domenica 15 settembre 2019

Il grido nell'arte



Dio è il silenzio dell’universo e l’uomo il grido che dà senso a questo silenzio.
(José Saramago)

In arte, la rappresentazione del grido è quasi assente nei secoli che precedono il Rinascimento. I parametri classici di ordine e compostezza non permettono l'espressione di sentimenti forti, che sconvolgono l'armonia del volto.
Nel Rinascimento irrompe l'urlo straziante della Maddalena nel Compianto di Niccolò dell'Arca, quello dell'Anteo del Pollaiolo, il grido dell'uomo di Leonardo (il grande studioso delle passioni e dei sentimenti umani espressi nel volto) nei disegni preparatori per La battaglia di Anghiari, lo studio di Anima dannata del Buonarroti, ma si tratta di rari esempi.

Nel Cinquecento urlano i giganti di Giulio Romano a Palazzo Te, ma è nel Seicento che prorompono le urla della Medusa e dell'Oloferne del Caravaggio. Grida il Prometeo incatenato, da quello del Rubens a quello di Salvator Rosa (in questo articolo ci sono quasi tutti: https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.com/2018/09/personaggi-del-mito-e-della-storia-i.html), grida il Marsia scorticato da Apollo (Guido Reni, José de Ribera, ma soprattutto Luca Giordano ne eseguono diverse versioni), gridano alcune sculture del Bernini come la sua Anima dannata e la Dafne del famoso gruppo scultoreo. Urlano le donne nella Strage degli innocenti di Guido Reni e in quella di Poussin. Nessuna meraviglia. L’estetica barocca è fatta di contorsioni estreme, deformazioni e tensioni, instabilità e movimento di forme. Il corpo barocco è un corpo teatrale. Nell'atteggiamento delle figure è evidente il passaggio dal gesto naturale a quello espressivo, con una palese derivazione dalla mimica del teatro; i personaggi hanno una gestualità marcatamente retorica, inscenante situazioni fortemente emotive: il dolore, l'estasi, il delirio.
Il grido in queste rappresentazioni è inserito sempre in delle narrazioni, in delle storie in cui trova significato. Ci sono dei personaggi in conflitto e il grido è una reazione che, pertanto, ha una motivazione.


A partire dalla fine dell'Ottocento, con l'Urlo di Munch, il grido comincia a lasciare indietro proprio questa dimensione narrativa. E' l'urlo che esplode dal volto, occupando tutta la superficie del quadro, un gesto senza ragione e senza scopo. E' l'angoscia, il disagio dell'individuo moderno che non trova più una storia in cui poter acquisire significato. E' una bocca aperta che riempie un vuoto con un altro vuoto. Lo ritroviamo in Egon Schiele, in Francis Bacon, con i suoi Papi urlanti, fino all'agghiacciante urlo di The Wall.




Nessun commento:

Posta un commento