lunedì 5 novembre 2018

L'Effetto Kulešov e il montaggio delle attrazioni



Quando fruiamo un film, non solo “guardiamo”, cioè percepiamo delle immagini. Il “vedere” va oltre la percezione; esso costituisce un atto mentale la cui funzione non è solo di considerare una realtà sensibile, ma è anche quella di individuare il suo senso latente e invisibile. Vedere è legato all’atto di intuire l’invisibile, cioè di elaborare una nostra significazione soggettiva. Quello dello spettatore è un ruolo attivo, che consiste nella negoziazione del senso, sia del film che del proprio ruolo di fruitore, perché il processo di visione ne investe contemporaneamente l’attività percettiva, cognitiva ed emotiva.
Ma come avviene ciò? In che modo avviene questa negoziazione di senso?
Nella storia del cinema registi come Pudovkin, Kulešov, Ejzenstejn, cineasti dell’avanguardia sovietica, intuiscono che il film nasce solo con il montaggio, in quanto prima di esso esistono solo inquadrature non riconducibili a una forma espressiva compiuta. Le immagini non hanno significato se non correlate tra loro ed ognuna agisce su quella che viene prima e reagisce a quella che viene dopo.

Per dimostrare questa tesi, Kulešov elabora una sorta di esperimento (rifatto da Hitchcock alcuni anni dopo). Si tratta di una serie di tre brevi sequenze in cui lo stesso primo piano di un attore, volutamente inespressivo, è montato ogni volta a una inquadratura diversa: un piatto di minestra, una donna morta e una bambina che gioca. Lo spettatore ha di volta in volta l’impressione che il volto dell’attore (che in realtà è sempre identico) esprima un’emozione diversa: fame, dolore, tenerezza.
Kulešov dimostra così che una stessa inquadratura si carica di significati diversi a seconda delle immagini che seguono e che è solo la loro concatenazione, cioè il loro montaggio, a fornire un significato.


Quella espressa da Kulešov, come da Pudovkin, rimane tuttavia una concezione del montaggio come concatenazione di “mattoncini”, che si raccordano insieme in modo continuo. Di parere opposto è invece l’altro esponente del cinema sovietico di quelli anni, Ejsenstejn, secondo il quale lʼinquadratura non è affatto un elemento del montaggio, ma una cellula del montaggio. E quest’ultimo non è una concatenazione, ma una collisione, perché “il luogo in cui vengono in collisione due dati è il luogo in cui si produce un pensiero. Dal mio punto di vista la concatenazione non è che uno dei possibili casi parziali. [...] Il montaggio è sempre conflitto. Il fondamento dellʼarte in generale è il conflitto”. Ogni segno in sé ha un significato, ma è nel confronto con un altro che se ne produce uno nuovo. Quindi, prosegue Ejzenstejn, la collisione di due segni crea una costruzione di senso.


L’organizzazione del materiale e delle scene dei suoi film, infatti, non segue uno schema drammatico-narrativo classico (trama che si svolge lungo un tempo lineare) quanto piuttosto dei criteri formali e retorici che danno vita a una narrazione che si sviluppa su un tempo discontinuo.
La corazzata Potëmkin, ad esempio, è una vorticosa sequenza di oltre mille inquadrature, ognuna delle quali dura al massimo tre secondi, concedendo alla visione solo dei brevi attimi di respiro nel passaggio dai primi piani ai campi lunghi; un film costruito quasi tutto sulle immagini e sul loro ritmo, che riescono a creare uno stupefacente coinvolgimento emotivo, carico di vigore simbolico.
Il Potëmkin è espressione applicata di quello che il regista definiva “montaggio delle attrazioni” (detto montaggio concettuale o intellettuale): come si diceva, secondo Ejzenštejn "il montaggio è un'idea che nasce dallo scontro di inquadrature indipendenti o addirittura opposte l'una all'altra" per cui attraverso il montaggio non si crea soltanto il movimento fisico, ma anche il movimento delle idee. Rispetto al montaggio invisibile del cinema occidentale, questo tipo di montaggio parallelo evidenzia i tagli, perché lo spettatore non deve essere guidato dentro la storia, ma deve avere un ruolo attivo nella costruzione del senso. Quest’ultima è affidata allo shock provocato dall’accostamento di due inquadrature, una di seguito all’altra.


Mettendo insieme due inquadrature indipendenti, o addirittura contrapposte, si ha come risultato la percezione di un’idea diversa dalla somma delle prime due, logicamente e meccanicamente non legata ad esse, ma alla loro connessione. Il montaggio concettuale divide l’azione in una sequenza di inquadrature molto frammentate, rompendo la continuità dell’azione. Esso non vuole coinvolgere lo spettatore dentro una narrazione lineare, ma vuole colpirlo, scuoterlo dalla sua passività, renderlo partecipe della costruzione del senso.
Le concezioni sul montaggio sono molteplici, ma tutti i cineasti e i teorici concordano sul fatto che è il montaggio l'essenza del film perché è grazie ad esso che l'immagine cessa di essere una categoria spaziale e diventa una categoria temporale, dando vita alla narrazione. Le immagini allo stato puro non sono niente: è la loro correlazione che permette la nascita di quel senso in più, che le immagini originarie non avevano.

A questo link un video sull'effetto Kulešov



Qui invece un video sul montaggio delle attrazioni



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