lunedì 30 settembre 2019

La schiena nuda delle donne



Un altro stereotipo che ho riscontrato nella rappresentazione pittorica (e fotografica) della donna: il soggetto femminile viene mostrato in un interno, generalmente una camera da letto, seduto di schiena (ci sono anche le versioni "distesa" e "in piedi") e con il corpo nudo o appena ricoperto da un lenzuolo dalla vita in giù.
I quadri composti in questo collage sono solo alcuni delle centinaia di esempi realizzati nel corso soprattutto degli ultimi due secoli, selezionati per la loro omogeneità figurativa. Molte altre varianti, che non sono state incluse in questo collage, mostrano il corpo della donna ruotato a destra o sinistra o inclinato.

Vale la pena elencare alcune osservazioni:

- non esiste un corrispettivo iconografico maschile (o comunque è molto limitato, del tutto irrilevante rispetto alla mole spropositata di rappresentazioni di soggetti femminili). Può, pertanto, concludersi che questo stereotipo si caratterizzi per una connotazione di genere.

sabato 28 settembre 2019

Gli specchi di Duane Michals

Duane Michals, Alice's Mirror , 1974.

Questa sequenza si intitola Alice's mirror ed è di Duane Michals. Come già in Things are queer, anche qui l'obiettivo di Michals è di dimostrare un assunto di base della sua posizione filosofica: la fotografia non riesce a cogliere la realtà. Per assolvere l'obiettivo è consapevole che non basta una sola immagine; occorre una serie ordinata. E anche in questa sequenza, come nell'altra citata, il racconto esprime non un accadere lineare ma uno sguardo che si distanzia, e man mano che si allontana rivela la fallacia della percezione dell'immagine precedente.
Così si sviluppano entrambi questi lavori di Michals: ogni frame della serie nega e riconfigura quello precedente. L'immagine si definisce in quanto rigetta se stessa, abolendo i propri confini e trasformandosi in pensiero.

martedì 24 settembre 2019

Sguardi senza uscita


Se la donna, ripresa di schiena presso una finestra, veniva proiettata dallo sguardo del pittore verso un altrove, sospinta oltre l'ambiente chiuso della casa in direzione dell'infinito, sebbene solo un poco intravisto, guardata da lontano come incarnazione del desiderio di essere "oltre", le donne bloccate presso queste finestre racchiudono e generano emozioni ben diverse.
L'inquadratura, quasi sempre laterale, le inchioda di profilo, o al massimo di tre quarti. Sono sedute, ma non svolgono alcuna attività; il loro corpo trasmette una sorta di apatia e passiva rassegnazione. Il loro sguardo qualche volta cerca l'esterno, ma il più delle volte è assente, rivolto verso un punto indefinito o perso in un vuoto interiore. La loro è una pura presenza fisica, in quanto il loro mondo interiore rimane del tutto inaccessibile.
Sono circondate da un silenzio estremo, quasi metafisico, che rivela un malessere latente.
Il più delle volte hanno un volto inespressivo; la loro postura emana un senso di malinconia e di solitudine, spesso anche di alienazione, intesa come condizione di estraneità e di disinteresse per la realtà circostante.

lunedì 23 settembre 2019

Autoritratti allo specchio. Uno strano rapporto a tre


L'autoritratto allo specchio è un'azione che si sviluppa dalla relazione fra tre soggetti: l'uomo, la macchina fotografica e lo specchio.

Gli autoritratti fotografici allo specchio si possono dividere in tre gruppi.
Il primo comprende quelle fotografie in cui è visibile il soggetto con la macchina, ma non la cornice dello specchio. Si tratta, pertanto, di immagini un po' ambigue. E' lo spettatore che deduce la presenza dello specchio, sebbene la sua superficie costituisca il contenuto dell'immagine. In questo tipo di fotografie, nonostante la presenza della fotocamera che svela l'atto di produzione, predomina l'espressione identitaria del soggetto. L'inquadratura è troppo ristretta, per cui non si percepisce alcuna frattura spaziale.

