domenica 20 dicembre 2015

Animali in Pittura - La Dama con l'ermellino

Leonardo da Vinci, La Dama con l'ermellino, 1489-90, Castello del Wawel, Museo Czartoryski.

Se il grande Michelangelo Buonarroti, interessato principalmente alla figura umana, disdegnerà di rappresentare animali, l’opera di Leonardo da Vinci è invece densa di dipinti e soprattutto di studi riguardanti piante e animali. A volte passava intere giornate a osservare gatti, uccelli, pesci e altra fauna acquatica, a studiare, disegnare e misurare dal vero le proporzioni dei cavalli. Il suo interesse e la sua smisurata curiosità spaziavano dappertutto.
Mentre in passato il compito dell’artista era quello di imparare certi antichi schemi corrispondenti ai principali personaggi della storia sacra e adattarli a combinazioni sempre nuove,
con il Quattrocento il mestiere dell’artista richiedeva una diversa abilità, cioè quella di compiere studi dal vero, usando un taccuino su cui eseguire schizzi di piante, animali e corpi umani. Leonardo da Vinci, sull’esempio dei suoi predecessori, riteneva che compito dell’artista fosse l’esplorazione del mondo visibile, condotta però in modo più completo, intenso e accurato.
La Dama con l’ermellino è una delle opere più famose di Leonardo, realizzata a Milano, dove il pittore si era recato nel 1482 ed era stato assunto come ingegnere militare presso la corte di Ludovico Sforza detto il Moro. L’opera raffigura la nobildonna Cecilia Gallerani, all’epoca sedicenne favorita del Moro. Cecilia è bellissima, elegante e, nonostante la giovane età, molto colta e di forte temperamento. Verrà allontanata da corte dopo il matrimonio del duca di Milano con Beatrice d’Este e andrà in sposa al maturo conte Bergamino di Cremona.
Il dipinto che la vede protagonista è per molti critici il primo ritratto moderno della storia dell’arte, simbolo dello straordinario livello artistico raggiunto da Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese. In esso, l’artista riesce infatti a cogliere e a raccontare un frammento di vita della giovane donna, a cogliere l'attimo fuggente del variare di uno stato d'animo, di uno di quelli che il pittore chiama "moti mentali". Un'altra nota importante da mettere in evidenza è l'effetto "rilievo" ottenuto facendo risaltare la figura su sfondo scuro.
Cecilia è colta e raffinata, il suo sguardo è aristocratico e intelligente, ma ciò che colpisce di questo ritratto è in particolare la posa della donna. In quest'opera lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, venne superato da Leonardo, che concepì un movimento spiraliforme, una duplice rotazione, con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra.
Cecilia guarda altrove, escludendo lo spettatore dall’opera. Ella sembra volgersi come per osservare qualcuno che sta entrando nella stanza, e al tempo stesso ha la solennità imperturbabile di un'antica statua. Gli occhi sono espressivi, chiari e profondi e il sorriso, abbozzato e timido, è tipico di Leonardo da Vinci, che preferisce accennare a emozioni delicate piuttosto che rappresentarle in modo esplicito. La luce investe e dà grande risalto alla mano, con le lunghe dita affusolate, nervose e aristocratiche, che accarezzano l'animale, testimoniando la sua delicatezza e la sua grazia. La donna è vestita secondo l’ultima moda del tempo; il suo abbigliamento è signorile, elaborato e curatissimo, sebbene non eccessivamente sfarzoso. L’unico gioiello che indossa è una lunga collana di perle scure. Un laccio nero sulla fronte tiene fermo un velo che copre i capelli raccolti.
In realtà secondo molti studiosi l’animale raffigurato non è un ermellino, ma un furetto, che è di una specie affine e sicuramente più addomesticabile e meno mordace. Ma nel quadro l’animale che si vuole rappresentare è un ermellino, per la simbologia ad esso associata.
La scelta di questo piccolo predatore sottintende un sottile gioco linguistico: in greco ermellino è detto galé, termine che per assonanza richiama il cognome Gallerani. Inoltre, nei bestiari medievali, esso, per il suo manto candido, rappresenta alcune virtù come la purezza, la genuinità e la pacatezza, oltre ad essere connesso alla nobiltà e alla regalità, tanto è vero che la sua pelliccia veniva usata nelle vesti di papi, imperatori e dogi.
Questo animale era anche uno dei simboli scelti da Ludovico il Moro per il proprio casato, in quanto era stato insignito dal Re di Napoli del prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell'Ordine dell'Ermellino. La sua presenza nel dipinto, quindi, rimanderebbe non solo al nome e alla personalità della dama, ma allo stesso duca di Milano.
Vi è corrispondenza tra il punto di vista di Cecilia e quello dell'animale; esso infatti sembra identificarsi con la fanciulla, per la comune espressione intensa e cristallina, per gli sguardi che convergono verso la stessa direzione, per l’armonia delle due figure. L’equivalenza tra le loro pose sottolinea la similitudine tra le migliori qualità dell’animale e le virtù della donna che, grazie all’associazione con l’ermellino, viene presentata come una persona onesta, virtuosa, pura, ma anche nobile d’animo e di sentimenti. Sebbene nel Rinascimento il mondo animale venga rappresentato in modo rigorosamente naturalistico, tuttavia è ancora fondamentale il suo riferimento simbolico.
Secondo il critico Federico Zeri, i due ritratti femminili di Leonardo di quest’epoca milanese, La dama con l’ermellino e la Belle Ferronière, sono anche straordinari per i modi in cui è raffigurata la donna, in quanto ella è qui rappresentata sullo stesso livello mentale, intellettuale e spirituale dell’uomo. Non è né la donna “schiava”, sofferente, “colei che si sacrifica” dei dipinti della Controriforma, né la donna sfrenata di certo Barocco, essendo questi gli estremi tra i quali si muoverà la rappresentazione della donna italiana dopo il Rinascimento.

