lunedì 22 ottobre 2018

Simulazione incarnata. Il corpo dello spettatore

Thomas Struth, Art Institute of Chicago II, Chicago (1990).

Quali meccanismi si mettono in moto durante la visione di un quadro, o di una qualsiasi espressione figurativa? La “visione” è un qualcosa che riguarda solo i nostri occhi e la nostra facoltà simbolico-cognitiva?
Sia le discipline antropologiche che le neuroscienze hanno messo in luce un fatto importante: lo spettatore è provvisto di un corpo, oltre che di una mente, ed è con il suo corpo e nel suo corpo (nel suo corpo-mente) che egli realizza l’esperienza estetica, cioè percepisce, vive, comprende e reagisce alla rappresentazione che ha di fronte. E questo avviene sia quando è in un museo, o a teatro, o al cinema, o in qualunque altro contesto in cui può darsi un’esperienza di tipo estetico.

Ma andiamo con ordine. L’arte è stata una conquista dell’umanità, che è nata quando si è cominciato a considerare un oggetto non solo come strumento utile ai propri bisogni, ma anche come simbolo, cioè segno sensibile in grado di rimandare a un significato altro, di presentificare un qualcosa di assente. La creazione e la fruizione di un’opera d’arte si basa d’altronde su questo: un significato presente nella mente dell’artista è in grado, attraverso la mediazione di un’espressione sensibile come un dipinto o una scultura o una danza, di trasmettersi anche a colui che guarda l’opera, che a sua volta arricchirà quel patrimonio di senso grazie alla propria interpretazione. L’arte si fonda quindi su una «sintonizzazione mentale» tra creatore e fruitore dell’oggetto artistico che, pertanto, non è mai oggetto in se stesso, ma polo di una relazione intersoggettiva.
Ma cosa succede quando l’osservatore si pone di fronte a una rappresentazione? Come agisce l’opera d’arte su colui che la contempla? Per parlare di ciò, introduciamo le nozioni di “neuroni specchio” e di “simulazione incarnata”.
La ricerca neuroscientifica e gli studi sul cervello hanno mostrato l’integrazione tra le diverse modalità sensoriali, per cui le aree visive rispondono anche a stimoli tattili e acustici, le aree somatosensoriali e le aree acustiche rispondono nello stesso tempo a stimoli visivi, così come le aree motorie rispondono anche a stimoli sensoriali. In pratica, quando guardiamo un quadro, o un film, o uno spettacolo teatrale o di danza, non usiamo solo gli occhi e gli stimoli che i nervi ottici portano al cervello. La nostra esperienza estetica riguarda tutte le nostre facoltà sensoriali, e in quanto tale costituisce un’esperienza sinestetica. Percepiamo e facciamo esperienza del mondo con tutto il corpo, non solo con gli occhi.
I neuroni specchio sono delle cellule nervose che si attivano sia quando compiamo un’attività in prima persona, sia quando osserviamo (o ascoltiamo) un’altra persona fare la stessa attività. Queste aree cerebrali entrano in funzione sia quando eseguiamo un atto motorio finalizzato, come afferrare un oggetto o produrre gesti comunicativi con la bocca, sia quando osserviamo un altro individuo compiere lo stesso atto o gesto. L’osservazione di un’azione induce nell’osservatore l’automatica simulazione di quell’azione. Questo ci permette di capire cosa fanno gli altri e perché agiscono e si comportano in un certo modo; lo capiamo perché riusciamo a riconoscere nell’azione dell’altro uno schema che abbiamo già immagazzinato nel nostro repertorio motorio e che entra in funzione ogni volta che lo vediamo compiere da qualcun altro: ogni volta che osserviamo un’attività eseguita da altri, il nostro sistema motorio «risuona» assieme a quello dell’agente osservato. Questo vuol dire che vedere un’azione significa anche simularla nel proprio sistema motorio. Si parla, infatti, di “simulazione incarnata” (embodied simulation). Con i neuroni specchio la simulazione incarnata coinvolge la sfera dell’intersoggettività, compresa quella che emerge nell’atto di vedere un film o uno spettacolo teatrale.
Le ricerche più recenti hanno altresì dimostrato che questo meccanismo di rispecchiamento non è confinato al dominio delle azioni, ma coinvolge anche quello delle emozioni e delle sensazioni: i movimenti e le espressioni osservati negli altri si legano alle nostre emozioni e noi facciamo esperienza in prima persona di ciò che provano gli altri.
“Tutti questi dati neuroscientifici suggeriscono che la nostra capacità di comprendere le azioni altrui, le intenzioni motorie che le hanno generate, le emozioni e le sensazioni provate dai nostri simili non si basa esclusivamente su strategie cognitive che prevedono l’applicazione di sofisticati processi logico-deduttivi, ma è fondata anche, se non soprattutto, su meccanismi di simulazione incarnata di cui i diversi meccanismi di rispecchiamento istanziati dai neuroni specchio costituiscono una base neurale” (Vittorio Gallese, Corpo e azione nell’esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica).
Questa nostra capacità di capirci in maniera spontanea, e non attraverso un ragionamento, è la base fondamentale della nostra abilità di relazionarci gli uni con gli altri e di empatizzare (empatia, Einfühlung = sentire con l'altro). Secondo questa prospettiva, l’intersoggettività, alla sua base, è prima di tutto intercorporeità. Il corpo è il punto di partenza di ogni forma di cognizione esplicita e linguisticamente mediata del mondo. Di ogni manifestazione del mondo. La simulazione incarnata, infatti, è essenziale anche per interpretare l’arte, la creatività e la dimensione estetica dell’esistenza umana.
Quando guardiamo un’opera d’arte si attivano le stesse aree cerebrali citate ed entriamo in uno stato di risonanza motoria, di empatia emotiva, che ci fa in qualche modo vivere le azioni e le emozioni rappresentate. Vedere qualcosa significa mettere in gioco non solo la visione, ma anche il sistema motorio, quello tattile e quello emotivo. La fruizione estetica delle immagini, in generale, e dell’opera d’arte, in particolare, implica un coinvolgimento empatico che si configura in tutta una serie di reazioni fisiche nel corpo dell’osservatore. La risonanza mimetica e l’empatia rappresentano il livello base dell’esperienza estetica.
Questo non significa che l’esperienza estetica si riduca a un meccanismo neurologico, ma solo riconoscere il ruolo che esso riveste in essa. Che quando guardiamo un dipinto o un film, il realtà noi li “viviamo” con tutto il corpo, che risuona e si attiva, in modo tale da farci rivivere le stesse azioni ed emozioni rappresentate. E’ in questi termini che dobbiamo considerare il concetto di “immedesimazione”, cioè come simulazione motoria delle azioni e delle emozioni rappresentate su un quadro o su uno schermo. Occorre nondimeno riconoscere che la simulazione incarnata è soltanto il punto di partenza di una serie di azioni che la trascendono e che non sono motorie, ma cognitive.
A questo link una conferenza di Vittorio Gallese che parla di questo argomento:



