martedì 28 luglio 2020

Rephotography. Finestre aperte sul presente e sul passato

Hebe Robinson, Echoes of Lofoten, 


I progetti di Found Photography in genere riattualizzano fotografie appartenenti a un passato più o meno lontano, inserendole in nuovi contesti narrativi o concettuali o di altro tipo.
Ci sono progetti che utilizzano photo trouvé in modo singolare. Si tratta di quella che viene definita Rephotography, la quale consiste nel fotografare un paesaggio naturale o un paesaggio urbano nel suo stato attuale e confrontarlo con vecchie fotografie. Le immagini, per lo più, non vengono affiancate, ma in genere sono sovrapposte l'una sull'altra dando luogo a una fusione che mostra lo stesso spazio ma due diverse dimensioni temporali.
 Le finalità per cui la rephotography viene impiegata possono essere varie: alcuni progetti mostrano cambiamenti sociali oppure infrastrutturali o addirittura ambientali; altri semplicemente collocano degli eventi storici nel presente.
Questa pratica ha origini antiche, risalendo addirittura al 1850 con lo scopo di ottenere delle evidenze scientifiche. In particolare, si utilizzava un processo chiamato photogrammetry finalizzato a registrare variazioni negli ambienti ecologici. Anche adesso, benché sia una pratica ormai ampiamente utilizzata in campo artistico, la ri-fotografia viene impiegata per registrare e documentare le variazioni nell'ambiente e ottenere misurazioni accurate che forniscono dati scientifici su erosione, movimento glaciale e altri parametri ambientali.

lunedì 27 luglio 2020

This person does not exist. Il fondo oscuro di una tecnologia moderna



Se fate clic su questo sito https://thispersondoesnotexist.com/ vi troverete di fronte a quello che, a prima vista, vi sembrerà un ritratto in tutto e per tutto.
Penserete dunque che si tratta dell'immagine di una persona che vive ed abita da qualche parte del mondo, una persona che un giorno è nata e ha vissuto una sua storia, che ha una famiglia e delle relazioni. Ma il nome del sito parla chiaro: this person does not exist.
Si tratta, infatti, di ritratti sintetici, molto credibili, elaborati da sistemi di machine-learning, algoritmi alquanto sofisticati che elaborano dati provenienti da archivi vastissimi formati da ritratti veri, milioni di ritratti che anche noi, ogni giorno, affidiamo ai social o ad applicazioni come Faceapp. E, via via, tali sistemi 'apprendono' il modo di sintetizzare e generare ritratti in maniera sempre più perfetta e credibile. 
Qual è la particolarità di questo sito?
Quella che ad ogni refresh della pagina si origina un ritratto unico, che non si ripeterà mai più (come irripetibili siamo noi esseri umani, che tuttavia - a differenza di questi ritratti - preesistiamo alla nostra immagine).
Pertanto, il ritratto che avete sotto i vostri occhi, lo vedete solo voi e nessun altro potrà mai vederlo, a meno che voi stessi non decidiate di salvarlo e condividerlo.
Le immagini offerte da questo sito, dunque, non sono preesistenti e non sono oggetto di condivisione. Non sono salvate in alcun supporto e i ritratti a cui date vita con il tasto del refresh non sono stati visualizzati da nessun altro, prima di voi. Voi ne siete gli evocatori, a guisa di quegli antichi sciamani che facevano apparire le immagini sulle superfici d'acqua, e gli unici destinatari.
Ma possiamo dire di più.

sabato 18 luglio 2020

Fotografare i sogni. Dream Collector di Arthur Tress



Ricordate i vostri incubi ricorrenti di quando eravate bambini? Probabilmente sono sensazioni e immagini che ci portiamo dietro per tutta la vita.
Arthur Tress ne ha fatto il soggetto di una serie di fotografie, dal titolo Dream Collector, realizzata nei primi anni Settanta. In un'epoca dominata dalla fotografia documentaria e dalla ricerca dell'istante decisivo, Tress mette in scena immagini surreali e inquietanti. L'idea era venuta partecipando a uno dei laboratori che l'amico ed educatore per l'infanzia Richard Lewis realizzava ogni anno con dei bambini. Il tema, in quell'occasione, era costituito dai sogni e ai piccoli era stato chiesto di raccontarli e di disegnarli. Fu così che a Tress venne l'idea di usare la fotografia. Dopo aver ascoltato i racconti dei loro incubi, conduceva i bambini in luoghi della città dove potevano trasformare le loro idee in fotografie. The Dream Collector si è evoluto da queste immagini.

giovedì 16 luglio 2020

OMBRE SOSPESE, di Andrea Taschin

Andrea Taschin, Ombre Sospese, 2020

Tra i tanti progetti fotografici realizzati nei mesi di lockdown, uno in particolare ha attratto la mia attenzione, per la sua solidità concettuale, per la sua essenzialità e nello stesso tempo efficacia visiva (e perché tratta del tema dell’ombra, uno dei miei interessi da anni) .
Si tratta di Ombre sospese, di Andrea Taschin.
(A questo link il suo sito: qui)

Di seguito, invece, le mie riflessioni su Ombre Sospese.

