martedì 3 settembre 2019

Lucian Freud. Il peso del corpo

Lucian Freud, Eli and David, 2005-06

Con Francis Bacon, Lucian Freud condivide l’ossessione per il corpo. E infatti questo artista è stato prima di tutto un pittore di corpi, esplorati con una meticolosità che lui stesso definiva da biologo. Il nonno Sigmund, fondatore della psicanalisi, investigava la psiche, il nipote pittore scruta il corpo ossessivamente, con estrema acutezza e padronanza, realizzando soprattutto ritratti di persone, quasi sempre messe a nudo, spingendosi così talmente a fondo da creare talvolta un certo disagio nello spettatore. Con la sua pennellata pastosa e pesante di materia, l’artista dipinge corpi che si propongono a noi con la loro gravità, con la loro pesantezza, che occupano fisicamente la scena senza avere altro merito che quello di esserci.



Lucian Freud - Girl with a White Dog - 1950-51 - Tate, Londra
Affascinato dalla carne, che dipinge nelle sue minime sfumature, l’artista lancia uno sguardo spietato sull'umano. Nulla sfugge alla sua indagine: i muscoli flosci, la pelle avvizzita, i seni e i sessi flaccidi. A Freud non interessa la somiglianza con i soggetti reali, ma la verità, per ottenere la quale utilizza come modelli parenti e amici, che sottopone a lunghe ed estenuanti sedute, sotto la luce naturale o quella elettrica del suo studio. Così rappresenta mogli, amanti, amici, sdraiati sui letti o sul pavimento, accasciati su sedie, poltrone o divani, sfiniti, apatici, schiacciati dalla gravità. Dipinge anche sua madre, mentre è intenta a leggere o riposare, senza compiacimento, come al solito, con le macchie sulla pelle e le mani deformate dall’artrite. Da questo punto di vista, è singolare rilevare come, contrariamente ai ritratti dei suoi parenti e amici, quasi sempre sdraiati, addormentati, con lo sguardo basso o perso nel vuoto, quando Freud rappresenta se stesso lo faccia dando alla propria figura un portamento vigoroso, con i muscoli tesi e soprattutto con lo sguardo acuto rivolto verso lo spettatore.

Nude with Leg Up (Leigh Bowery), 1992

Se Bacon mette in scena le convulsioni del corpo, Lucian Freud preferisce esplorare i momenti in cui il corpo si distende e si abbandona, affondando sotto il suo peso. Facendo protrarre a lungo le sessioni di posa, Freud può arrivare a ritrarre i suoi modelli mentre sono sopraffatti dalla noia e dallo sfinimento, immersi nel sonno o nei propri pensieri, avendo deposto la maschera quotidiana di borghese rispettabilità e self control. E nel ritratto del corpo riesce a cogliere il lato oscuro, la spossatezza dell’anima, facendo emergere dal soggetto disteso (far sdraiare le persone doveva essere un vizio di famiglia) non l’inconscio rimosso della psiche, ma quello della carne. Con il nonno Freud ha in comune una grande capacità di penetrazione psicologica, che scava però non nelle parole e nei silenzi che formano una seduta di psicanalisi, ma nelle pieghe di corpi brutalmente esibiti ed interamente esposti alla luce, che non preservano nell’ombra il benché minimo tratto, corpi pesanti, a volte goffi, disarmati della loro identità sociale, presi nella verità sgradevole e sensuale di una solitaria stanchezza.


Quella di Lucian Freud è una ricerca in profondità eseguita sulla superficie dell’epidermide, un’ispezione lenticolare come l’esame preliminare che precede l’autopsia. A questo sguardo investigatore il corpo si presenta come un’inesauribile raccolta di dettagli. Freud non interpreta il ritratto come finestra dell’anima. Ciò spiega come i suoi ritratti, soprattutto quelli eseguiti dalla fine degli anni Cinquanta in poi, raramente cerchino lo sguardo del soggetto ritratto, che invece è quasi sempre annoiato e vuoto o impassibile e chiuso o immerso nel sonno, a indicare il rifiuto della centralità e della funzione significante dello sguardo. Sono altre le parti del corpo a rivendicare il focus dell’immagine, come ad esempio i genitali. Freud spinge fino a un punto raramente raggiunto in precedenza il realismo della rappresentazione di parti nascoste, specialmente maschili, segno di quell’animalità che ricerca nell’uomo. Per questo priva i suoi soggetti di ogni travestimento sociale e di ogni schermo psicologico. Sotto i vestiti di ognuno, nei suoi sogni, nei suoi desideri, è nascosto quel lato animale, pulsionale (il nonno l’avrebbe chiamato libido) che la sua pittura vuole trarre fuori, liberandolo da ogni piega del corpo.

Benefits Supervisor Resting, 1995

La sua pittura è spesso descritta come oscena, ma il taglio che dà all’inquadratura evita ogni compiacimento o intenzione voyeuristica. Nei ritratti che, ad esempio, fa di Big Sue (il cui vero nome è Sue Tilley) nuda, addormentata su divani o poltrone, l’artista dipinge i seni grandi e flaccidi che cadono sulla pancia obesa, la cellulite che marmorizza la pelle, le vene bluastre che si ramificano sulla pelle bianca. Quello di Sue è un corpo eccessivo, traboccante, una natura sproporzionata che lancia al pittore la sfida di essere contenuto nella rappresentazione. L’inquadratura dall’alto, che appesantisce il corpo, e il volto addormentato rendono la figura, nonostante l’eccedenza, fragile e indifesa, privandola di ogni oscenità.

Large Interior. Paddington, 1968-69

Un’inquadratura obliqua caratterizza un altro quadro, Large Interior (Paddington 1968-1969), che mostra una ragazzina sdraiata sul pavimento dello studio del pittore. Si tratta di Isobel Boyt, una delle sue figlie. Il suo corpo sembra schiacciato al suolo e questo movimento contrasta con l’innalzamento vigoroso della pianta. L'intera dinamica della composizione si fonda, pertanto, sullo scontro tra due principi opposti: da un lato, la forza di gravità che inchioda la bambina a terra e fa pendere verso il basso il cappotto appeso; dall'altro, la libertà della pianta, con la vitalità travolgente della sua vegetazione.
Sia Bacon che Freud non cercano di elaborare un’immagine del corpo, bensì adoperano lo stesso sguardo implacabile per rivelarne l’intrinseca vulnerabilità. In Bacon la carne è viva per le ferite inflitte dalle sue lacerazioni e dai suoi eccessi espressionisti. In Freud, sono le tracce del tempo che appaiono indelebilmente sulla superficie della pelle; sono la noia e il logorio fisico e mentale che si leggono negli sguardi vuoti. L’artista non racconta una verità; la mette a nudo, mostrando la gloria dimessa e i segni di disfacimento di corpi isolati, soggetti alla forza di gravità, che appesantisce e schiaccia l’uomo al suolo, ricordandogli la sua natura inesorabilmente mortale.  


Reflection (Self-Portrait), 1985

Painter Working, Reflection (1993)

Blonde Girl on a Bed, 1987

Red Haired Man on a Chair, 1962-63



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