Jackson Pollock, Blue poles (1952) |
Uno degli argomenti di maggiore interesse e attualità che riguardano l’esperienza estetica è senza dubbio la relazione tra la costruzione culturale della fruizione e quegli aspetti della ricezione che riguardano la nostra natura umana corporea. Abbiamo già parlato della fruizione estetica come esperienza fondata sull’empatia (Einfühlung, sentire dentro) e sulla simulazione incarnata (embodied simulation), una nozione quest’ultima che discende dall’incontro tra due campi apparentemente distanti, come la storia dell'arte e le neuroscienze, e basata sulla scoperta dei neuroni a specchio, la quale offre un'importante base scientifica per la comprensione di ciò che le immagini provocano nella mente e nel corpo di chi le osserva (qui: https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.com/2018/10/simulazione-incarnata-il-corpo-dello.html).
L’esperienza simbolica della fruizione, cioè l’orizzonte dell’elaborazione di senso, prende vita a partire da un fondamento percettivo che non è solo visivo, ma sinestesico. Vari studi hanno dimostrato che la fruizione non è solo visione, ma in essa è coinvolto tutto il corpo dello spettatore. Quel corpo, da cui nei secoli la nostra cultura è andata via via prendendo le distanze, si è rivelato invece un attore imprescindibile persino in quel processo che si credeva puramente mentale, che è la fruizione dell’opera d’arte. Non un corpo inteso come entità statica: la vera novità di questa teoria è che sia il movimento alla base della nostra comprensione fenomenologica ed empatica della cultura, delle immagini e delle opere d'arte. Vedere un’immagine significa attivare gli stessi circuiti nervosi che sono coinvolti nell'azione motoria vera e propria, corrispondente a quella rappresentata; la “fruizione” è dunque un’esperienza sinestetica di tipo visivo, emotivo, tattile e motorio, cioè una simulazione a tutti gli effetti. Un corpo che vede un’immagine è un corpo che “risuona”, che prova cioè empatia fisica ed emotiva per ciò che in essa è rappresentato.
Michelangelo, I prigioni. |
Guardando le sculture di Michelangelo (in particolare i Prigioni) o le tele di Caravaggio e di Goya o i quadri di Bacon, la visione delle azioni dei personaggi, in particolar modo della tensione dei muscoli e delle espressioni facciali, mettono in moto in maniera particolarmente efficace le aree cerebrali deputate alle attività tattili e motorie. Le reazioni fisiche degli osservatori sembrano localizzarsi precisamente nelle parti del corpo più coinvolte nella raffigurazione (perché minacciate, oppresse o bloccate). Inoltre, l’empatia fisica si tramuta facilmente in sentimento di empatia emotiva nei confronti del dolore e della sofferenza dei corpi rappresentati. E i meccanismi di simulazione sono tanto più intensi quanto maggiore è la capacità dell’artista di rendere - come ad esempio nel caso di Bacon - il dinamismo del corpo umano in tutta la sua drammaticità.
Francis Bacon, "Three Studies of George Dyer" - 1967. |
Si è poi ulteriormente scoperto che i meccanismi empatici dello spettatore si “accendono” anche per la visione di opere architettoniche (come una colonna) o astratte. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che ad attivare quei circuiti neuronali non è solo il contenuto figurativo dell’opera d’arte, ma anche i gesti espressivi che l’artista ha impresso nella sua opera. Io come spettatore posso immedesimarmi e fare esperienza empatica dell’altro non solo guardandolo in immagine (raffigurato in dipinto, fotografato, scolpito, filmato), ma anche osservando le tracce lasciate dai gesti dell’autore nelle sue opere. Anche in questo caso si attua una simulazione incarnata, cioè il mio corpo “ricompie”, in un certo senso, quei gesti, simulando il processo corporeo con cui sono stati eseguiti, in quanto in me si attivano gli stessi centri motori necessari a produrre quei segni grafici.
Da ciò si può concludere che la fruizione di un’opera d’arte è anche un processo ricostruttivo.
Jackson Pollock, mural 1943. |
Questa è la tesi di David Freedberg e Vittorio Gallese, secondo i quali "la simulazione incarnata avviene anche come reazione nei confronti delle qualità formali dell’opera e della gestualità dell'autore. Anche qui si ha una reazione somatica in risposta all'evidenza visiva del movimento della mano dell'artista" (Freedberg, Gallese, Movimento, emozione ed empatia nell’esperienza estetica).