L'ombra è un'immagine in negativo di noi, o meglio del nostro corpo che, in quanto formato di massa opaca, è in grado di assorbire la luce. È attaccata ai nostri piedi dalla nascita e ci segue o ci precede senza che ci si possa sbarazzare di lei. E se ciò accade, se la nostra ombra si stacca da noi come nelle favole, allora potrebbe diventare il nostro doppio (Doppelgänger), l’alter ego che ci perseguita, come avviene nella fiaba di Andersen intitolata, appunto, L'ombra, oppure trasformarsi in un folletto dispettoso e riottoso come quella smarrita da Peter Pan.

NOMADELFIA, di Enrico Genovesi

Enrico Genovesi, da Nomadelfia.

Chi di noi, almeno per un giorno, non ha sognato di cambiare vita? Di trovarsi in un mondo nuovo, regolato da rapporti umani diversi; un mondo lontano dal nostro, così contratto dall’ansia del guadagno e del consumo, dove ci è estraneo persino il vicino che abita a due metri di distanza, al di là di una parete tanto sottile quanto impenetrabile?
Ebbene, un mondo così esiste. Ed è qui in Italia, nelle campagne di Grosseto. Si chiama Nomadelfia, un nome composto da Nòmos e Adelphìa e che significa 'la Legge della Fraternità'. Si tratta di una comunità evangelica fondata nel 1948 da un sacerdote, Don Zeno, per accogliere gli orfani e i bambini abbandonati, così numerosi all’indomani della guerra. E a quel tempo si scelse di insediarsi nel luogo che era stato un cupo teatro dell’orrore, il più lontano da ogni Adelphìa: il campo di Concentramento di Fossoli.

All'inizio della storia


C'è una sfera
al centro del mondo
immobile e perfetta.
C'è sempre una sfera
all'inizio della storia.
E c'è un coltello
al margine del mondo
inquieto e invidioso.
C'è sempre un coltello
all'inizio della storia.
Tagliò a metà la sfera
e l'uno divenne due.
Ci sono sempre due
all'inizio della storia.
Una metà è rimasta
al centro del suo mondo
e ha messo le radici
e si è fatta casa.
L'altra metà è partita
navigando per il mare
e ha messo remi
e si è fatta nave.
Adesso c'è il rimpianto
di una lontananza.
C'è sempre un dolore
all'inizio della storia.
Adesso i due si cercano
dai due capi del mondo.
C'è sempre un amore
all'inizio della storia.

L'istante non decisivo. The Present di Paul Graham

Paul Graham, 53rd Street and 6th Avenue 6th, May 2011.

La fotografia è un’immagine fissa. Negli spazi di esposizione in cui normalmente la fruiamo, essa è racchiusa da una cornice, o comunque da bordi che la isolano dallo spazio circostante, consentendole di occupare luoghi discreti, discontinui, dove la dimensione temporale possibile è quella erratica dell’occhio che vaga sulla sua superficie e della mente che cerca, per quanto possibile, di apprestarne una lettura.
Eppure, tra i molteplici contesti in cui fruiamo la fotografia, non sono per nulla rari quelli in cui un’immagine è seguita da un’altra all’interno di una sequenza predefinita, che sia l’album di famiglia, un libro o una mostra fotografici. È un meccanismo immediato della percezione quello di ‘collegare insieme’, di creare concatenazioni, di cercare narrazioni possibili, di immettere il tempo dentro lo spazio delle immagini che si affiancano e si susseguono. Tanto più quando le immagini accostate sono molto simili, sia nell’inquadratura che nel contenuto. Come accade nel lavoro di Paul Graham The Present (2012), che conclude la trilogia cominciata con American Night (Göttingen, SteidlMACK, 2003), proseguita con A Shimmer of Possibility (Göttingen, SteidlMACK, 2009) e che riflette sull'America contemporanea esplorando, al contempo, le possibilità espressive del mezzo fotografico e dei meccanismi di narrazione per immagini.

lunedì 6 luglio 2020

Un dramma all'infrarosso. "Virus" di Antoine d'Agata

Antoine d'Agata, Virus, 2020

Tanti progetti fotografici hanno preso vita durante il periodo dell’emergenza Covid-19, al fine di raccontarlo, di descriverlo, di realizzare documenti e narrare storie. Tutti si sono trovati, chi più chi meno, a porsi la stessa domanda: come mostrare, come rendere visibile il nemico contro cui l’intera umanità stava combattendo la propria battaglia se quel nemico restava invisibile agli occhi umani, talmente minuscolo da introdursi subdolamente nei corpi e colonizzarli, come uno spietato invasore?
E’ stata questa la prima sfida che si è presentata davanti a chiunque si sia posto l’obiettivo di mostrare per immagini cosa stava succedendo: il fronte non era un territorio di confine, né un quartiere strategico. Il campo di battaglia non era uno spazio da conquistare o difendere armi in pugno, ma era lo stesso corpo umano, con la sua fragilità, esposto al contagio di un agente invisibile, che non conosce confini.