"Lo schermo empatico"

Il tema del rapporto tra simulazione incarnata (embodiement simulation) e fruizione cinematografica è l’argomento di un testo, uscito un paio di anni fa, di Vittorio Gallese e Michele Guerra, dal titolo Lo schermo empatico.
La tesi qui sostenuta è che l’esperienza filmica si può spiegare a partire da forme di embodiment generate dalle tecniche cinematografiche, che le azioni e le emozioni dei personaggi riprese dalla macchina da presa sono in stretta relazione fisica con gli spettatori che li osservano grazie ai meccanismi di simulazione incarnata prodotti dall’attivazione dei neuroni specchio. A supporto di ciò sono stati effettuati diversi esperimenti mediante lo studio elettroencefalografico (EEG) del cervello degli spettatori.
Quando guardiamo un film, si attivano gli stessi circuiti neurali che utilizziamo quando, in prima persona, compiamo le azioni o viviamo le emozioni che vediamo sullo schermo; in pratica compiamo delle simulazioni interne.
Qual è una delle possibili conseguenze di questo assunto?
Che il confine tra ciò che chiamiamo realtà e ciò che chiamiamo finzione sia molto meno netto di quanto potremmo pensare. Secondo la tesi di Gallese e Guerra la nostra adesione al film, più che realizzarsi in seguito a una sospensione temporanea d’incredulità, fingendo temporaneamente che le immagini che stiamo guardando siano «reali», si esprime nei termini di una «simulazione liberata», cioè la possibilità di costruirci un mondo possibile, immaginario; una rappresentazione che fa ricorso alla nostra esperienza corporea (motoria e sensoriale). Una simulazione, appunto.
Gli strumenti con cui i cineasti esercitano il loro potere di attrazione sullo spettatore sono vari. Indubbiamente i movimenti di macchina e i tagli di montaggio sono quelli che più incidono sul suo coinvolgimento motorio. Quest’ultimo è direttamente proporzionale all’intensità di quei movimenti. A questo proposito, gli autori del libro citato riportano i risultati di un esperimento che dimostra come la steadicam sia il dispositivo di ripresa che, avvicinandosi maggiormente all’esperienza visiva quotidiana, permette il maggior coinvolgimento motorio dello spettatore, tramite l’immedesimazione con la prospettiva della macchina da presa e con i suoi movimenti, grazie alla loro simulazione incarnata, promossa dall’attivazione dei neuroni specchio.
Il primo piano invece focalizza l’attenzione dello spettatore sulle sensazioni tattili, attivando parte delle stesse aree cerebrali che normalmente si attivano quando esercitiamo il tatto.
Ai giorni nostri il consumo di cinema avviene in gran parte su dispositivi ormai lontani dall’idea di grande schermo, eppure la simulazione incarnata e l’immedesimazione dello spettatore con la storia narrata dalle immagini si verifica lo stesso e, anzi, per alcuni autori, il «rimpicciolimento» dello schermo induce nello spettatore un’immersione addirittura maggiore, perché la fortissima vicinanza allo schermo, l’angolo di visione e soprattutto la gestione tattile del dispositivo parrebbero risultare più importanti delle dimensioni dello schermo. Come ricordano sempre Gallese e Guerra, i moderni dispositivi portatili digitali come smartphone e tablet, che richiedono ai loro utenti un’interazione motoria tramite un costante contatto tattile con l’immagine sullo schermo, danno vita a una “relazione pragmatica”, a una “interattività corporea” con l’osservatore: una «relazione fisica, quasi carnale» che gli consente nuove modalità di immersione e di coinvolgimento.

Questa è una famosa sequenza, realizzata utilizzando la Steadicam, del film Shining (1980) di Stanley Kubrick.



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