lunedì 12 novembre 2018

Sguardi che smascherano il voyeurismo dello spettatore.

Édouard Manet, Déjeuner sur l'herbe, 1863, Musée d'Orsay, Parigi. 

Le nuove forme di consumo visivo, che si sviluppano nel corso del XIX secolo, contribuiscono a determinare l’emergere di una nuova figura spettatoriale.
In particolare, con il secolo dei Lumi, si ha la drastica attenuazione delle manifestazioni di piazza, in particolare carnevalesche, in cui la partecipazione dello spettatore era attiva, pubblica e coinvolgeva tutti i sensi.  Lo sviluppo di teatri, gallerie, Salon e infine musei, luoghi istituzionali strutturati da regole rigide e destinati all’esposizione e all’intrattenimento, determinano la nascita di un pubblico disciplinato e autocontrollato. Questa nuova forma di fruizione istituzionale, così come lo sviluppo di nuovi strumenti ottici di visione, quali lo stereoscopio o lo zootropio, favoriscono l’isolamento psichico, percettivo e sociale dello spettatore moderno, così come la tendenza a privilegiare il senso della vista, a scapito di tutti gli altri. Nell’Ottocento, l’esperienza spettatoriale acquisisce pertanto la forma di una “stanza privata”, occupata da un soggetto appartato e isolato. La priorità attribuita al visivo si affianca a una forma di fruizione che richiede attenzione, immobilità, silenzio, e dunque isolamento dal contesto sociale.

Edouard Manet, Il vecchio musicista, 1862, Washington, National Gallery of Art Chester Dale Collection.

E proprio al Salon parigino del 1863 era destinata la grande tela di Édouard Manet, intitolata “Déjeuner sur l’herbe”. Quell’anno, le opere rifiutate dall’esposizione ufficiale furono molto numerose; così, per contenere le proteste degli artisti, Napoleone III ordinò che i quadri respinti fossero esposti in alcune nuove sale del Palais de l’Industrie, sede del Salon. Nacque così il “Salon des Refusés”, di cui la grande tela di Manet divenne il principale motivo di attrazione, a causa delle polemiche suscitate dalla sua esposizione. I critici e il pubblico giudicarono l’opera volgare e oscena, non solo a causa del soggetto (la presenza di nudi femminili in compagnia di giovanotti borghesi), ma anche per la modernità dello stile cromatico e compositivo.
È generalmente accettato che Manet sia all'origine della rivoluzione moderna della pittura. Secondo Michael Fried questo è vero soprattutto nella misura in cui il pittore francese pone le sue opere in relazione con lo spettatore.

Édouard Manet, Olympia, 1863, Musée d’Orsay, Paris.

Abbiamo già visto come, sempre secondo Fried, la pittura francese del XVIII secolo, per reagire agli eccessi del barocco, avesse neutralizzato la figura dello spettatore. Sotto l'influenza di Diderot e di altri critici, era emersa una concezione della rappresentazione chiusa e autonoma, basata sulla negazione dello spettatore. Fried chiama questa condizione “assorbimento” o “anti-teatralità”: assorbiti nei loro pensieri o nelle loro attività, i personaggi sono isolati dallo sguardo dello spettatore e devono evitare di condividere in alcun modo il suo spazio.
Alcuni pittori della generazione del 1863 , tra cui Manet, cercano di reintrodurre quella teatralità di cui i loro predecessori avevano voluto sbarazzarsi. Si può notare, infatti, come in alcune tele di Manet, ci sia un personaggio che guarda fuori dal campo delimitato dal dipinto e si confronti con lo spettatore, come la donna de le Dejeuner, oppure Olympia, o il protagonista de “Il vecchio musicista”.
Secondo Fried, Manet, tuttavia, non abbandona del tutto la regola dell’assorbimento, perché nella sua pittura coesistono entrambe le forme di rappresentazione. I suoi dipinti non negano lo sguardo dello spettatore, ma nemmeno lo coinvolgono nella scena rappresentata. Piuttosto lo fronteggiano, in un faccia a faccia che lo designa nel suo ruolo di spettatore.

Édouard Manet, Colazione nell'atelier, 1868, Neue Pinakothek di Monaco di Baviera.

