti messicani sono inizialmente quelle antiche dell'affresco e dell'encausto. Siqueiros sperimenta nuovi sistemi di colorazione, usando vernici e strumenti industriali; comincia così a utilizzare la pistola a spruzzo e l'aerografo con vernice per auto e resine sintetiche a rapida essiccazione, resistenti agli agenti atmosferici (ideali quindi per murales esterni).
In Messico non si è mai smesso di realizzare murales e questa tecnica è stata dichiarata arte ufficiale della rivoluzione, a prova del successo e della forza del movimento. Nel 1930 circa, il muralismo diviene un movimento internazionale, diffondendosi oltre che in Messico, in Argentina, Perù, Brasile e Stati Uniti.
Dal 1957 al 1964 Siqueiros realizza un'immensa opera murale, Del Porfirismo a la Revolucion, che racconta il passaggio dal regime di Porfirio Diaz alla rivoluzione, dove il primo si presenta come causa della seconda. In esso è rappresentato l'inizio del movimento armato. Figura centrale della rappresentazione del Porfiriato è proprio l'ex presidente, raffigurato seduto mentre calpesta la Costituzione del 1857 e circondato da anziani borghesi con il cilindro in testa e da donne vestite elegantemente secondo la moda parigina del tempo. Seguendo lo sviluppo del murale, lo spettatore passa poi ad osservare la rappresentazione dello sciopero dei lavoratori delle miniere di Cananea nel 1906, che insorgono contro l'ordine costituito. In primo piano si vede Esteban Baca Calderon, leader del movimento di sciopero, che cerca di strappare la bandiera messicana al presidente della compagnia mineraria.

David Alfaro Siqueiros, Dal Porfirismo alla Rivoluzione (Del Porfirismo a la Revolucion) [dettaglio], 1957-1964, Museo Nacional de Historia, Castillo de Chapultepec Mexico City, Flickr.


Dietro di loro l'esercito e la massa dei lavoratori si contrappongono su fronti opposti. Seguono i ritratti degli intellettuali ideologi della rivoluzione mondiale, Marx, Bakunin, Proudhon, Ricardo ed Enrique Flores Magon. Proseguendo lungo il murale, troviamo la rappresentazione del movimento armato.

David Alfaro Siqueiros, Dal Porfirismo alla Rivoluzione (Del Porfirismo a la Revolucion) [dettaglio], 1957-1964, Museo Nacional de Historia, Castillo de Chapultepec Mexico City, Flickr.


Il punto di vista dello spettatore si concentra sugli uomini in primo piano: al centro, un gruppo di soldati rivoluzionari che simboleggiano i tre eserciti rivoluzionari: quello di Zapata, quello di Villa e quello costituzionalista. Dietro di loro, sullo sfondo, ci sono i principali leader politici e militari della guerra: Francisco I. Madero, Venustiano Carranza, Emiliano Zapata, Francisco Villa, Felipe Angeles, Alvaro Obregón, tra gli altri. Questa scena è la più nota di tutto il vasto murale, raffigurata sulle banconote di 100 pesos per commemorare il centenario della Rivoluzione.


La visione storica che emerge è quella che identifica la lotta di classe come il vero impulso del progresso sociale. In base a tale premessa, le organizzazioni di massa, i sindacati e gli scioperi sono fondamentali. La raffigurazione del popolo che avanza in massa e a ranghi serrati verso lo spettatore è ancora una volta la rappresentazione del motore della storia. Questa iconografia proseguirà nei documenti fotografici e cinematografici dei movimenti successivi, arrivando fino ai nostri giorni.

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