martedì 17 settembre 2019

L’impronta blu. Yves Klein e il corpo come “pennello vivente”

Yves Klein, ANT 82, Anthropométrie de l'époque bleue, 1960

Negli anni Cinquanta del secolo scorso il corpo è materia espressiva di alcune esperienze artistiche, ma non come oggetto di rappresentazione, bensì come soggetto in azione; non all’interno della tela, ma al di fuori di essa. Ne sono esempi l’action panting di Pollock, le performance di Saburo Murakami (At One Moment Opening Six Holes), che si esibisce perforando di corsa con il proprio corpo una fila ordinata di schermi di carta fissati ad un’intelaiatura di legno, i rotolamenti nel fango di Kazuo Shiraga (altro artista del Gruppo Gutai50) in una lotta del corpo contro la materia.
L’artista francese Yves Klein utilizza il corpo come un pennello umano mentre Piero Manzoni, realizzando le Sculture Viventi, eliminerà completamente la superficie pittorica e trasformerà il corpo della modella in un’opera d’arte vera e propria, firmandolo e facendone una sorta di ready-made umano (firmerà anche personaggi famosi, come Umberto Eco). Il ruolo della modella, in queste esperienze, cambia in modo rilevante: il suo corpo non viene fatto oggetto di rappresentazione, più o meno realistica, ma diviene parte attiva. E il corpo in genere non viene più considerato come mero contenuto dell’opera, ma come mezzo espressivo.


Nel 1958, a casa di un amico e davanti a un pubblico ristretto, Klein spalma con vernice blu oltremare (il famoso International Klein Blue IKB brevettato dall’artista) il corpo nudo di una modella, la quale si trasformava in una sorta di ‘pennello vivente’, che lasciava le proprie impronte su un grande foglio bianco steso sul pavimento. Dal 1960 queste creazioni prenderanno il nome di Antropometrie, e saranno sia statiche (il corpo imprime la propria impronta) che dinamiche (il corpo lascia delle tracce strisciando sulla tela).
Klein, esperto judoka e convinto che il corpo fosse un centro di energia fisica e spirituale, considerava le sue Anthropometries non come un ritorno all’arte figurativa ma come un’espressione di energia vitale, la più intensa possibile. La prima esposizione (Anthropométrie de 1 époque blue) ebbe luogo il 9 marzo del 1960 alla Galérie Internationale d’Art Contemporain, imprimendo un nuovo impulso alla ricerca artistica degli anni ‘60. Le Antropometrie, infatti, rinnovavano radicalmente il modo e il senso della pittura, in quanto veniva messo da parte l’atto produttivo dell’artista, inteso come esecuzione manuale dell’ispirazione creativa, e veniva delegata la composizione e l’esecuzione a un corpo altrui e a una certa aleatorietà del caso.
Anthropométrie de l'époque bleue, Galérie Internationale d’Art Contemporain, 1960
L’evento è considerato precursore di pratiche artistiche contemporanee come la Performing Art e la Body Art. Vedeva impegnate tre modelle nude che dovevano cospargere il corpo di colore blu oltremare e imprimere le proprie impronte (in particolare quelle del seno, del ventre e delle cosce) su grandi fogli di carta appesi al muro e su una tela stesa sul pavimento. Il ruolo dell’artista, che si presentava come il celebrante di una sorta di rituale, era quello di guidare le modelle in tutto il processo. Nel frattempo una piccola orchestra eseguiva la Symphonie Monotone, composta dallo stesso Klein, che consisteva nella stessa nota ripetuta per venti minuti, cui seguivano venti minuti di silenzio. Un solo colore, una sola nota musicale; la monotonia quale equivalente sonoro della monocromia in pittura.
Le impronte dei corpi evocavano le impronte delle mani lasciate dall’uomo preistorico sulle pareti delle grotte, e per Klein significavano un ritorno alla primordiale espressione segnica. Ma le sue Antropometrie, tuttavia, non rivendicavano alcuna valenza di comunicazione lineare. Per capire questo passaggio, dobbiamo introdurre un altro concetto importante dell’opera di Klein, quello di “impregnazione”, che rappresenta il compimento e il superamento di una tradizione visuale. La funzione di un’opera d’arte non è quella di comunicare, ma di rendere accessibile allo spettatore l’energia del momento pittorico impregnata e fissata dall’artista nella tela. Tale energia, che l’artista trasmette all’opera d’arte, da quest’ultima si trasmette altresì allo spettatore per ’impregnazione’. Le Antropometrie, pertanto, non sono delle rappresentazioni o dei simboli, ma delle emanazioni di energia, che si irradia attraverso il colore blu.

