venerdì 18 dicembre 2015

Animali in pittura - Giotto

Giotto di Bondone, San Francesco d'Assisi predica agli uccelli (1290 - 1295 ca.), affresco, Basilica Superiore di San Francesco in Assisi.

La Predica agli uccelli è la quindicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299. L'episodio raffigurato si riferisce ad un avvenimento narrato nella Legenda Maior, che costituiva la biografia ufficiale di san Francesco d'Assisi, scritta tra il 1260 ed il 1263 da san Bonaventura da Bagnoregio.
Il Santo è qui ritratto leggermente chinato verso terra, mentre
parla a una schiera di uccelli, di diverse specie e colori, brulicanti intorno. Dietro al santo, alla sua sinistra, c’è un altro frate, che assiste alla scena con stupore, evidenziato dal gesto della mano. Il cielo, dopo secoli, è ritornato ad essere blu (e non dorato). In primo piano, alla destra del santo, un grande albero, mentre a sinistra ne troviamo uno più piccolo che, messo in relazione con il primo, crea l’effetto di profondità. Si notino il rispetto delle proporzioni dei soggetti raffigurati, la modellatura del volto, le ombre accentuate, il drappeggio delle vesti: questi elementi concorrono nel rendere la consistenza corporea, la plasticità, l'espressività dei personaggi ritratti, in grado di riprodurre le sfaccettature e le emozioni dell'animo umano. Le figure, per la prima volta dopo secoli, sono trattate come masse solide, rese con un morbido chiaroscuro e un uso sapiente dei colori, collocate all'interno di uno spazio dotato di profondità tridimensionale. Le forme e i colori sono realistici e naturali: Giotto riesce a rendere bene l'umanità del Santo grazie al volto espressivo, alla postura dinamica, alle pieghe morbide delle vesti, alla gestualità delle mani. Gli alberi sono a grandezza naturale, a differenza di quelli dipinti nei paesaggi bizantineggianti di scene come l' Elemosina del mantello o il Miracolo della sorgente.
L'opera contiene grande equilibrio ed armonia e un generale effetto dinamico. Gli avvenimenti sacri sono calati in un tempo concreto e in uno spazio verosimile, tridimensionale, reso attraverso un uso intuitivo ed empirico della prospettiva. Giotto aveva riscoperto l’arte di creare su una superficie piatta l’illusione della profondità.
Il significato dell’opera è l’esaltazione delle creature viventi tipica del messaggio francescano. Pur volendo attribuire agli uccelli un significato simbolico, in quanto essi rappresenterebbero i fedeli – povera gente - di San Francesco (così come sostengono alcune interpretazioni dell’opera), rimane il dato importante della rappresentazione naturalistica di quei soggetti animali, collocati anch'essi nel loro ambiente naturale, così come si può notare in altri affreschi di Giotto presenti ad Assisi, tra i quali quello de L’elemosina del mantello, e soprattutto in quelli collocati nella Cappella degli Scrovegni di Padova. La Predica è però l’unico nel quale, oltre alle persone, gli animali sono tra i protagonisti della rappresentazione.

Giotto, Ritiro di Gioacchino tra i pastori, 1303-05 circa, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Con Giotto la pittura cessa di essere evocazione (che è la funzione prima dell'arte bizantina), per diventare narrazione. Committente degli affreschi di Assisi è infatti l'ordine francescano; il programma iconografico corrisponde alle scelte della Chiesa di creare una Biblio pauperum, una illustrazione per immagini dei testi sacri comprensibili ai poveri e agli analfabeti. E' proprio questa funzione narrativa che caratterizza l'arte sacra di Occidente rispetto a quella orientale. 
Nella storia dell'arte, Giotto ha operato una rottura radicale, mai tentata prima di lui, che risulterà irreversibile per la pittura italiana ed europea e che giungerà a piena maturazione solo nel '400, con l'Umanesimo. Giotto supera radicalmente la rigidezza espressiva, l'immobilità iconica e la bidimensionalità dell'arte bizantina. Come affermava il pittore trecentesco Cennino Cennini, Giotto seppe tradurre l'arte dal Greco al Latino, con ciò intendendo dire che la sua pittura segnò il definitivo passaggio dall'influsso bizantino (questo si intende per “greco”) ad un modo di intendere l'arte come interpretazione della realtà, così come era stato per l’antichità classica dei latini, il cui naturalismo era stato soppiantato dalle immobili e “ieratiche” figure bizantine. Uomini, donne, animali, ambienti e architetture reali ridiventano protagonisti della scena. Anzi Giotto sottolinea aspetti di una quotidianità che non era più stata presa in considerazione nell'epoca precedente conferendovi una dignità inusuale. I suoi personaggi occupano ora un ruolo storico definito e soprattutto compiono azioni all'interno di uno spazio tangibile, verosimile e abitabile. Ma soprattutto esprimono sentimenti, emozioni e stati d’animo, che l’imperturbabilità priva di pathos delle raffigurazioni bizantine, troppo convenzionali e simboliche per essere vere, aveva messo da parte. La carica rivoluzionaria delle opere di Giotto sta appunto nella conferma di un ruolo attivo dell'uomo nella storia, che anticipa quella che sarà la visione dell’Umanesimo quattrocentesco.



Giotto, Sacrificio di Gioacchino1303-05 circa, Cappella degli Scrovegni, Padova.
Se l’icona bizantina aveva la funzione di rivelare Dio agli uomini, un Dio che rimaneva lontano e irraggiungibile, in questo caso la semplicità e la naturalezza dei personaggi raffigurati li avvicinano allo spettatore. Questi personaggi, pur essendo santi o di natura divina, abitano uno spazio concreto, terreno, spesso urbano e vivono un tempo storicamente determinato; essi inoltre esprimono passioni e sentimenti umani, che rendono possibile una comunicazione che varca i confini della rappresentazione e giunge allo spettatore, mettendolo in grado di partecipare alla storia raffigurata. Tali premesse conducono alla considerazione che a Giotto si debba la svolta che in seguito condusse allo sviluppo dell'arte del Rinascimento.
Pur non volendo minimamente sminuire l’importanza dell’innovazione giottesca, alcuni critici sottolineano come questo grande artista debba tuttavia molto ai maestri bizantini, che sotto la raggelata solennità delle loro figure avevano celato le scoperte dei pittori ellenistici, e ai grandi scultori delle cattedrali gotiche, in quanto Giotto non aveva fatto altro che trasferire le figure vive della scultura gotica nella pittura. Piero Adorno, inoltre, in L’arte italiana, scrive che Giotto «non crea, come accadrà nel Rinascimento, persone singole, ciascuna con il proprio mondo interiore importante tanto quello dell'altro; esprime come tutto il Medioevo sentimenti collettivi; ogni uomo è simile all'altro nel corpo e nel viso, perché le loro idee sono univoche (…) Giotto crea dei tipi, non individui: San Francesco non è l'”uomo” Francesco, sia pure Santo, con i suoi problemi individuali, con le proprie caratteristiche fisiche o morali; è “il Santo” come categoria universale.»


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