Michelangelo Merisi da Caravaggio, La conversione di san Paolo, 1601-02, Roma, Santa Maria del Popolo. |
Basta guardare il dipinto per rendersi conto dell'audacia compositiva dell'opera e della sua portata rivoluzionaria: qui il vero protagonista non è il santo, ma il cavallo (tanto che qualche critico ha definito la tela "La conversione del cavallo"), messo di traverso lungo lo spazio del quadro e incombente, con la sua gran massa, non solo su Saulo caduto, ma
anche sullo spettatore. Un vecchio palafreniere, in secondo piano, trattiene per il morso l'animale ancora schiumante. A terra giace, folgorato e reso cieco dall'intervento divino, Saulo di Tarso, che allarga le braccia e le protende verso la luce, sovrastato, quasi minacciato, dallo zoccolo di quel cavallo, in sella al quale poco prima sedeva baldanzoso e sicuro della propria autorità. La spada e l'elmo giacciono ai suoi fianchi, ormai inutili, appartenenti alla vita precedente del soldato. Saulo in quel momento diventa Paolo, cioè "piccolo", che come un bambino appena nato alza le braccia al cielo per accogliere la luce dell’amore divino. La scena sembra avvenire di sera, al chiuso, forse all'interno di una stalla. Quella zona del quadro in cui si forma un intrico terribile di zampe, gambe, braccia e mani è il luogo di un dramma misterioso insieme sacro ed umano.
Come in tutte le tele della maturità del Caravaggio, protagonista assoluta è la luce radente, la cui fonte non è mai presente all'interno dello spazio raffigurato, la quale qui irrompe teatralmente dall’alto, plasma l'ambiente e definisce lo spazio della composizione, oltre a focalizzare l'attenzione dello spettatore sui protagonisti della scena che sembrano emergere dall'oscurità che li circonda. A differenza di altre rappresentazioni del medesimo episodio (Michelangelo, Raffaello, Lodovico Carracci ed anche un precedente dipinto dello stesso Caravaggio), dove compaiono soldati spaventati e cavalli imbizzarriti, in questo quadro Michelangelo Merisi privilegia l'intimità e il mistero della conversione, semplificando la composizione e riducendo il numero dei personaggi presenti. Inespressiva, eccessiva, manieristicamente sovraccarica, la prima tela dipinta da Caravaggio per questa commissione e poi, forse, rifiutata dal Cerasi (oggi di proprietà Odescalchi); essenziale, esteticamente e formalmente straordinaria questa seconda. Drammatica e coinvolgente, plastica e potente nel suo caldo cromatismo; irruente e movimentata nella concitata lotta tra la luce e la tenebra, essa non solo ci racconta un evento, ma ci risucchia in esso costringendoci a non rimanere indifferenti, bensì coinvolgendoci nella scena.
Caravaggio, Conversione di San Paolo (Odescalchi). |
A questo proposito, fondamentale è lo spazio che Caravaggio crea, non costruendolo in profondità, secondo i canoni della prospettiva rinascimentale, ma aprendolo in avanti. Esso è infatti ben delimitato e chiuso sul fondo dalla possente sagoma del cavallo, ma ben aperto in avanti, spinto fuori dal cerchio costituito dalle braccia di Paolo e dal corpo dell'animale. Uno spazio in cui si consuma la lotta tra l'oscurità di fondo e la luce che irrompe staccando le figure da quel buio, infrangendosi sul meraviglioso manto pezzato del cavallo come su uno specchio, riflettendosi abbagliante sulle zampe e sui piedi del vecchio, e poi sul corpo del convertito e sul suo bel mantello di porpora, fino a uscire fuori dalla tela, per raggiungere lo spettatore. Tutto si impregna di quella luce, riverbera di quella potenza. Ma non è il mero significato simbolico che impressiona, bensì l’inquietante realismo di quei corpi, umani e animali, che sembrano uscire dalla tela e venire contro di noi.
Il messaggio divino è giunto, come al solito, improvviso, inaspettato, cogliendo di sorpresa: lo si intuisce dall'agitarsi nervoso dell'animale, dalla fronte profondamente corrugata del vecchio e dalle vene gonfie della sua gamba.
Torniamo al cavallo. C’è da immaginarsi lo sconcerto di coloro che scorsero l’opera per la prima volta, i quali videro le terga di un enorme destriero dominare la scena della conversione del santo per eccellenza, l’Apostolo delle genti. Una scelta compositiva che andava contro tutte le norme codificate nei trattati tridentini sulla pittura, che prescrivevano di non porre al centro della rappresentazione un animale o elementi secondari. Eppure la rappresentazione del cavallo ha una fortissima carica simbolica che permette una comprensione più profonda dell’evento. La pittura e la scultura si sono spesso servite di questo animale, saldamente dominato dal suo cavaliere, per celebrare una gloria o un potere, per innalzare la superiorità morale, politica o militare di un personaggio. Paolo invece viene raffigurato a terra, sotto il cavallo, dopo essere stato sbalzato dal suo potere e dal suo orgoglio, nella posizione più umiliante e nello stesso tempo più propizia ad accogliere la fede.
Con Caravaggio cambia lo sguardo dell’artista, che raffigura animali e nature morte con la stessa cura con cui rappresenta uomini e santi, prendendo le sembianze di questi dalla gente del popolo, ritraendola con realismo crudo e drammatico, lontano da ogni idealizzazione, in uno spazio in cui la tridimensionalità non è data dalla prospettiva, ma dalla luce, che plasma e modella i volumi dei corpi facendoli uscir fuori dal buio della scena.
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