martedì 8 dicembre 2015

Animali nell'arte - Il fascino ambiguo della Sfinge

Sfinge, Necropoli di Giza.

L'intera storia dell'arte, a tutte le latitudini, è disseminata di ibridi zooantropomorfi, cioè di figure metà uomo e metà animale. Dalla preistoria all'arte egizia e mesopotamica, dalla mitologia greca ai bestiari medievali, dal simbolismo ottocentesco all'arte contemporanea, l'ibrido convoglia in sé le fantasie, i desideri e le paure dell'uomo, mettendolo in rapporto con l’alterità, allo stesso tempo vista come minaccia e come sprigionarsi di seducenti possibilità. Centauri, fauni, satiri, sirene, meduse, sfingi, minotauri, arpie fino agli attuali supereroi (uomo-ragno, uomo-pipistrello) e protagonisti di film di orrore e fantascienza e videogiochi sono ibridi che popolano l’immaginario del "meraviglioso", del monstrum come prodigio, manifestazione di qualcosa di straordinario, che può suscitare sia stupore riverente che orrore.

L'ibrido esterna il difficile rapporto dell'uomo con l'animale, inteso non solo come essere vivente, ma anche come parte dimenticata e perduta di sé, memoria indelebile della nostra origine, perché se da un lato l'uomo ha definito la sua umanità come un emanciparsi e distanziarsi dalla sua natura animale, dall'altro permane in lui un atteggiamento ambivalente nei confronti di quella natura. Infatti le rappresentazioni zoomorfe riguardano sia gli dei che i demoni, incarnano figure positive e negative. L'ibrido oscilla tra il mostro e il divino, ricordando all'uomo la sua doppia natura, in bilico tra la bestia e l'angelo. La natura mista e contaminata dell'ibrido lo rendono sia un emarginato che un essere superiore, e per questo offre una gamma molto varia di significati: il pericolo, il mostro, la violenza, la metamorfosi, il grottesco, il soprannaturale, il divino.
Di queste figure ibride sicuramente la sfinge, metà leone e metà uomo, ha viaggiato per secoli e culture più di qualsiasi altro essere fantastico partorito dall’immaginazione. Il nome Sfinge deriva dal greco Sphynx che significa strangolatrice, derivante a sua volta dall'egizio shespankh con il significato di "statua vivente".
Nella mitologia mesopotamica, egizia e greca, la sfinge è un essere ibrido, con corpo di leone e testa umana - e talvolta ali di rapace e un serpente al posto della coda. Il suo simbolismo non è univoco: la sfinge dei monumenti egizi (androsfinge) è un leone accovacciato, con testa d’uomo; rappresentava, si congettura, l’autorità del re, e custodiva i sepolcri e i templi.
In Egitto la sfinge, in quanto immagine del sovrano, è prevalentemente maschile, ma non mancano sfingi femminili, personificazioni di regine di particolare importanza politica. Nel simbolismo regale, la sfinge appare la proiezione magica della duplice natura umana e divina del sovrano. La principale funzione del sovrano è proteggere il proprio regno. Come la sfinge, egli respinge il male, non con la violenza, ma concentrando su di sé le forze benefiche. Il sovrano e la sfinge sono pertanto incarnazioni dell’armonia cosmica, guardiani che sorvegliano il confine con il caos. La sfinge di el-Giza, la più antica, fu costruita per sorvegliare le tombe dei faraoni. La grande statua monolitica probabilmente fu ricavata da un affioramento di roccia durante la costruzione delle piramidi di Giza. A differenza di queste ultime, infatti, la Grande Sfinge fu realizzata scolpendo la pietra viva, mentre solo alcune parti sono state costruite o riparate con l’aggiunta di blocchi di roccia tagliati. Pare sia stata creata attorno al 2500 a.C., al tempo del faraone Chefren. In tale contesto funerario la sfinge è simbolo strettamente connesso alla morte, al passaggio ad un mondo al di là. Lo sguardo è rivolto verso est, ovvero dove nasce il sole; i suoi occhi guardano dritto davanti a sé, ma sembrano persi nel vuoto, fissi verso qualcosa che non appartiene a questo mondo. Per gli Egizi essa esprimeva più l’immobile serenità rivolta all’armonia dell’universo che l’angoscia che le attribuirà la successiva tradizione ellenica.

Sfinge Greca di una metopa del Tempio di Selinunte del VI-V Sec. a.C. (Agrigento).

Nel mito greco infatti la Sfinge è una creatura unica, figlia di Tifone ed Echidna, quest’ultimo esso stesso essere ibrido mezzo fanciulla e mezzo serpente, madre di altri esseri mostruosi e spesso ibridi quali la Chimera, Scilla, la Gorgone, Cerbero, il Cane Ortro ecc. La sfinge greca ha testa e petto di donna, ali d’uccello, corpo e piedi di leone. Il suo mito si intreccia con quello di Edipo: infatti la Sfinge era un mostro che, dall’alto del monte Citerone, flagellava Tebe, proponendo enigmi ai passanti e divorando chi non riusciva a risolverli. Anche la posizione varia nelle due culture: la sfinge greca non è distesa sulla pancia ma è seduta sulle zampe posteriori, col busto eretto e le mammelle sporgenti. Essa non è più il guardiano delle porte dell’infinito, bensì diventa una specie di mostro terribile, più crudele che enigmatico, simbolo di forza perversa e distruttiva.
Jung ne ha sottolineato gli aspetti legati all’archetipo della madre ("madre terrificante") nella sua valenza negativa, aspetti con cui ciascun soggetto umano, per divenire tale, deve potersi confrontare, rappresentando per ciascuno la "grande prova" per divenire adulti.
Dal mito di Edipo, la sfinge ha finito per incarnare simbologie diverse, ma ugualmente drammatiche. Nella storia dell'arte più vicina a noi, la ritroviamo come incarnazione di una forza femminile torbida, ammaliante e distruttrice, simbolo di quella parte oscura costituita da conflitti e pulsioni represse (si pensi alle sfingi di fine Ottocento nelle opere di Fernand Khnopff, Franz Von stuck, Gustave Moreau) oppure come richiamo all’enigma e all’eterno dilemma sul significato dell’esistenza umana (si pensi alla sfinge di De Chirico).

Fernand Khnopff – L'arte o la Sfinge o le carezze – (1896)

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