domenica 3 giugno 2018

Un'ombra infedele

René Magritte, Le Principe d'Incertitude, 1944.

Quella che vedete in questa foto è l'opera “Le Principe d’Incertitude” (1944) di René Magritte.
Una donna nuda proietta un’ombra sul muro di fronte. Ma non si tratta della sagoma che ci aspetteremmo, perché l’ombra che vediamo è quella di un grande uccello in volo, mentre sembra sul punto di ghermire una preda.
Di fronte a questo quadro, lo spettatore non può che rimanere disorientato, in quanto l’immagine spiazza le sue aspettative. E' un cortocircuito sensoriale, una sconvolgente incongruenza, un paradosso visivo.

sabato 2 giugno 2018

“La pubertà” di Edvard Munch

Edward Munch, Pubertà, 1894-95, Museo nazionale di arte, architettura e design, Oslo.

“La pubertà” (1894-95) è un celebre dipinto di Edvard Munch e rappresenta il passaggio delicatissimo e difficile dall’età infantile a quella adulta e alla maturità sessuale.
La composizione è quanto di più essenziale: raffigura un’adolescente, completamente indifesa nella propria nudità virginale, seduta su un letto coperto da bianche lenzuola, in un ambiente anch’esso spoglio e disadorno, immerso in una penombra che accentua il senso di claustrofobia dato dalla verticalità della visuale. Altra protagonista della composizione è la grande ombra che la figura della ragazza proietta sulla parete alle proprie spalle.

Le ombre di Franco Fontana



Franco Fontana è noto come fotografo di paesaggi essenziali, letti e reinventati attraverso la purezza delle forme geometriche, dominati dai contrasti di luce e dai colori accesi, privi di ogni parvenza di tridimensionalità. Un paesaggio, pertanto, profondamente diverso da quello tradizionale, molto più simile a un quadro astratto di epoca contemporanea, fatto di campiture cromatiche, fasce, stratificazioni di piani, da contemplare in silenzio. Questo processo di astrazione delle forme, di cancellazione della profondità spaziale e saturazione dei colori trasforma la natura in un elemento quasi artificiale.

Ombre con le scarpe da tennis. Pol Úbeda Hervàs



Cambiare e non riconoscersi più. E’ questo il messaggio, o meglio, la condizione esistenziale alla base della serie “I’m not there” di Pol Úbeda Hervàs, fotografo spagnolo e direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria di Barcellona.
Scrive l’artista: «Io non mi riconosco più. Queste foto esprimono questo sentimento. Queste immagini sono il mio modo di vedere me stesso ora».
Hervas non spiega la natura delle esperienze che lo hanno costretto a mettere in discussione la propria identità, ma accompagna le sue immagini con queste parole: «Come facciamo ad accettare che stiamo cambiando? Come accettiamo di vedere noi stessi in una situazione in cui non possiamo riconoscerci? Non sto reagendo con la stessa modalità con la quale ho reagito in alcune situazioni. Mi sorprendo di me stesso, non mi riconosco più. Queste foto esprimono questo sentimento. Sono l’ombra nella foto, ma non il mio corpo, perché io ancora non so chi sono. Ma tengo le scarpe per assicurarmi che io sia più di una semplice ombra».

Vivian Maier. In the shadow



La storia di Vivian Maier ormai la conoscete tutti. Con grande abilità ne è stato costruito un mito pop, adatto alla nostra epoca così affamata di favole e leggende che nascono dal basso, che suggellano le storie anonime con il lieto fine della fama, che riscattano ciò che è sempre stato ai margini. La realizzazione del sogno di chiunque crede di celare nei propri cassetti un tesoro nascosto: l’evento fortuito e casuale che finalmente scopre e consegna alla gloria l’opera del proprio talento misconosciuto.
In questa operazione commerciale, il battage ha insistito molto sulla creazione del mito, sulla definizione dell’aura di questo personaggio, come portatore di un messaggio misterioso, inconsapevole interprete e testimone di un’epoca, rappresentante insigne sebbene ignoto del genere della street photography, ecc.

L’incontro con l’ombra. Mario Martinelli



“Col sentimento struggente d'una possibile scomparsa dell’uomo, Martinelli ferma l’ombra del passante e gliela presenta come un altro sé, monumento effimero al miracolo breve dell’esistenza. Si creano così nuove relazioni tra memoria, inconscio e spazio urbano. Nascono giochi di ruolo con la propria ombra emancipata appena scoperta, mentre un apparecchio riprende l’operazione in corso.”
Pierre Restany

Ombre nelle strade delle metropoli: Lee Friedlander

Lee Friedlander, New York City, 1966.

Un fotografo che ha fatto dell’ombra portata quasi un marchio di stile è l’americano Lee Friedlander, le cui complesse strategie formali di visione hanno trasformato la nostra comprensione visiva della cultura americana contemporanea. Friedlander rivolge la sua attenzione al quotidiano, all’ordinario, fotografando anche i dettagli più anonimi della vita di tutti i giorni. Come Walker Evans e Robert Frank prima di lui, egli sonda quello che chiama "il paesaggio sociale americano", vagando per le strade cittadine e scattando fotografie, selezionando dal caos urbano dei frammenti che addensa e ricompone insieme in un’architettura sorprendentemente complessa.

L'ombra che incombe

Olive Cotton, The Photographer's Shadow, 1935.



In molte fotografie, oltre l'ombra del fotografo, è presente anche un altro soggetto, o meglio, “il” soggetto dell'immagine, sul quale in alcuni casi si proietta la sagoma nera dell'autore. L'autoritratto in ombra, cioè, produce una macchia nera sul soggetto.
Spesso quest'ultimo è ripreso di fronte, consapevole della presenza del fotografo. In questo caso l'ombra sembra creare una relazione, un rapporto più o meno chiaro (di amore? di desiderio? di dominio? di minaccia?) tra i due, o una parabola visiva sul contrasto/connubio di oscurità e di luce.
Altre volte, il soggetto è inquadrato di spalle, ignaro della presenza del fotografo che lo incalza, la cui ombra testimonia una sorta di inseguimento, simile a quella del cacciatore nei confronti della sua preda, quasi a ricordarci che il fotografo e il suo sguardo, come quello della macchina, sono sempre presenti in un'immagine fotografica, anche quando non c'è nessuna ombra a rivelarceli.

Jacques Henri Lartigue. Pendant que j’ai encore une ombre

Jacques Henri Lartigue, Pendant que j’ai encore une ombre, 1980.
Jacques Henri Lartigue è un fotografo conosciuto per la leggerezza e spensieratezza delle sua fotografia, che egli cominciò a praticare fin da bambino.
Nelle immagini che ritraggono per lo più i membri della sua famiglia, domina una costante levità, quasi un'assenza di forza di gravità: corpi senza peso, sospesi in aria, nell'atto di correre, di tuffarsi, di spiccare il volo o di scivolare lungo la balaustra di una scalinata.
E' generalmente considerato il fotografo, talentuoso dilettante, dell'età d'oro della Belle Epoque, anche se la sua opera ha goduto, negli ultimi anni, di un processo di rivalutazione, che riconosce, in quella apparente leggerezza, un’attitudine alla malinconia, per combattere la quale Lartigue, fin dall’infanzia, ha orientato ogni suo sforzo a fermare il tempo e a sfuggire al destino effimero d’ogni gioia, isolando gli attimi più felici, salvando dal flusso veloce ed inesorabile del tempo le visioni più divertenti e piacevoli e intrappolandole nelle fotografie. E insieme al tempo, egli fermerà l’essenza stessa del divenire: il movimento.