Maschere senza volto. I ritratti in serie di Andy Warhol

Andy Warhol. Untitled from Marilyn Monroe. 1967

Con Duchamp si realizza il pieno rifiuto dell’arte come rappresentazione: artistico non è il gesto che riproduce l’oggetto sulla tela, ma quello che preleva l’oggetto dal contesto quotidiano e lo riposiziona. Tuttavia, ciò che per Rosalind Krauss segna il transito dal moderno al post-moderno, è un passaggio ulteriore: la moltiplicazione dell’oggetto in più copie. Nella ripetizione in serie si consuma definitivamente il superamento della concezione di originalità dell’opera d’arte che ancora pervadeva le avanguardie storiche, compreso il Dadaismo (Duchamp, infatti, nell’atto di ricollocarlo, firma e titola l’oggetto, distinguendolo dagli altri simili). Ed è ciò che accade con la Pop Art.
L’arte della Pop Art, e quella di Andy Warhol in particolare, abolisce definitivamente la distinzione tra arte e vita e crea l’iconografia della moderna civiltà dei consumi di massa, trasformando in icone vere e proprie gli idoli della società americana, sia quelli commerciali che quelli mediatici, in quanto entrambi oggetti di desiderio e di consumo.

domenica 22 settembre 2019

Di spalle, guardando oltre i vetri



L'iconografia della donna alla finestra è molto varia e complessa.
A partire dal Romanticismo diventa frequente la rappresentazione delle figure di schiena (Rückenfigur), il cui sguardo cerca l'infinito. Nella pittura romantica la finestra diviene una soglia protesa verso l'altrove.
Parole ricorrenti sono “nostalgia” ed “esilio”. L’artista sente in modo drammatico il distacco dalla realtà quotidiana e la tensione nostalgica verso la natura come luogo di unione con l’assoluto. Nei dipinti la finestra è la soglia verso un altrove misterioso, l’infinito cui il romantico anela; è una soglia “immaginifica” alla quale si affacciano figure solitarie che guardano a un mondo esterno affascinante e terrificante, agognato e temuto al tempo stesso. La donna alla finestra di Friedrich  è di spalle, indifferente alla nostra presenza, totalmente immersa nella contemplazione di ciò che è fuori. Proprio questa posizione accentua la tensione visiva tra interno e mondo esterno, dandoci la sensazione di un personaggio che vuole immergersi e fondersi con il mondo infinito oltre la finestra. Ignoriamo il suo viso, il suo mondo interiore si concentra nella sua figura di schiena. Il nostro sguardo non può scrutarla, può solo immedesimarsi in lei e fare propria la stessa malinconica tensione verso l'assoluto.

martedì 17 settembre 2019

L’impronta blu. Yves Klein e il corpo come “pennello vivente”

Yves Klein, ANT 82, Anthropométrie de l'époque bleue, 1960

Negli anni Cinquanta del secolo scorso il corpo è materia espressiva di alcune esperienze artistiche, ma non come oggetto di rappresentazione, bensì come soggetto in azione; non all’interno della tela, ma al di fuori di essa. Ne sono esempi l’action panting di Pollock, le performance di Saburo Murakami (At One Moment Opening Six Holes), che si esibisce perforando di corsa con il proprio corpo una fila ordinata di schermi di carta fissati ad un’intelaiatura di legno, i rotolamenti nel fango di Kazuo Shiraga (altro artista del Gruppo Gutai50) in una lotta del corpo contro la materia.
L’artista francese Yves Klein utilizza il corpo come un pennello umano mentre Piero Manzoni, realizzando le Sculture Viventi, eliminerà completamente la superficie pittorica e trasformerà il corpo della modella in un’opera d’arte vera e propria, firmandolo e facendone una sorta di ready-made umano (firmerà anche personaggi famosi, come Umberto Eco). Il ruolo della modella, in queste esperienze, cambia in modo rilevante: il suo corpo non viene fatto oggetto di rappresentazione, più o meno realistica, ma diviene parte attiva. E il corpo in genere non viene più considerato come mero contenuto dell’opera, ma come mezzo espressivo.

domenica 15 settembre 2019

Con un libro tra le mani, alla luce di una finestra.



