sabato 26 dicembre 2015

Animali in Pittura - La Venere di Urbino

Nel 1538 Guidobaldo della Rovere, duca di Camerino e futuro duca di Urbino, manda un suo agente a Venezia a ritirare il quadro della "donna ignuda" presso la bottega del grande Tiziano. Da varie lettere pervenute, sappiamo che il giovane rampollo aveva più volte chiesto alla madre Eleonora Gonzaga della Rovere i soldi per l'acquisto del dipinto, ma la matrona era stata irremovibile. In qualche modo Guidobaldo riuscì a provvedere al pagamento e finalmente poté entrare in possesso della celebre Venere di Urbino.
Tiziano Vecellio, Venere d'Urbino, 1538, Galleria degli Uffizi.

Secondo l'interpretazione più accreditata, il dipinto doveva servire come modello "didattico" per Giulia Varano, la giovane moglie del duca, sposata per ragioni politiche nel 1534 quando la fanciulla aveva solo dieci anni e, all'epoca del dipinto, adolescente chiamata ad assolvere i propri doveri coniugali. L'opera aveva dunque la funzione di
istruire la giovane sposa alla dimensione erotica del matrimonio e poiché la modella del quadro è stata identificata come la celebre cortigiana veneziana Angela del Moro, con cui Tiziano usava intrattenersi, l’arte della seduzione è forse presentata come elemento essenziale del ruolo coniugale della sposa.
E' una Venere singolare, infatti, quella qui rappresentata: non l'ideale allegoria dell'amore, la dea tradizionalmente rappresentata sì nuda, ma immersa in paesaggi arcadici e da sogno, come la Venere dormiente del Giorgione (che Tiziano aveva contribuito a ultimare, dopo la morte dell'autore).

Giorgione, Venere dormiente, 1510, Gemäldegalerie Alte Meister.

Malgrado la rilevante somiglianza tra le due opere, questa Venere del Tiziano non dorme affatto, né ha uno sguardo assorto o distante, ma fissa in modo deciso l'osservatore, consapevole della sua nudità, con sguardo aperto e seducente e una posa ambigua, a metà strada tra il pudore e l'invito. Mentre con gli occhi, teneri e maliziosi nello stesso tempo, intrattiene con lo spettatore un dialogo erotico e pieno di lusinghe, con la mano sinistra si copre il pube (tema della Venus pudica), ma così facendo, naturalmente, l'attenzione dell'osservatore viene attirata proprio su quella parte del corpo. Anche la verticale linea di forza creata dalla cesura della parete scura alle spalle della dea, che si interseca con la diagonale del corpo, concorre a convogliare lo sguardo sullo stesso punto: gli occhi della dea e il gesto della sua mano costituiscono un connubio di perfezione irripetibile. Tiziano rappresenterà tante altre Veneri distese, ma nessuna avrà il successo enorme e intramontabile di questa.
Rispetto alle rappresentazioni tradizionali della dea dell'amore, in quest'opera è diversa anche l’ambientazione: non lo spazio bucolico della natura ma l’interno di un palazzo contemporaneo. Tiziano ha dunque rinunciato a ogni idealizzazione e ha collocato la sua Venere in un ambiente domestico. Ella è qui rappresentata come vero e proprio simbolo dell’amore carnale: distesa su un letto sfatto, in attesa di essere vestita dalle ancelle, ha in mano un mazzolino di rose canine, attributo della dea. Quanto è distante questa Venere da quella del Botticelli, luminoso ideale irraggiungibile. Questa dea è immersa in un ambiente reale, mondano, adagiata sul letto disfatto di una camera da letto, con i capelli sparsi sulle spalle, con le stoffe pregiate, l'arredo alla moda del tempo, le ancelle sullo sfondo che si danno da fare: una è infatti inginocchiata e rovistare all'interno di una preziosa cassapanca nuziale e l'altra, con un vestito rosso e un'elegante acconciatura, si rimbocca una manica mentre regge sulle spalle la sontuosa veste da far indossare alla dama appena svegliata: un quadretto di vita quotidiana e domestica all'interno di una ricca dimora patrizia. Il riferimento divino è poco più di un alibi all'audacia della rappresentazione.
Se spostiamo lo sguardo ai piedi del letto, troviamo un delizioso cagnolino che dorme tranquillo e acciambellato e sappiamo che il cane è simbolo di fedeltà coniugale e di vigilanza. Ecco dunque che alla traboccante sensualità della figura femminile fa da contrappunto la tradizionale simbologia legata al matrimonio: il cane che rammenta il dovere di lealtà verso lo sposo, la pianta di mirto sul davanzale, attributo della dea ma anche simbolo di vincolo coniugale, la perla simbolo di purezza dell'orecchino. Ecco il vero destinatario di tutta quella carica erotica: lo sposo e nessun altro, tanto più se si pensa che il cagnolino raffigurato è lo stesso che compare in un altro dipinto di Tiziano, conservato anch'esso agli Uffizi: è il ritratto di Eleonora Gonzaga, madre di Guidobaldo della Rovere, suocera della fanciulla cui il messaggio del quadro è indirizzato.

Tiziano Vecellio, Ritratto di Eleonora Gonzaga Della Rovere, 1536-38, Galleria degli Uffizi.

E' vero che la rappresentazione della dea dell'amore viene qui spogliata dell'aura del mito e realisticamente "incarnata", ma nello stesso tempo la sensualità che se ne sprigiona viene immediatamente "addomesticata", riportata al dovere coniugale, asservita alle regole della famiglia patriarcale.
Notiamo il ruolo fondamentale del colore, tipico di tutta la pittura veneta, che Tiziano apprende dal suo maestro Giorgione: un colore dai toni caldi, ricchi e avvolgenti. La pittura tonale, tecnica artistica tipica della tradizione veneta del XVI secolo, è legata ad una particolare sensibilità del colore. Infatti, con una graduale stesura tono su tono, in velature sovrapposte, si ottiene essenzialmente un morbido effetto plastico. Il colore è l’elemento principale che determina il volume e la scansione dello spazio.
Lo sfondo scuro della metà sinistra del dipinto, il bianco delle lenzuola e il rosso dei materassi fanno risaltare la figura e la luminosità della carnagione della dea mentre a destra la scena si apre e si sviluppa prospetticamente, suggerendoci l’ampio interno della casa.
La Venere di Urbino ebbe una duratura fama nel mondo dell'arte, sviluppando il tema della Venere distesa, che fu portato avanti per tutto il XIX secolo, fino all'Olympia di Édouard Manet. Ma Manet, invece del cane, mise ai piedi del letto un bel gattino nero.

Édouard Manet, Olympia, 1863, Museo d'Orsay.



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