lunedì 30 settembre 2019

La schiena nuda delle donne



Un altro stereotipo che ho riscontrato nella rappresentazione pittorica (e fotografica) della donna: il soggetto femminile viene mostrato in un interno, generalmente una camera da letto, seduto di schiena (ci sono anche le versioni "distesa" e "in piedi") e con il corpo nudo o appena ricoperto da un lenzuolo dalla vita in giù.
I quadri composti in questo collage sono solo alcuni delle centinaia di esempi realizzati nel corso soprattutto degli ultimi due secoli, selezionati per la loro omogeneità figurativa. Molte altre varianti, che non sono state incluse in questo collage, mostrano il corpo della donna ruotato a destra o sinistra o inclinato.

Vale la pena elencare alcune osservazioni:

- non esiste un corrispettivo iconografico maschile (o comunque è molto limitato, del tutto irrilevante rispetto alla mole spropositata di rappresentazioni di soggetti femminili). Può, pertanto, concludersi che questo stereotipo si caratterizzi per una connotazione di genere.


- la donna è rappresentata di schiena, dunque è esposta allo sguardo dell'osservatore, ma non ha nessuna possibilità di ricambiare quello sguardo. La sua è una posizione molto sensuale ma passiva, che soggiace al voyeurismo dispotico dello spettatore. Quest'ultimo è come se spiasse la scena dal buco della serratura, invadendo l'intimità della donna. Se la Venere del Rubens (primo riquadro) interagiva con l’osservatore tramite lo specchio, ben consapevole di essere esposta al suo sguardo, nelle rappresentazioni successive (datate nei secoli Ottocento e Novecento) la finzione mette in scena una donna totalmente assorbita, cioè del tutto ignara della presenza dello spettatore.

- il soggetto rappresentato è inattivo, come sospeso in un'immobilità apatica, immerso nel suo universo interiore, quasi a sottolineare l’impossibilità per lo sguardo che l’osserva, in genere maschile, di penetrarne il mistero. Il corpo è accentrato su se stesso, spesso raggomitolato, in una postura che si raccoglie e si chiude rispetto al mondo esterno. La donna, in queste rappresentazioni, si configura nella sua irriducibile alterità, fatta però di passività e immobilità, isolata nel mondo delimitato dalla camera, dove quello sguardo la confina irrimediabilmente.
In questo stereotipo viene accentuata la portata reificatrice dello sguardo che inquadra il soggetto femminile, facendone un vero e proprio oggetto di desiderio e di godimento estetico, come sembra ribadire il Violon di Man Ray (omaggio alla Bagnante di Valpinçon (1808) del pittore neoclassico Ingres) e che trasforma il corpo di una donna in un violoncello, riprendendo il tema della metamorfosi, così caro ai surrealisti. Il corpo della donna diventa un oggetto, uno strumento da suonare, da toccare e da possedere. L’iconografia dell’odalisca, della schiava vergine rinchiusa nell’harem, d’altra parte, era stato uno dei miti dell’immaginario erotico occidentale nel XIX secolo.

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