A prima vista, si potrebbe pensare: ecco, i soliti interni domestici, in cui la donna è irrimediabilmente confinata nel suo stereotipo di ruolo, alle prese con quelle attività borghesi di evasione che si confanno al suo sesso e che non mettono in discussione la sua secolare reclusione.
Eppure, mi sembra che le cose siano più complesse di così.
Queste donne, per la maggior parte immerse nella lettura, non svolgono un'attività propriamente domestica. Leggono, quindi sono alle prese con storie o argomenti lontani, estranei alla casa e alle mansioni che essa richiede.
Inoltre, le donne non sono sedute presso il focolare, intente a cucire o ad accudire figli (la produzione pittorica è ricca anche di questa iconografia), ma presso una finestra, a volte, addirittura, sedute sulla soglia.
Occupano, pertanto, un luogo liminale, di confine tra un interno (la casa, con il suo carico di incombenze e simbologie che hanno sempre incatenato la donna alla sua funzione sociale di moglie e di madre) e l'esterno, lo spazio oltre la porta di casa, luogo per lungo tempo interdetto al sesso femminile.

Il grido nell'arte



Dio è il silenzio dell’universo e l’uomo il grido che dà senso a questo silenzio.
(José Saramago)

In arte, la rappresentazione del grido è quasi assente nei secoli che precedono il Rinascimento. I parametri classici di ordine e compostezza non permettono l'espressione di sentimenti forti, che sconvolgono l'armonia del volto.
Nel Rinascimento irrompe l'urlo straziante della Maddalena nel Compianto di Niccolò dell'Arca, quello dell'Anteo del Pollaiolo, il grido dell'uomo di Leonardo (il grande studioso delle passioni e dei sentimenti umani espressi nel volto) nei disegni preparatori per La battaglia di Anghiari, lo studio di Anima dannata del Buonarroti, ma si tratta di rari esempi.

sabato 14 settembre 2019

Jackson Pollock. Il quadro come traccia del corpo in azione.

Jackson Pollock al lavoro nel suo studio, 1950. Foto: Hans Namuth

Nell’opera di Jackson Pollock, rappresentante più insigne dell’Espressionismo astratto, il corpo non è oggetto di rappresentazione ma è ‘corpo in atto’. L’opera pittorica finale non reca altro che la ‘traccia’ di quell’azione eseguita dal corpo. Per riprendere la tripartizione peirciana del segno, si potrebbe dire che le tele di Pollock non appartengono all’ambito dell’icona, ma a quello dell’indice. Non contengono, infatti, le immagini riconoscibili di oggetti o individui, ma le tracce lasciate dai gesti dell'artista in movimento intorno alla superficie del quadro.
Si parla, a questo proposito, di action painting, per significare l'arte come dimensione processuale e non come opera finita. Si tratta di una pittura che rifiuta la verticalità e la stabilità del cavalletto per affidare piuttosto l’esecuzione all'ampia gestualità del braccio ed al movimento dell'artista attorno alla tela stesa sul pavimento. Pollock compie un passo decisivo in direzione dell’abbandono della funzione narrativa del segno: il dipinto non viene alla luce come rappresentazione, ma soprattutto come “evento”, attraverso la liberazione di energie interiori e irrazionali che fanno irrompere sulla superficie pittorica l'interiorità e la volontà di esistere dell'artista. L’autore prende possesso della tela con una sequenza di gesti che superano la mediazione del pennello per preservare l’immediatezza dell’impulso creativo: pennellate energiche, spazzolate di vernice, spruzzi o gocciolature del colore direttamente sulla superficie del quadro (dripping), in un movimento ondulato e ritmico, che è stato paragonato alle antiche danze tribali dei nativi americani.

venerdì 13 settembre 2019

Melancholia. La testa reclina sulla mano

"Un dì si venne a me Malinconia
e disse: 'io voglio un poco stare teco';
e parve a me ch’ella menasse seco
Dolore e Ira per sua compagnia"
(Dante Alighieri, Rime 25)


