domenica 13 dicembre 2015

Animali in Fotografia - I cani di Elliott Erwitt


Elliott Erwitt, Felix, Gladys e Rover, York City 1974.
“Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente. Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto. Non miro necessariamente a tanto, ma riconosco che si tratta del traguardo supremo”.
Questa frase appartiene al grande Elliott Erwitt, autodefinitosi “un professionista per mestiere e un dilettante per vocazione”, e riassume bene la sua fotografia, che copre un periodo di sessanta anni e tocca soggetti molto diversi tra loro. Tra questi, però, ce n'è uno che ricorre molto spesso, ovvero i cani, amatissimi dal fotografo, ai quali dedicò anche alcuni libri (per esempio Dog Dogs del 2002). Se gli si chiede perché, risponde che a loro non dispiace, “e poi non chiedono la ristampa delle fotografie”.

Ciò che caratterizza le foto di Erwitt, e in particolare queste con i protagonisti a quattro zampe, è uno sguardo benevolmente ironico che non diventa mai dileggio e sarcasmo. E' lo sguardo di chi si pone di fronte alla realtà non con superficialità, ma con lievità, che è la capacità di osservare le situazioni con sagacia, sapendo coglierne il lato umoristico e riuscendo a far sorridere. Erwitt, oltre ad avere una fervida immaginazione, possiede una grande capacità di osservare le persone, gli animali, le cose e la vita attraverso ironia e disincanto, senso dell'umorismo e acutezza percettiva, sagacia di spirito ed estro creativo, denotando contemporaneamente spirito ludico e raffinatezza mentale. Ebreo di origini, egli trae dalla sua cultura mitteleuropea quell'humour irriverente che aveva permeato la grande commedia hollywoodiana, fatta proprio da registi e sceneggiatori ebrei provenienti dal vecchio continente.

Elliott Erwitt, New York City 1946.

I suoi libri sui cani non nascono da progetti intenzionali, ma un bel giorno Erwitt si è accorto di possedere nel suo archivio personale un numero enorme di scatti con soggetto canino e ha deciso di farne delle pubblicazioni a tema. Se si osservano queste foto ci si accorge che Erwitt cerca sempre di scattare le sue foto dal punto di vista degli animali: spesso egli pone il suo obiettivo ad altezza di cane, lasciando vedere solo le gambe e i piedi dei suoi accompagnatori. Paradossalmente questa scelta si rivela efficacissima. Non inquadrando quasi mai il volto dei padroni dei cani, nello spettatore scatta automaticamente il processo di identificazione cane-padrone. E allora ci si accorge che lo sguardo bonariamente ironico del fotografo non è diretto agli animali, ma all'uomo. I cani, animali domestici per eccellenza, che più di tutti hanno dovuto adeguarsi allo stile di vita umano, soprattutto all'interno della città, diventano gli specchi innocenti e le inconsapevoli proiezioni delle manie e delle abitudini dell'uomo moderno.
Questa foto che vediamo incarna bene lo spirito umoristico di Erwitt: sui gradini della sua casa di New York, nel 2000, stanno beatamente seduti un vicino di casa del fotografo assieme ai suoi due piccoli bulldog. Erwitt coglie il momento in cui uno dei due cani è seduto sopra al padrone, coprendogli la faccia e sostituendola col suo muso. Ne risulta quindi l'impressione di una figura unica con corpo di uomo e testa di cane. E la sovrapposizione calza a pennello!

Elliott Erwitt, Bulldogs, New York City 2000.

Nelle fotografie di Erwitt, membro dell’agenzia Magnum fin dal 1954, è evidente l’influenza di Henri Cartier-Bresson per quella capacità di cogliere un soggetto, animato o inanimato, nell'attimo decisivo. Pur avendo avuto come mentori Robert Capa, Edward Steichen e Roy Stryker, la fotografia di Erwitt ha assunto uno stile proprio, intimista e ironico nello stesso tempo, certe volte impertinente e dolcemente irriverente, ma sempre tecnicamente impeccabile. “Si tratta di reagire a ciò che si vede, senza preconcetti – afferma – si possono trovare immagini da fotografare ovunque, basta semplicemente notare le cose e la loro disposizione, interessarsi a ciò che ci circonda e occuparsi dell’umanità e della commedia umana”. Nelle fotografie, per Erwitt, non bisogna indagare ricercatezze concettuali e proclamazioni di senso ma solo l’occasionalità del momento, il qui ed ora di un luogo e di un tempo, perché le cose sono, e non possono che essere solo se stesse. La sua filosofia è quella del “saper aspettare il momento giusto”, sebbene affermi nel contempo che spesso occorre “provocare” il caso. Per esempio, nella foto famosissima scattata nel 1983 a Parigi in cui si vede un Jackrussel sospeso da terra, mentre salta a fianco del suo accompagnatore, Erwitt ha dichiarato che “per far saltare il cane mi sono messo ad abbaiare!”, altre volte l’unica soluzione è stata quella di armarsi di pazienza: “questo è fotografare: aspettare che le cose accadano”.

Elliott Erwitt - Parigi 1989.

A questa filosofia dobbiamo alcuni degli scatti più incredibili, come la fotografia che ritrae un gabbiano appollaiato su un lampione, intento a guardare un aereo di passaggio o quella dell'airone ripreso in prospettiva con la fontanella,
A questo link potete trovare un bel saggio sulla fotografia di Erwitt, ricchissimo di foto: http://ilcassetto.forumcommunity.net/?t=49236304 .

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