sabato 28 settembre 2019

Gli specchi di Duane Michals

Duane Michals, Alice's Mirror , 1974.

Questa sequenza si intitola Alice's mirror ed è di Duane Michals. Come già in Things are queer, anche qui l'obiettivo di Michals è di dimostrare un assunto di base della sua posizione filosofica: la fotografia non riesce a cogliere la realtà. Per assolvere l'obiettivo è consapevole che non basta una sola immagine; occorre una serie ordinata. E anche in questa sequenza, come nell'altra citata, il racconto esprime non un accadere lineare ma uno sguardo che si distanzia, e man mano che si allontana rivela la fallacia della percezione dell'immagine precedente.
Così si sviluppano entrambi questi lavori di Michals: ogni frame della serie nega e riconfigura quello precedente. L'immagine si definisce in quanto rigetta se stessa, abolendo i propri confini e trasformandosi in pensiero.

In Alice's mirror, una delle sequenze più magrittiane dell'artista, è tutto un rimbalzare di specchi e di mise en abyme (ogni immagine contiene al suo interno quella precedente) che interrogano i confini della relazione tra realtà e immagine di essa. A partire dalla prima, del tutto surreale, ogni singola fotografia si rivela essere il riflesso di uno specchio, situato in uno specchio più grande; la successione è determinata, appunto, dal distanziarsi dello sguardo su un'immobilità fatta di riflessi. Solo alla fine si esprime un'azione: il piccolo specchio, matrice di tutto, viene frantumato dalla mano che lo stringe. Come a dire che la realtà non può essere afferrata. E se si tenta di farlo, ciò che si produce sono solo frammenti che non possono essere ricomposti.
Se nella storia di Lewis Carroll Alice entra nello specchio, in questa sequenza è come se si arretrasse per uscir fuori dall'illusione - che inizia con un'immagine incoerente che accosta una poltrona a un paio di occhiali di ugual misura - e ad ogni passo indietro si ottiene una rimodellazione della percezione precedente.
Il gioco di specchi mette in radicale discussione il primato attribuito allo spettatore dall'immagine di origine rinascimentale, il quale non può più padroneggiare la visione di ciò che vede, in quanto la sua elaborazione di senso è continuamente messa in scacco dal fotogramma successivo. Quella padronanza dell'immagine si fondava sul punto di vista unitario e sincronico attribuito all'osservatore, che poteva così strutturare e 'abitare' l'immagine e il suo senso. La sequenza di Alice's mirror priva lo spettatore di quel punto di vista unitario e coerente perché introduce la durata temporale, l'indietreggiamento dell'inquadratura con relativa struttura a scatole cinesi e, soprattutto, lo specchio, che porta all'interno della superficie ciò che è esterno, dando vita a un continuo rimbalzare di riflessi che frantumano l'unitarietà spaziale e la coerenza delle immagini, introducendo una molteplicità di livelli. Quando più prospettive competono insieme, l'esito non può che essere la frantumazione.
Michals utilizza lo specchio per illustrare un assunto cardine della sua posizione concettuale: la fotografia non è lo specchio della realtà. Se si deroga a questo principio, la conclusione obbligata non può che essere il paradosso.

Anche quest'altra sequenza appartiene a Duane Michals. Si tratta di Heisenberg's Magic Mirror of Uncertainty.


Heisenberg's Magic Mirror of Uncertainty, 1998, di Duane Michals

Nel 1999, French Vogue chiede a Michals di illustrare un articolo sulla fisica quantistica per un numero scientifico speciale della rivista. L’artista, che è interessato a lavorare visivamente con ciò che non è direttamente fotografabile, accetta. D’altra parte è interessato alla fisica e conosce il principio di indeterminazione formulato da Werner Heisenberg, pioniere della fisica quantistica, secondo cui non è possibile prevedere con certezza la posizione o la velocità di una particella, perché tutte interagiscono in modo caotico. Principio che aveva provocato l’obiezione di Einstein e la sua celebre espressione per la quale Dio non può giocare a dadi con l'universo.
Per ‘illustrare’ l’articolo, Michals utilizza uno specchio convesso, acquistato in un negozio di antiquariato a Bath, il quale trasforma e distorce tutto ciò che si riflette sulla sua superficie. Si vede infatti come l’immagine della modella cambi radicalmente ad ogni diversa inclinazione dello specchio, che produce immagini quasi liquide, fluttuanti, prive di ordine e coerenza, indeterminate appunto, fino a scomparire (“Odette non può mai sapere con alcuna certezza quale immagine di sé vedrà riflessa nello specchio”, afferma lo stesso Michals). Nel riflesso finale viene meno qualsiasi accenno alla forma, che sembra essersi trasformata in pura energia.
Ancora uno specchio che, come la fotografia, non riflette la realtà, ma la distorce dandone un aspetto deformato e illusorio. Perché la realtà è sfuggente e non si lascia mettere in nessuna cornice.


Heisenberg's Magic Mirror of Uncertainty, 1998, di Duane Michals


Nessun commento:

Posta un commento