Leonardo da Vinci, La belle Ferronnière, 1490-95, Museo del Louvre.
Non ci sarà più, nell’epoca successiva, il perfetto equilibrio morale e spirituale che troviamo nei due ritratti di Leonardo. Secondo Zeri, La dama con l’ermellino, è un meraviglioso microcosmo, un capolavoro di intuizione psicologica, uno dei quadri più belli mai dipinti. Leonardo riusciva a trasferire nei suoi quadri i pensieri, le emozioni e i sentimenti dei personaggi ritratti, che venivano espressi dai gesti e dalle espressioni dei soggetti. Attraverso la pittura, infatti, egli voleva rendere manifesti quelli che chiamava “i moti dell’anima”. Ma come poteva rendere ciò? quale fu il suo segreto?
Le grandi opere dei maestri del Quattrocento italiano, nonostante il loro disegno rigoroso, spesso soffrono, come afferma il Gombrich, di una certa legnosità, cioè di una rigidità che fa somigliare le figure a delle statue, piuttosto che ad esseri vivi. In vari modi i pittori avevano tentato di superare questa difficoltà. Il Botticelli, per esempio, accentuava il movimento dei capelli e delle vesti, così da rendere meno rigido il contorno. Ma solo Leonardo trovò la vera soluzione al problema: “il pittore deve lasciare allo spettatore qualcosa da indovinare; se i contorni non sono delineati rigidamente, se si lascia un poco vaga la forma come se svanisse nell’ombra, ogni impressione di rigidezza e di aridità sarà evitata. Questa è la famosa invenzione leonardesca detta ‘lo sfumato’: il contorno evanescente e i colori pastosi fanno confluire una forma nell’altra lasciando sempre un margine alla nostra immaginazione” (Gombrich). Questa innovazione, che punta sull’effetto vivificatore dato da una certa indeterminatezza del disegno che immerge la figura in una morbida penombra, raggiungerà la sua completa attuazione nel capolavoro del 1502 “Monna Lisa”.
Il Ritratto di Dama con ermellino è acquistato alla fine del Settecento dal principe polacco Adam Czartoryski e donato al museo privato della madre Isabella nel castello di Pulawy. Qui viene probabilmente aggiunta l’iscrizione La bele Feronière – Leonard d’Awinci. Il principe ritiene infatti di aver acquistato un altro quadro del pittore: la Belle Ferronière, appunto, oggi al Louvre. Dimenticata l'attribuzione a Leonardo, l'opera venne riassegnata al maestro solo alla fine del XVIII secolo. Durante la seconda guerra mondiale venne nascosto nei sotterranei del castello del Wawel, dove fu trovato dai nazisti che avevano invaso la Polonia; quando fu ritrovato recava nell'angolo inferiore a destra l'impronta di un tallone, a cui venne rimediato con un restauro.

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