A livello iconografico, la melanconia è un segno visuale caratterizzato da una posa ben definita: “nella postura del melanconico il volto pesa sulla mano, il braccio pesa sul ginocchio, tutto il corpo si inclina, in cerca di un sostegno su cui appoggiarsi” (http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3039#arianna). Nel suo celebre Saturno e la melanconia, Panofsky scrive a proposito di questa postura:
“viene da una certa tradizione pittorica, che in questo caso risale indietro di millenni. Si tratta del motivo della guancia appoggiata a una mano. Il significato primario di questo antichissimo gesto, che si vede anche nei ploranti di certi rilievi su sarcofagi egizi, è il dolore, ma può anche significare la fatica o il pensiero creativo. Per limitarci a tipi medievali, esso rappresenta non solo il dolore di san Giovanni sotto la croce, e la sofferenza dell’anima tristis del salmista, ma anche il pesante sonno degli apostoli sul Monte degli Olivi, o il monaco che sogna nelle illustrazioni al Pélerinage de la vie humaine; il pensiero concentrato di un uomo di Stato, la contemplazione profetica di poeti, filosofi, evangelisti e padri della Chiesa; o anche il meditabondo riposo di Dio Padre il settimo giorno. Non sorprende quindi che un gesto del genere dovesse affacciarsi alla mente dell’artista quando si trattava di realizzare una configurazione che combinasse in un nesso quasi unico la triade dolore, fatica e meditazione; cioè quando doveva rappresentare Saturno e il melanconico soggetto al suo potere”.

mercoledì 11 settembre 2019

Robert Frank e la poesia triste dell’America

Robert Frank, Canal Srteet, New Orleans, 1955

Come ricordare Robert Frank, uno degli sguardi più profondi e poetici del Novecento, colui che ha cambiato radicalmente la fotografia, lo spartiacque dopo il quale non si è più guardato al mondo come prima?
Con una di quelle sintesi che hanno lo stato di grazia, Roberta Valtorta scrive: “Sfugge nel modo più assoluto alla nozione classica di reportage l'opera di Robert Frank, il suo linguaggio ruvido e disadorno, fragile come la società che indaga, uomini e luoghi di una quotidianità anche macchiata di vuoti, di grigi, anche ripetitiva, insignificante, sgravata dalla necessità di "momenti decisivi" e dall'obbligo di un trionfale, smagliante racconto, nel dubbio anzi che vi sia possibilità di raccontare.” (La fotografia dei luoghi come fotografia).

domenica 8 settembre 2019

Il ritratto dell'Umanità. The Family of Man



All’indomani di quella catastrofe che fu la Seconda Guerra Mondiale, al centro della riflessione torna ad esserci l’uomo. Sono questi gli anni in cui prende vita la fotografia cosiddetta “umanista”- quella di Eugene Smith, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau -, che vuole esplorare l’essere umano nella sua quotidianità, nei suoi modi di stare al mondo, con sguardo obiettivo, senza pose e senza artifici, cercando il comune denominatore dell’umanità.
Il manifesto della fotografia umanista è rappresentato da una mostra epocale, organizzata dal fotografo americano Edward Steichen ed inaugurata al MoMa di New York il 26 gennaio 1955. Si tratta di The Family of Man, un progetto grandioso costato tre anni di dura preparazione: 503 fotografie provenienti da 68 diversi paesi, scelte da un gruppo di collaboratori guidati dallo stesso Steichen tra circa due milioni di immagini inviate o trovate in giro per il mondo.

martedì 3 settembre 2019

Lucian Freud. Il peso del corpo

Lucian Freud, Eli and David, 2005-06

Con Francis Bacon, Lucian Freud condivide l’ossessione per il corpo. E infatti questo artista è stato prima di tutto un pittore di corpi, esplorati con una meticolosità che lui stesso definiva da biologo. Il nonno Sigmund, fondatore della psicanalisi, investigava la psiche, il nipote pittore scruta il corpo ossessivamente, con estrema acutezza e padronanza, realizzando soprattutto ritratti di persone, quasi sempre messe a nudo, spingendosi così talmente a fondo da creare talvolta un certo disagio nello spettatore. Con la sua pennellata pastosa e pesante di materia, l’artista dipinge corpi che si propongono a noi con la loro gravità, con la loro pesantezza, che occupano fisicamente la scena senza avere altro merito che quello di esserci.