Lo spettatore, di fronte a un quadro, non simula solo l’espressione emotiva e il movimento in esso raffigurati, ma anche il “movimento implicito” contenuto nell’immagine, cioè i gesti eseguiti dal pittore, ad esempio le sue pennellate o incisioni o schizzi di vernice. A questo proposito, gli stessi Freedberg e Gallese fanno l’esempio dei tagli di Fontana e dei “dripping” di Pollock, dove il movimento non si esplica nella raffigurazione realistica di azioni esplicite. Naturalmente, nelle opere di Pollock o di Fontana l’apporto corporeo è più evidente rispetto a quelle opere in cui l’autore ha cercato di ridurre al minimo le proprie marcature soggettive.
Non a caso in riferimento a Pollock si parla di action painting, per significare l'arte come azione e non come opera finita. Si tratta di una pittura per la quale l'esecuzione è affidata all'ampia gestualità del braccio ed al movimento dell'artista attorno alla tela, quasi sempre stesa sul pavimento. Questa arte gestuale, la manifestazione più tipica dell'Espressionismo Astratto, si esplica nell'azione del dipingere, intesa come immedesimazione dell'artista con il dipinto. Quest’ultimo non viene alla luce come rappresentazione, ma soprattutto come “evento”, attraverso la liberazione di energie interiori e irrazionali che fanno irrompere l'interiorità e la volontà di esistere dell'artista. L’autore prende possesso della tela con una sequenza di gesti: pennellate energiche, spazzolate di vernice, spruzzi o gocciolature del colore direttamente sulla tela, compiendo movimenti ondulati e ritmici, che sono stati paragonati a quelli delle antiche danze tribali dei nativi americani. Alla fine, il dipinto non è che la manifestazione del campo di battaglia in cui l’artista ha ingaggiato la propria personale lotta per l’esistenza.
Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese, 1967 |
La visione di un’immagine di questo tipo, che ha subito una manipolazione così vigorosa e dove è soprattutto molto evidente il movimento della mano dell’autore, innesca nello spettatore una specie di reazione somatica. Qui l’esperienza estetica non è riferita alla simulazione di un movimento o gesto realisticamente ritratto, ma a quella del gesto o movimento del creatore. Come scrive Lamberto Maffei, "non si possono godere le opere di Pollock se le si vogliono capire, interpretare intellettualmente. Bisogna arrendersi, entrare in empatia con i suoi gesti. [...] A prima vista i segni appaiono caotici e privi di un'armonia strutturale. Ma, a un secondo sguardo, a una seconda visita al museo ci accorgiamo che i quadri di Pollock hanno una loro armonia e bellezza perché in fondo noi li riconosciamo, fanno parte della nostra realtà come i quadri realistici. Sono la realtà della nostra memoria motoria, sono i gesti noti della danza diventati immagini, pittura." (Lucignani-Pinotti, Immagini della mente).
Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1967 |
D’altra parte, alcuni studi hanno dimostrato che anche la visione di un segno grafico statico evoca una simulazione motoria del gesto necessario a produrlo. Nel caso di lettere dell’alfabeto, si è ad esempio osservato che l’effetto di simulazione è più evidente nella visione di lettere scritte a mano che non in quella di lettere stampate. Ciò dimostra che il nostro cervello può ricostruire le azioni semplicemente osservando il risultato grafico statico di un’azione compiuta da un altro soggetto.
Stesso discorso può essere riproposto per i tagli nella tela di Lucio Fontana, dove la visione degli squarci innesca una sensazione di movimento empatico che ricalca il gesto, necessariamente carico di energia cinetica, che ha prodotto il taglio. L’opera d’arte contiene sempre le indicazioni di un atto motorio, perché essa stessa è un suo prodotto e nello stesso tempo chiede al fruitore di simulare lo stesso movimento. E’ da questa percezione senso-motoria che può aver inizio il processo che conduce all’elaborazione simbolica del senso dell’opera.
Con l’arte astratta e la nozione di simulazione incarnata ci avviciniamo a quell’universo dell’arte performativa contemporanea, la cui fruizione si libera dall’impero della visione e rimette in campo, in modo diretto, a volte feroce, il corpo dello spettatore, richiedendo la sua partecipazione attiva all’evento artistico, così che l’esperienza estetica si caratterizza sempre più come esperienza corporea e sinestesica.
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