Monochrome bleu (Ikb 190), 1959

Negli anni precedenti Klein aveva realizzato le sue Monocromie. Il monocromo è uno spazio metafisico, la dimensione visibile del trascendente; è l’espressione di un’energia spirituale immanente al colore stesso, la cui manifestazione deve essere libera e non costretta da alcun segno: “Sono giunto a dipingere il monocromo […] perché sempre di più davanti a un quadro, non importa se figurativo o non figurativo, provavo la sensazione che le linee e tutte le loro conseguenze, contorno, forme, prospettiva, componevano con molta precisione le sbarre della finestra di una prigione.”
Dopo i primi esperimenti con diversi colori, ‘Yves le monocrome’ (così Klein amava farsi chiamare) era passato all’utilizzo esclusivo del blu oltremare, colore da sempre associato con il mare e il cielo, i luoghi in cui i fenomeni della natura appaiono nella loro forma più astratta. «Il blu non ha dimensioni», dichiarava Klein, ed è dunque il più adatto a superare la materialità e a indurre un’esperienza spirituale. In quanto dotato di una particolare profondità, il blu oltremare è in grado di creare la sensazione di uno spazio che si apre verso l’interno del quadro e nel contempo si apre a una vastità che trascende lo spazio del quadro medesimo. La contemplazione di una tela monocroma, in cui è totalmente assente alcuna forma o riferimento ad oggetti reali, permette un’esperienza pura dell’opera: all’inizio è solo una sensazione di blu, poi si sente lo spazio che si apre sotto la pressione del colore e sconfinare in un’altra realtà. In tal modo Klein voleva indurre nello spettatore l’esperienza del superamento del visibile e la visione dell’invisibile; fargli raggiungere, attraverso la purezza del colore blu oltremare, l’immaterialità, l’infinità: “Il blu: la verità, la saggezza, la pace, la contemplazione, l’unificazione di cielo e mare, il colore dello spazio infinito, che essendo vasto, può contenere tutto. Il blu è l’invisibile che diventa visibile ”.

Yves Klein, Hiroshima (Anthrpométrie),1961.

A prima vista risalta il carattere eminentemente paradossale della sua intera opera, tesa tra un processo di immaterializzazione da una parte e l’importanza assegnata al corpo quale presenza concreta dall’altra. L’immaterialità è l’obiettivo di molti suoi lavori, influenzati dal concetto Zen di “Vuoto”. Per Klein il Vuoto è una zona priva di influenze materiali, dove entrare in contatto con la propria sensibilità. Nell'aprile del 1958 aveva presentato a Parigi la mostra “Vide”, in cui invitava il pubblico in una galleria vuota, con le pareti tutte dipinte di bianco, in cui nessun quadro, nessuna scultura, nessun oggetto erano visibili. Grazie a questa soppressione del dipinto e del colore, sperava di creare un'atmosfera in grado di manifestare l'essenza stessa della pittura e rendere esperibile il non-visibile come sostanza reale: “questa immaterializzazione del quadro deve agire, se l’opera di creazione riesce, sui veicoli o corpi sensibili dei visitatori all’esposizione con molta più efficacia dei quadri ordinari visibili e solitamente rappresentativi, che siano figurativi o non figurativi, o anche monocromi." L’immaterializzazione dell’opera d’arte si costituiva, dunque, come un processo esattamente inverso all’atto pittorico tradizionale (inteso come creatore di forme), avvicinandosi al vuoto Zen: la forma non differisce dal vuoto, il vuoto non differisce dalla forma, la forma pertanto è vuoto, il vuoto pertanto è forma.

Anthropométrie sans titre (ANT 84), 1960.

Poco dopo, ad Anversa, Yves le Monochrome organizzò delle assegnazioni di spazi vuoti in città definiti "zone di sensibilità pittorica immateriale", pagabili con l’elemento più nobile, l’oro puro in foglie, metà del quale venne poi disperso nelle acque della Senna per «riequilibrare l'ordine naturale» da lui sbilanciato con la vendita del "vuoto". E poi sculture di fuoco e di acqua, opere sonore, progetti di architetture dell’aria: con le declinazioni più svariate dell’invisibile, Klein portò avanti la sua esplorazione del versante immateriale dell’arte per tutta la sua breve vita.
E nel frattempo utilizzava i corpi di giovani donne come “pennelli viventi” per realizzare delle Antropometrie. Il corpo come contrappunto all’immaterialità, una relazione tenuta insieme dal colore e dalla sua forza spirituale. Lungi dal procedere da un'aspirazione contraddittoria, queste due modalità di espressione dell’opera di Klein, convinto cattolico, poggiano sul postulato che è al centro del Mistero cristiano, l'Incarnazione, come l’evento che ha reso visibile l’invisibile, che ha trasformato lo spirituale in corpo di carne e sangue. Le Antropometrie, in quanto impronte di corpi, evocano la materia nel suo aspetto più concreto e tuttavia, con il loro colore blu e con il loro aspetto indefinito e lontano da ogni rappresentazione realistica, diventano l’intermediario tra il corpo e lo spirito, il materiale e lo spirituale, il visibile e l’invisibile.
A questo link, il video della esposizione/performance del 9 marzo 1960:


Per approfondire il legame tra l’arte di Klein e la filosofia orientale: http://www.transfinito.eu/spip.php?article365

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