Spesso, nei dipinti di Manet, un singolo personaggio fissa lo spettatore, e il resto del dipinto è subordinato a quello shock istantaneo e immediato. Questo è il caso dello sguardo impudente della donna nel “Déjeuner sur l’herbe” o in “Olympia”, oppure dell’uomo ne “Il vecchio musicista”, della cameriera in “Colazione nell'atelier”, solo per citarne alcuni. E Manet costruisce queste opere intorno alla presenza costitutiva dello spettatore.
L’artista cerca di rompere la chiusura della rappresentazione che reggeva l'illusione di uno spettatore estraneo alla scena, come era straordinariamente evidente, ad esempio, nei dipinti "raccolti" di Millet. Lo spettatore cambia quindi il suo posto: non viene catturato dalla tela che cerca di incorporarlo favorendone l’identificazione nei personaggi (come accade per la pittura di “assorbimento”); al contrario, egli è qui colpito duramente da uno sguardo che lo fronteggia.  E questo orientamento, questo faccia a faccia della pittura e dei suoi spettatori, rappresenta per Fried il superamento della classicità e la nascita della modernità.

Édouard Manet, In barca ad Argenteuil, 1874, Metropolitan Museum of Art di New York.

Le “Déjeuner sur l’herbe” raffigura un gruppo di quattro persone in un bosco nei pressi di Argenteuil (un comune non lontano da Parigi), dove scorre la Senna. In primo piano vi è una donna completamente nuda, seduta su un panno azzurro, che, con una mano sotto il mento, guarda verso lo spettatore. I due giovanotti in sua compagnia sono invece completamente vestiti, con abiti borghesi alla moda del tempo. Più lontano, sullo sfondo, una donna in sottoveste sta facendo il bagno nelle acque di un ruscello.
Apparentemente nelle opere di Manet non c’è niente di rivoluzionario; anzi, molte sue opere rivelano con chiarezza l’impianto compositivo di matrice classica e il riferimento ai grandi maestri del passato (Tiziano, Raffaello, Goya, Ingres), studiati nei maggiori musei. Il tema iconografico della “conversazione” tra figure nude e vestite in un paesaggio era già stato svolto nel Concerto campestre di Tiziano, mentre la composizione e le pose delle figure centrali si ispirano allo schema del gruppo di divinità fluviali presente nel Giudizio di Paride di Raffaello.


Ma se il quadro del Tiziano aveva un preciso significato allegorico, ben integrato nella cultura aulica, neoplatonica, del Cinquecento, la tela di Manet non ha niente di tutto questo. Il pittore francese sostituisce i personaggi del mito con uomini e donne del suo tempo; i nuovi dei sono dei gentiluomini borghesi vestiti alla moda e la donna in primo piano, i cui abiti moderni sono ammucchiati per terra e il cui sguardo si rivolge sfrontatamente allo spettatore, sembra più una prostituta che una dea o una ninfa.
Lo scandalo nasceva non dalla scelta del tema, ma dalla sua trasposizione nella contemporaneità. Ciò che suscitava maggiormente indignazione non era solo lo sguardo licenzioso e la nudità della donna, resa con crudo realismo e ritenuta inspiegabile e inutile nel complesso della scena, ma soprattutto il fatto che quella nudità fosse stata maliziosamente collocata in un contesto attuale. L’arte accademica era infarcita di nudi femminili, ma la nudità era sempre idealizzata e nobilitata dalle finalità celebrative o allegoriche delle opere e dall’ambientazione mitologica o storica delle stesse, molto lontana nel tempo e nello spazio.


E’ questa collocazione nella contemporaneità ciò che rendeva quella tela inverosimile e oscena agli occhi del pubblico francese. L’opera appariva pertanto come una deliberata provocazione e un’offesa alla morale borghese.
A un altro quadro del Tiziano (la famosa “Venere di Urbino”) sembra ispirarsi anche l’altro quadro-scandalo di Manet, “Olympia”. Ma se la figura di Venere è casta e innocente e, accanto a lei il cane è un simbolo di fedeltà, lo sguardo di Olympia è invece freddo e fissa lo spettatore con sfrontatezza, mentre un gatto nero ha preso il posto del fedele cagnolino. La donna ci guarda con espressione provocante e non sembra prestare alcuna attenzione ai fiori che le reca la cameriera. Anche qui si è rotta la convenzione di rappresentare il nudo femminile in un contesto lontano nel tempo. In questo dipinto, inoltre, la figura di donna è altamente individualizzata, il che contraddice il tradizionale obbligo all’idealizzazione.

Édouard Manet, Il balcone, 1868, Museo d'Orsay, Parigi.

La polemica provocata da quest’opera fu ancora più acuta di quella innescata da le Dèjeuner. Lo spettatore borghese si sentiva disturbato dal quadro, in quanto osservato a sua volta e trasformato in un voyeur. La tela gli rinviava indietro un’immagine di sé che probabilmente non voleva accettare pubblicamente. Anche questo elemento spiega il perché vengano rinvenute nella pittura di Manet le origini dell’arte contemporanea.






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